Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 dicembre 2021, n. 39412
Licenziamento disciplinare, Furto di materiale, Lesione del
vincolo fiduciario, Disvalore ambientale della condotta del dipendente
Rilevato che
1. A.D.F. ha impugnato il licenziamento disciplinare
intimatogli dalla G.S. s.p.a. perché irrituale e comunque privo di giusta
causa, chiedendo al Tribunale di Velletri la dichiarazione di illegittimità
dello stesso, con ordine di reintegra nel posto di lavoro e con condanna al
pagamento delle retribuzioni maturate. Il Tribunale di Velletri con sentenza
del 27.5.2010 ha rigettato la domanda e la Corte di appello di Roma con
sentenza del 23.2.2013 ha respinto l’appello del D.F.. La Corte territoriale ha
giudicato il licenziamento non irrituale (come invece sostenuto dal ricorrente
sul rilievo che fosse stato intimato dopo il termine di 10 giorni previsto
dall’art. 84 del c.c.n.l. Commercio), ritenendo applicabile il c.c.n.l.
Terziario, che prevedeva il termine di 15 giorni, in concreto rispettato. Nel
merito, ha giudicato legittimo il recesso in base al rilievo che il D.F. era
stato indicato dal D.V., autore di un furto di materiale sottratto alla G.S.
s.p.a., come responsabile della ricettazione della merce trafugata; inoltre,
durante una perquisizione in casa dell’appellante era stata rinvenuta parte
della merce rubata, che alcuni responsabili dell’azienda avevano identificato,
nonché interi imballaggi di prodotti, tutti con etichette e codici appartenenti
alla società appellata; l’ingente quantitativo di merce eccedeva di certo le
esigenze di una famiglia media. Il fatto era molto grave anche in relazione al
disvalore ambientale della condotta del dipendente e tale da ledere il vincolo
fiduciario tra le parti.
2. Con sentenza n. 18103 del 2016 la S.C.,
accogliendo il ricorso del D.F., ha cassato con rinvio la sentenza d’appello. I
giudici di legittimità hanno ritenuto che la motivazione della sentenza
impugnata, in ordine all’applicabilità del c.c.n.l. Terziario non fosse idonea
a soddisfare i requisiti di cui all’art. 132 cod. proc. civ., anche in
riferimento al cd. minimo costituzionale, “in quanto si compone di due parti,
la prima (contiene, ndr.) un rinvio per relationem alla sentenza di primo grado
contrario ai principi espressi da questa Corte secondo cui il rinvio non può
essere formulato in termini di mera adesione…La seconda parte consiste in un
richiamo generico al contratto di assunzione che, invece, fa riferimento
proprio al diverso contratto per le aziende commerciali”.
3. Con sentenza n. 545 del 2018, emessa a
definizione del giudizio di rinvio, la Corte d’appello di Roma ha respinto
tutte le domande proposte da A.D.F. col ricorso introduttivo di primo grado.
4. La Corte di rinvio ha ritenuto applicabile al
rapporto di lavoro il c.c.n.l. per i dipendenti delle aziende del terziario,
della distribuzione e dei servizi in base al comportamento tenuto dalle parti
successivamente all’assunzione; ha dato atto che il contratto di assunzione del
26.4.1994 recava un espresso rinvio al “contratto collettivo di lavoro per i
dipendenti delle aziende commerciali”; che tuttavia nello stesso contratto di
assunzione era richiamato, a proposito di trasferimento, “l’art. 83 del
contratto collettivo nazionale di lavoro vigente…” e che il c.c.n.l. Terziario
del 14.12.1990 all’art. 83 conteneva disposizioni sul trasferimento (non
potendosi svolgere alcuna verifica sul c.c.n.l. Commercio all’epoca vigente
perché non prodotto in causa); che nella lettera del 15.11.2000, con cui la
G.S. s.p.a. aveva comunicato al dipendente il passaggio al terzo livello, si
faceva riferimento “all’art. 89 del vigente CCNL” e l’art. 89 del c.c.n.l.
