È illegittimo il licenziamento per giusta causa intimato al lavoratore che ha omesso l’informativa.
Nota a App. Palermo, sez. lav., 28 luglio 2021, n. 937
Fabrizio Girolami
È illegittimo il licenziamento per giusta causa intimato al lavoratore che ha omesso di dare informazione al datore di lavoro dell’avvenuto contatto di un familiare con un collega risultato positivo al virus SARS-CoV-2.
Lo ha stabilito la Corte d’Appello di Palermo, sez. lavoro, con sentenza n. 937 del 28 luglio 2021, in relazione alla vicenda di un lavoratore che – posto in isolamento domiciliare da parte dell’azienda sanitaria provinciale (ASP) territorialmente competente, per accertata positività al coronavirus Covid-19 di un collega della moglie – era stato licenziato per giusta causa per non averne dato immediata comunicazione al proprio datore di lavoro.
In particolare, il dipendente non aveva comunicato al proprio datore di essere stato posto in isolamento fiduciario dall’ASP per 14 giorni, né le ragioni di detta misura (contatto della moglie con un soggetto positivo al coronavirus), fino a quando il datore di lavoro non ne era venuto a conoscenza occasionalmente tramite la consultazione dei certificati medici per malattia dei propri dipendenti sul sito dell’INPS.
Per effetto di tale mancata informativa, il datore non aveva potuto “adottare qualsiasi provvedimento al riguardo, anche a tutela della salute e della incolumità degli altri dipendenti”, e, pertanto, aveva intimato il licenziamento per giusta causa al lavoratore.
Nel giudizio instaurato dal lavoratore, il Tribunale di Palermo aveva, con ordinanza, accolto l’impugnazione del licenziamento per giusta causa, dichiarandolo nullo (in quanto ritorsivo), ordinando, ai sensi dell’art. 18, co. 1, dello Statuto dei lavoratori (L. 20 maggio 1970, n. 300 e s.m.i.), la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro e il pagamento, in suo favore, di una indennità risarcitoria commisurata alle retribuzioni a decorrere dal licenziamento fino all’effettiva reintegra, oltre contributi e accessori. A detta ordinanza il datore aveva proposto opposizione respinta con sentenza del medesimo Tribunale di Palermo. Per la riforma di tale sentenza, il datore di lavoro aveva quindi proposto reclamo alla Corte d’Appello di Palermo.
Il giudice d’appello palermitano – pur accogliendo parzialmente il reclamo proposto contro la sentenza – ha confermato l’illegittimità del licenziamento intimato al lavoratore, sulla base delle seguenti considerazioni:
- nel caso di specie, non poteva dirsi sussistente, in capo al lavoratore, alcun obbligo di informativa al datore, non avendo egli ricevuto in tal senso specifiche indicazioni da parte dell’ASP, unica legittimata a effettuare la c.d. “mappatura dei contagi” e a impartire direttive consequenziali, specialmente nel periodo dei fatti di causa (risalenti al 2019 e, dunque, ai primi mesi di diffusione della pandemia) in cui il regime emergenziale era disciplinato da singoli decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri che, di volta in volta, hanno illustrato ai cittadini i comportamenti da adottare a tutela della salute pubblica. Inoltre, il datore non ha fornito alcuna prova del pregiudizio subìto a causa dell’omessa comunicazione;
- il licenziamento per giusta causa è, quindi, illegittimo “per insussistenza del fatto contestato” (art. 18, co. 4, Stat. Lav.) che comprende non soltanto i casi in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità, ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia rilievo disciplinare quanto al profilo oggettivo ovvero non sia imputabile alla condotta del dipendente, quanto al profilo soggettivo;
- l’omessa comunicazione al datore di lavoro della necessità di sottoporsi a isolamento domiciliare è una condotta che rimane assolutamente neutra ed è assolutamente priva di qualsivoglia rilievo disciplinare, e dunque, non idonea a legittimare il provvedimento espulsivo;
- il licenziamento è, dunque, illegittimo sicché va riconosciuta la tutela reintegratoria di cui all’art. 18, co. 4, Stat. Lav., applicabile quando si ravvisi l’“insussistenza del fatto contestato”, che comprende l’ipotesi di assenza ontologica del fatto e quella di fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità;
- pertanto, la sentenza impugnata è erronea nella parte in cui ha dichiarato la nullità del licenziamento per motivo ritorsivo, ai sensi dell’art. 18, co. 1, Stat. Lav., ricavandolo dalla ritenuta sproporzione tra la gravità dell’inadempimento contestato e la sanzione applicata.
La Corte ha, dunque, dichiarato illegittimo il licenziamento intimato al dipendente e ha condannato il datore a reintegrare il dipendente nel posto di lavoro con le medesime mansioni e qualifica ricoperte alla data di cessazione del rapporto e a corrispondergli un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, in ogni caso non superiore a 12 mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale.