Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 dicembre 2021, n. 37906

Sussistenza di un unico rapporto di lavoro, Prova,  Pagamento di differenze retributive

 

Rilevato che

 

1. La Corte d’appello di Torino, con sentenza n.
643/2015, ha respinto l’appello di C.A., confermando la pronuncia di primo
grado con cui era stata rigettata la domanda di accertamento di un unico
rapporto di lavoro svolto alle dipendenze di D.B. dall’1.11.2004 all’8.2.2006,
con condanna di quest’ultimo al pagamento di differenze retributive calcolate
sulla base di una paga oraria di euro 13,00 col medesimo concordata nei
colloqui preassuntivi.

2. La Corte territoriale ha accertato, conformemente
al Tribunale, che nel periodo in contestazione l’appellante aveva lavorato come
artigiano (elettricista) nel cantiere di Torre Pedice per le società C. s.r.l.
e A. s.r.l. (nel corso del giudizio il lavoratore ha rinunciato agli atti nei
confronti del Fallimento A. s.r.l.) e successivamente nel cantiere
dell’Ospedale C.T.O. di Torino per l’impresa V., di cui era titolare G.V.. Più
esattamente, l’A. aveva “lavorato al mattino alle dipendenze di A. e al
pomeriggio di C., con contratti PT di 20 ore settimanali, in orari
complementari e per periodi in buona parte coincidenti (dal 10.11.2004 al
10.1.2005 dalle 8 alle 12 per A. e dal 22.11.2004 al 30.4.2005 dalle 13 alle 17
per C.). Aveva poi lavorato per il B. dal 5.1.2005 al maggio 2005 con orario
part time, trasformato in full time fino al 29.9.2005, e per l’impresa V. dal
30.9.2005 al 9.11.2005.

3. I giudici di appello hanno ritenuto che
l’istruttoria svolta non avesse fornito alcun elemento atto a dimostrare
l’unicità del rapporto di lavoro e l’esistenza di un collegamento significativo
tra il B. e le imprese convenute. Non era emerso che nei cantieri ove
l’appellante aveva lavorato il B. esercitasse qualche potere gestionale o
organizzativo, ma neppure vi era prova della sua presenza in quei cantieri.

4. Avverso tale sentenza C.A. ha proposto ricorso
per cassazione, affidato a due motivi. La C. s.r.l. – Costruzione Impianti
Elettrici e Manutenzioni – e G.V. hanno resistito con controricorso. D.B. non
ha svolto difese.

5. Il difensore di C.A. ha depositato memoria, ai
sensi dell’art. 380 bis.1. cod. proc. civ., dando atto del decesso del
ricorrente e dell’intervenuto fallimento della CIET s.r.l.; ha inoltre avanzato
istanza di riunione col procedimento n. 10237/2017.

6. La sentenza della Corte d’appello di Torino n.
643/2015 è stata impugnata da C.A. anche per revocazione.

7. La Corte territoriale, con sentenza n. 516/2016,
ha respinto il ricorso per revocazione sul rilievo che le “prospettazioni
del ricorrente conten(essero) in realtà una critica non all’attività percettiva
del giudice, il quale non ha espressamente escluso l’esistenza nel fascicolo dei…documenti,
bensì alla selezione e valutazione del materiale probatorio ritenuto rilevante
in relazione agli elementi costitutivi dei diritti di credito azionati in
giudizio”.

8. Anche quest’ultima sentenza è stata impugnata da
C.A. con ricorso per cassazione, affidato a due motivi. Giovanni Varala ha
resistito con controricorso. La C. s.r.l. e D.B. non hanno svolto difese.

9. Il difensore di C.A. ha depositato memoria, ai
sensi dell’art. 380 bis.1. cod. proc. civ., dando atto del decesso del
ricorrente e dell’intervenuto fallimento della C. s.r.l.

 

Considerato che

 

10. Il ricorso proposto avverso la sentenza n.
643/2015 della Corte di appello di Torino, nonché il ricorso proposto avverso
la sentenza n. 516/2016 della medesima Corte di appello, con cui è stata
rigettata l’impugnazione per revocazione avverso la prima decisione, siccome
risultano contemporaneamente pendenti in sede di legittimità, devono essere
riuniti. Deve darsi continuità al principio, già affermato da questa Corte
(Cass. Sez. Unite 7 novembre 1997, n. 10933; Cass. 2 febbraio 2004, n. 1814;
Cass. 12 ottobre 2006, n. 21938; Cass. n. 10534 del 22 maggio 2015), secondo
cui i ricorsi per cassazione, proposti, rispettivamente, contro la decisione
della Corte d’appello e contro quella che decide l’impugnazione per revocazione
avverso la prima, debbono, in caso (come quello in esame) di contemporanea
pendenza

in sede di legittimità, essere riuniti in
applicazione (analogica, trattandosi di gravami avverso distinti provvedimenti)
della norma dell’art. 335 cod. proc. civ., che impone la trattazione in un
unico giudizio di tutte le impugnazioni proposte contro la stessa sentenza.
Infatti, la riunione di detti ricorsi, pur non essendo espressamente prevista
dalla norma citata, discende dalla connessione esistente tra le due pronunce,
atteso che sul ricorso per cassazione proposto contro la sentenza di appello
può risultare determinante la pronuncia di cassazione riguardante la sentenza
resa in sede di revocazione.

11. Risulta, di conseguenza, prioritario l’esame del
ricorso proposto da C.A. avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello in
sede di revocazione.

12. Preliminarmente, in relazione al decesso del
ricorrente e al fallimento della C. s.r.l., di cui alle memorie depositate dal
difensore di C.A., si ribadisce che nel giudizio di cassazione, dominato
dall’impulso d’ufficio, non trova applicazione l’istituto della interruzione
del processo per uno degli eventi previsti dagli artt. 299 e segg. cod. proc.
civ., per cui, una volta instauratosi il giudizio, il decesso di uno dei
ricorrenti, comunicato dal suo difensore, non produce l’interruzione del
giudizio (v. Cass. n. 1757 del 2016; S.U. n. 14385 del 2007) ed analogamente,
la dichiarazione di fallimento di una delle parti non integra una causa di
interruzione del relativo giudizio (v. Cass. n. 7477 del 2017; n. 3630 del
2021).

13. Ricorso (R.G. n. 10237/2017) avverso la sentenza
della Corte di appello di Torino n. 516 del 2016.

14. Col primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi
dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 cod. proc. civ. in relazione all’art. 395 n.
4 cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione di norme di diritto nonché
omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di motivo di
appello. Si assume che la Corte di merito, in sede di revocazione, anziché
prendere in esame la sentenza d’appello n. 643/2016, abbia assunto e motivato
la propria decisione sulla sentenza di primo grado, come si ricava dai plurimi
riferimenti all’operato del Tribunale (v. pag. 9 e 10 della sentenza n.
516/2016) anziché della Corte territoriale.

15. Il motivo non può trovare accoglimento.

16. E’ vero che la sentenza n. 516/2016 (v. pagine 9
e 10) nell’esaminare i vizi revocatori denunciati dal ricorrente fa espresso
riferimento all’operato del Tribunale ma la stessa contiene considerazioni
testualmente e logicamente riferibili anche alla sentenza d’appello
(revocanda), confermativa della decisione di primo grado, sia quanto alla
individuazione dei fatti dedotti dal ricorrente a sostegno della domanda
(“esistenza di un unico rapporto di lavoro instaurato con il B., con il
quale avrebbe pattuito una paga oraria di euro 13,00 e dal quale sarebbe stato
distaccato presso le imprese convenute”- v. sentenza n. 643/2015, pag. 6 e
sentenza n. 516/2016, pag. 10) e sia quanto alla affermazione che, dal
complesso delle risultanze istruttorie, testimoniali e documentali, non
emergesse la prova della unicità del rapporto di lavoro e di un collegamento
significativo del B. con le altre imprese convenute (v. sentenza n. 643/2015,
pag. 7 e sentenza n. 516/2016, pag. 10).

17. E’ in relazione a queste censure che la sentenza
emessa in sede di revocazione ha negato che ricorressero i presupposti di cui
all’art. 395, n. 4 cod. proc. civ., escludendo l’errore percettivo dei giudici
di merito (che fosse cioè “sfuggita, per una mera svista, l’esistenza dei
documenti non menzionati e del rapporto di lavoro in essi asseritamente
rappresentato”), e ritenendo criticato il ragionamento logico-giuridico e
valutativo posto a base della decisone.

18. Col secondo motivo è dedotta, ai sensi dell’art.
360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione di norme di
diritto, per avere la Corte di merito erroneamente interpretato l’art. 395 n. 4
cod. proc. civ. ritenendo che costituisse presupposto necessario della
revocazione il fatto che il giudicante avesse espressamente escluso l’esistenza
in atti dei documenti (invece esistenti), e che fosse quindi inidonea la
censura (come formulata) di omessa visione dei documenti prodotti che, senza
necessità di attività interpretativa, erano in grado di dimostrare l’esistenza
o l’inesistenza dei fatti dedotti.

19. Neppure il secondo motivo può trovare
accoglimento.

20. La Corte d’appello, adita col ricorso in
revocazione, ha dato atto che “il ricorrente si duole del fatto che il
Tribunale (rectius, la Corte d’appello) avrebbe omesso di visionare un
complesso di documenti (produzioni nn. 2, 23, 24, 25 del fascicolo di primo
grado e n. 4 del fascicolo di appello) dai quali, valutati unitamente alle
altre risultanze, sarebbe emersa la prova dei fatti costitutivi dedotti a
fondamento dei crediti azionati. L’omesso rilievo delle buste paga emesse dal
B. nell’ultimo periodo, da novembre 2005 a febbraio 2006, avrebbe determinato,
in particolare, l’erronea affermazione dell’inesistenza del rapporto di lavoro
e dell’insussistenza del credito per le retribuzioni e il TFR, negli importi
emergenti dalle predette buste”. Ha ritenuto che “entrambe le
prospettazioni del ricorrente conten(essero) in realtà una critica non
all’attività percettiva del giudice…bensì alla selezione e valutazione del
materiale probatorio ritenuto rilevante in relazione agli elementi costitutivi
dei diritti di credito azionati in giudizio”.

21. La sentenza impugnata ha sottolineato come il
mancato esplicito riferimento nella sentenza ai documenti invocati dal
ricorrente in revocazione non consentisse di ritenere che fosse sfuggita
l’esistenza in atti di tale produzione, poiché i giudici di appello non avevano
“espressamente escluso l’esistenza nel fascicolo dei suddetti
documenti”, bensì proceduto ad una valutazione del complessivo materiale
probatorio raccolto e giudicato lo stesso inidoneo a dimostrare i fatti
costitutivi dei diritti azionati.

22. Questa Corte ha chiarito che costituisce motivo
di revocazione l’affermazione contenuta nella sentenza circa l’inesistenza, nei
fascicoli processuali (d’ufficio o di parte), di un documento che, invece,
risulti esservi incontestabilmente inserito, in quanto ciò non concreta un errore
di giudizio, bensì una mera svista di carattere materiale, costituente errore
di fatto a norma dell’art. 395, n. 4, c.p.c. (v. Cass. n. 19174 del 2016); al
contrario, il vizio col quale si imputi alla sentenza un’erronea valutazione
delle prove raccolte è, di per sé, incompatibile con l’errore di fatto, essendo
ascrivibile non già ad un errore di percezione, ma ad un preteso errore di
giudizio (v. Cass. n. 8828 del 2017).

23. La decisione impugnata si è strettamente
attenuta ai principi appena richiamati e si sottrae alle censure mosse. Dal che
consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

24. Ricorso (R.G. n. 13706/2016) avverso la sentenza
della Corte di appello di Torino n. 643 del 2015.

25. Con il primo motivo di ricorso è dedotto, ai sensi
dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto
decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

26. Si sostiene che nel ricorso in appello (le cui
conclusioni sono trascritte) C.A. aveva censurato il rigetto, con la sentenza
di primo grado, anche della domanda di condanna del B. al pagamento del TFR e
delle ultime retribuzioni da dicembre 2005 alle dimissioni del febbraio 2006,
nonostante l’esistenza di prova documentale del credito rappresentata dalle buste
paga emesse dal medesimo B. (quale titolare prima dell’impresa individuale SIER
di B. e poi dell’impresa individuale B. Domenico); che quest’ultimo, rimasto
contumace, non aveva provato di aver adempiuto alle obbligazioni risultanti
dalle buste paga; che la Corte di merito non aveva esaminato specificamente
tale censura ma si era limitata a rilevare in modo generico la mancanza di
prova testimoniale e documentale ed aveva anche omesso di esaminare la domanda
di condanna al pagamento del lavoro straordinario costantemente prestato
dall’attuale ricorrente, come emerso dalle prove testimoniali e documentali
raccolte.