Terziario del 3.11.1994 contemplava proprio disposizioni sui passaggi di
livello; che la lettera di licenziamento del 19.11.2004 richiamava “l’art. 131
del vigente contratto collettivo di categoria” e l’art. 131 del c.c.n.l.
Terziario del 3.11.1994 disciplinava le infrazioni che legittimano il
licenziamento per giusta causa.
5. Per effetto dell’applicabilità del c.c.n.l.
Terziario del 2.7.2004 (vigente all’epoca del licenziamento), il cui art. 219
prevedeva (conformemente all’art. 153 del contratto collettivo del 3.11.1994)
che l’adozione del provvedimento disciplinare di licenziamento deve avvenire
con lettera raccomandata entro quindici giorni dalla scadenza del termine
assegnato al lavoratore per rendere le giustificazioni, il licenziamento doveva
considerarsi intimato tempestivamente.
6. Nel merito, la Corte di rinvio ha ritenuto
integrata la giusta causa di recesso facendo proprie le motivazioni sul punto
di cui alla sentenza di primo grado, confermata in appello.
7. Avverso tale sentenza A.D.F. ha proposto ricorso
per cassazione, affidato a sei motivi. La società G.S. s.p.a. ha resistito con
controricorso.
Considerato che
8. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai
sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione o falsa
applicazione dell’art. 84 del c.c.n.l. Commercio del 6.2.2001 in relazione agli
artt. 1362, 1366 e 1370 cod. civ., per avere la Corte d’appello individuato il
contratto collettivo applicabile al rapporto di lavoro in contrasto col dato
letterale del contratto di assunzione, dando rilievo non alla comune volontà
delle parti trasfusa nell’accordo contrattuale bensì alla volontà unilaterale
della società datrice di lavoro manifestata attraverso il riferimento ad
elementi non univocamente significativi, come gli articoli del contratto
collettivo, ed anche contraddittori (atteso che l’art. 131 del c.c.n.l.
Terziario vigente all’epoca del licenziamento disciplinava non il recesso per
giusta causa bensì il lavoro straordinario).
9. Col secondo motivo è dedotta nullità della
sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., per essere la
motivazione retta da affermazioni inconciliabili che impediscono di comprendere
le ragioni per cui i giudici abbiano escluso l’applicazione del c.c.n.l.
Commercio, espressamente richiamato nella lettera di assunzione se pure senza
indicazione specifica della denominazione e della data, e ritenuto applicabile
il c.c.n.l. Terziario di cui manca qualsiasi riferimento nella lettera di
assunzione.
10. Col terzo motivo è denunciato, ai sensi
dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., l’omesso esame di specifici
motivi di gravame e di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di
discussione tra le parti riguardo alla insussistenza della condotta addebitata
al lavoratore. In particolare, si assume che non fossero stati esaminati una
serie di fatti rilevanti, tra cui, ad esempio, la circostanza che il verbale di
perquisizione redatto a carico del D.F. non riguardava beni ricompresi in colli
o scatole confezionate con marchio G.S., ma prodotti sfusi e acquistati in
quantitativi non significativi; che le modalità di identificazione della merce
erano state contestate e che parimenti omesso era stato l’esame della
circostanza secondo cui lo scatolone contenente boccette di colla, unico
imballo sequestrato al D.F., era costituito da prodotti scartati dalla G.S..
11. Col quarto motivo è dedotta nullità della sentenza,
ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., poiché la stessa,
limitandosi ad un generico riferimento ai documenti prodotti e alle
testimonianze rese, non dà realmente conto dei motivi di rigetto
dell’impugnazione e non tiene in alcuna considerazione gli elementi probatori
richiamati nel precedente motivo di ricorso e le deposizioni testimoniali
assunte dal primo giudice, da cui emergeva l’estraneità del ricorrente ai fatti
contestati.
12. Con il quinto motivo si censura la sentenza
impugnata, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per
violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., per la
mancata esplicitazione delle ragioni di infondatezza delle censure mosse alla
sentenza di primo grado nonostante la puntualità di queste ultime, il cui
contenuto è trascritto nel ricorso per cassazione.
13. Con il sesto motivo è denunciata la violazione
dell’art. 112 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc.
civ., in riferimento alla statuizione contenuta nella sentenza di rinvio
secondo cui “deve perciò ritenersi che la contestazione della condotta tenuta
dall’appellante in relazione alle circostanze contestate sia pienamente
sufficiente a giustificare il recesso in quanto dimostra inequivocabilmente un
atteggiamento quantomeno negligente nei confronti del datore di lavoro”, in
quanto la pretesa violazione del dovere di diligenza è frutto di una arbitraria
valutazione da parte dei giudici di merito circa una condotta mai contestata al
lavoratore.
14. Il primo e il secondo motivo di ricorso, che si
esaminano congiuntamente in quanto riguardano l’individuazione del contratto
collettivo applicabile, non possono trovare accoglimento.
15. E’ indirizzo costante nella giurisprudenza di
questa Corte (Cass. n. 25270 del 2011; n. 15471 del 2017) che l’interpretazione
degli atti negoziali implica un accertamento di fatto riservato al giudice di
merito, che, come tale, può essere denunciato in sede di legittimità, oltre che
per vizio di motivazione, ove quest’ultima non consenta in alcun modo di
ricostruire il percorso logico seguito per attribuire all’atto negoziale un
determinato contenuto, solo per violazione dei canoni legali di ermeneutica
contrattuale, di cui gli artt. 1362 e ss. cod. civ. Il vizio di violazione di
legge deve essere dedotto con la specifica indicazione, nel ricorso per
cassazione, del modo in cui il ragionamento del giudice si sia discostato dai
canoni ermeneutici e dalla corretta applicazione dei medesimi e deve
rappresentare elementi idonei a far risultare l’errore nell’attività
ermeneutica del giudice di merito, cui l’interpretazione degli atti negoziali e
degli atti unilaterali è riservata (Cass. n. 28319 del 2017; n. 15471 del 2017;
n. 25270 del 2011; n. 15890 del 2007; n. 9245 del 2007).
16. Da tali premesse discende che le censure per
violazione degli artt. 1362 e ss. cod. civ. non possono risolversi nella mera
contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella
sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente
possibile ma solo una delle interpretazioni logicamente plausibili (v. Cass.
28319 del 2017).
17. Questa Corte ha anche chiarito che i canoni
legali di ermeneutica contrattuale sono governati da un principio di gerarchia,
in forza del quale i canoni strettamente interpretativi (artt. 1362 e 1365
c.c.) prevalgono su quelli interpretativi – integrativi (artt. 1366 e 1371
c.c.) e ne escludono la concreta operatività, quando l’applicazione dei primi
risulti, da sola, sufficiente a rendere palese la comune intenzione delle parti
stipulanti. Nell’ambito, poi, dei canoni strettamente interpretativi, ha valore
prioritario quello fondato sul significato letterale delle parole (art. 1362
c.c., comma 1), con la conseguenza che, quando quest’ultimo risulti
sufficiente, l’operazione ermeneutica deve ritenersi utilmente conclusa,
mentre, in caso contrario, il giudice può, in via sussidiaria e gradatamente,
ricorrere agli altri criteri al fine di identificare la comune intenzione delle
parti contraenti (v. Cass. n. 25270 del 2011; n. 20660 del 2005; n. 7548/2003).
18. La sentenza impugnata ha fatto corretta
applicazione dei principi finora richiamati.