27. Con il secondo motivo è denunciata, ai sensi
dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., e per il caso in cui si ritenesse
che i giudici di appello hanno esaminato la domanda e i documenti prodotti, ed
implicitamente respinto la stessa, violazione e falsa applicazione degli artt.
2697 e 2709 cod. civ..

28. Si censura la sentenza impugnata per non avere
considerato che le scritture contabili fanno prova contro l’imprenditore (art.
2709 cod. civ.) e per avere errato nell’escludere l’esistenza di prova della
unicità del rapporto di lavoro, invece emergente dai prospetti di calcolo
(prodotti in primo grado come doc. 5 e 24 e riprodotti nel ricorso per
cassazione) e dalla visura camerale (doc. 4 del fascicolo di appello e già
prodotta in primo grado) del Consorzio C. (soggetto diverso dalla convenuta C.
s.r.l.), istituito nel marzo 2005 e di cui facevano parte il V. e la S. di B.D.

29. I motivi di ricorso sono entrambi inammissibili.

30. Il primo motivo si esaurisce nella censura sulla
valutazione del materiale probatorio (le buste paga e le deposizioni
testimoniali), che si assume idoneo a dimostrare il credito vantato
dall’attuale ricorrente, e si colloca pertanto all’esterno del perimetro di cui
all’art. 360, comma 1, n. 5 cit., come delineato dalle Sezioni Unite di questa
Corte (v. Cass. S.U. n. 8053 del 2014).

31. Peraltro, ove anche la censura avesse i
requisiti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., la stessa sarebbe
inammissibile in ragione della disciplina di cui all’art. 348 ter, comma 5,
cod, proc. civ., sulla c.d. doppia conforme, trattandosi di giudizio introdotto
con ricorso depositato dopo il giorno 11 settembre 2012 e non avendo il
ricorrente neanche allegato la diversità delle ragioni di fatto poste a base,
rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto del
reclamo (Cass. n. 26774 del 2016; Cass. n. 5528 del 2014).

32. Parimenti inammissibile è il secondo motivo di
ricorso poiché con esso non si deduce una violazione della regola di
distribuzione dell’onere probatorio (v. Cass. n. 13395 del 2018; n. 15107 del
2013) né dell’art. 2709 cod. civ., ma si afferma l’errore dei giudici di merito
per non avere considerato prova esaustiva del credito le buste paga (di cui non
sono neanche allegati i requisiti di efficacia probatoria, v. Cass. n. 18169
del 2019; n. 17413 del 2015), i prospetti e le visure camerali prodotti. Una
simile censura, in quanto investe la selezione e la valutazione del materiale
probatorio, non ricade nel dedotto vizio di violazione di legge e non può,
comunque, trovare ingresso in questa sede di legittimità.

33. Per le considerazioni svolte, entrambi i ricorsi
devono essere dichiarati inammissibili.

34. La regolazione delle spese di lite, nei
confronti delle parti costituite C. s.r.l. e G.V., segue il criterio di
soccombenza. Non si procede alla regolazione delle spese nei confronti di D.B.
rimasto intimato.

35. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R.
n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello
stesso articolo 13.

 

P.Q.M.

 

Riunito al presente procedimento quello n.
10237/2017, dichiara inammissibili entrambi i ricorsi.

Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di
lite che liquida in € 3.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per
esborsi, in favore di C. s.r.l. e in € 5.000,00 per compensi professionali, €
200,00 per esborsi, in favore di G.V., oltre spese forfettarie nella misura del
15% e accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma
del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 dicembre 2021, n. 37906
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