19. E’ vero che lettera di assunzione conteneva un
espresso rinvio al “contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti
di aziende commerciali”, ma tale rinvio è stato giudicato equivoco dalla Corte
di merito e inidoneo a consentire l’individuazione del contratto (non
depositato neanche nei giudizi di merito), mancando la completa denominazione
dello stesso e la data di stipulazione del contratto vigente. In ragione della
inidoneità del dato letterale, che costituisce criterio interpretativo
prioritario, i giudici di rinvio, data la pacifica esistenza di un altro
contratto collettivo astrattamente applicabile ai dipendenti di aziende
operanti nel settore commerciale, hanno proceduto ad una lettura complessiva
delle clausole ed hanno cercato di ricostruire la volontà delle parti anche
alla luce della condotta dalle stesse tenuta nello svolgimento del rapporto di
lavoro. In tale ottica, è stato valorizzato anzitutto il riferimento, nella
lettera di assunzione, a proposito di trasferimento, all’art. 83 del contratto
collettivo vigente, unitamente al fatto che l’art. 83 c.c.n.l. Terziario disciplinava
proprio il trasferimento del lavoratore. Riscontri analoghi sono stati fatti
per altre disposizioni del contratto collettivo applicato, invocate da parte
datoriale nel corso del rapporto, e che trovano corrispondenza negli articoli
del c.c.n.l. Terziario (a proposito del licenziamento, con riferimento al
contratto vigente prima del recesso).
20. Il percorso interpretativo così delineato non
risulta in contrasto con i canoni ermeneutici e giunge ad una soluzione
logicamente plausibile, non l’unica possibile ma certamente una di quelle
compatibili con i dati testuali e con il comportamento complessivo delle parti.
Dal che consegue il rigetto delle censure esaminate, risultando tra l’altro la
motivazione adottata ampiamente rispondente ai requisiti richiesti dall’art.
132 n. 4 cod. proc. civ., come delineati dalle S.U. di questa Corte (sentenza
n. 8053 del 2014).
21. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile in
quanto censura, attraverso ampi richiami alle prove testimoniali e a documenti
prodotti nonché attraverso la rievocazione dei fatti accaduti, la valutazione
compiuta dai giudici di merito sul materiale probatorio, così collocandosi
all’esterno del perimetro di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. (v. Cass.,
S.U. n. 8053 del 2014) che attiene all’omesso esame di un fatto storico
decisivo, idoneo come tale a determinare un diverso esito della controversia,
là dove la semplice pluralità di fatti e circostanze richiamate dà conto del
carattere non decisivo di ciascuno di essi.
22. Parimenti inammissibile è il quarto motivo di
ricorso atteso che la sentenza impugnata soddisfa ampiamente il requisito del
cd. minimo costituzionale della motivazione.
23. Neppure
si configurano le violazioni di legge di cui al quinto motivo di ricorso,
relative alle norme disciplinanti il regime probatorio, poiché non è in
concreto dedotto un errore di percezione sul contenuto oggettivo della prova
(art. 115 cod. proc. civ.) oppure l’apprezzamento delle prove secondo un
criterio diverso da quello indicato dall’art. 116 cod. proc. civ. (v. Cass. n.
11892 del 2016; Cass. n. 25029 del 2015; Cass. n. 25216 del 2014), ma nella
sostanza un errore nella valutazione probatoria e nell’accertamento in fatto,
insindacabile in sede di legittimità.
24. E’ infine infondato il sesto motivo di ricorso
in quanto la complessiva motivazione della sentenza impugnata fonda la
legittimità del recesso, quanto all’elemento soggettivo, sulla “sussistenza di
uno stato volitivo della condotta” del lavoratore, integrante in senso lato
violazione del dovere di diligenza.
25. Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere
respinto.
26. La regolazione delle spese segue il criterio di
soccombenza.
27. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R.
n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello
stesso articolo 13.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla
rifusione delle spese di lite che liquida in € 4.000,00 per compensi
professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del
15% e accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del
d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17,
della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto
per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se
dovuto.