Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 dicembre 2021, n. 40301

CORTE DI CASSAZIONE – Sez. lav.
– Ordinanza 15 dicembre 2021, n. 40301

Giornalista, Collaborazione autonoma, Accertamento della
natura subordinata del rapporto di lavoro, Compenso, Prova

Rilevato che

 

1. Con sentenza n. 50 depositata l’1.2.2018, la Corte
d’appello di L’Aquila, in riforma della sentenza del Tribunale di Pescara, ha
accolto la domanda di L. T. proposta nei confronti di Il M. s.p.a. e
dell’istituto previdenziale INPGI, per l’accertamento della sussistenza di un
credito economico corrispondente al maggior importo spettante per la
collaborazione autonoma prestata a favore della testata giornalistica
dall’1.7.1999 al 19.9.2009 oltre al conseguente versamento di contributi
previdenziali dovuti sui maggiori compensi.

2. La Corte territoriale, dato atto della rinunzia
della domanda volta all’accertamento della natura subordinata del rapporto di
lavoro, ha rilevato che non poteva ritenersi provata la sussistenza di un
accordo delle parti in ordine al compenso da erogare per l’attività, con conseguente
applicazione, quale parametro equitativo di riferimento ex art. 2233 cod.civ.,
delle tariffe previste dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti in
relazione alle varie prestazioni rese (fornitura di notizie, articoli o
servizi); sottolineato che la prescrizione dei crediti maturati non poteva
ritenersi decorrere in costanza di rapporto (trattandosi di rapporto di lavoro
autonomo, nell’ambito del quale il lavoratore non aveva la garanzia
dell’applicazione del regime di tutela reale previsto per gli impiegati
dipendenti da un datore di lavoro) e che il contratto doveva ritenersi unico
per tutta l’attività espletata nel corso degli anni, il giudice del merito ha
incaricato un consulente tecnico d’ufficio per l’elaborazione dei conteggi,
pervenendo – a seguito di “lavoro di analisi eccellente e sicuramente gravoso
di classificazione della produzione giornalistica del T.” – all’accertamento e
alla condanna della somma complessiva (detratte le somme già percepite) di euro
103.420,47 a titolo di spettanze economiche, oltre versamento delle differenze
contributive; in considerazione della “fondatezza solo parziale della domanda e
del gravame, tenuto conto della soccombenza reciproca, dell’esito complessivo
del giudizio e della obiettiva controvertibilità delle questioni dirimenti” la
Corte territoriale ha compensato integralmente le spese di lite per entrambi i
gradi.

 3. La società
ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a tre motivi; L.
T. ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale fondato su
due motivi; l’INPGI ha resistito con controricorso.

 

Considerato che

 

1. Con il primo motivo del ricorso principale la
società lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.,
violazione e falsa applicazione degli artt. 2233, 1175, 1362, 1375 cod.civ.
avendo, la Corte territoriale, trascurato che la natura del rapporto di lavoro
era stata voluta ed accettata da entrambe le parti (come dimostrava la
rinunzia, nel corso del giudizio, all’accertamento della sussistenza di un
vincolo di subordinazione) e che il compenso era stato determinato sulla base
di una prassi affermatasi all’interno della redazione di Pescara, nota al T. ed
a tutti gli altri collaboratori (come emerso dalla prova testimoniale); avendo,
inoltre, la Corte, erroneamente evidenziato la risultanza della fissazione del
compenso da parte del caposervizio (sino al 2004) e successivamente sulla base
di un sistema automatico elaborato dall’Azienda, dovendo, invece, il giudice di
merito, verificare con maggior rigore, a fronte del principio della libertà
delle forme, la ricorrenza di un accordo tra le parti e di un uso (rilevante,
in via preferenziale, rispetto alle tariffe di categoria). L’originario
ricorrente non aveva, in realtà, allegato la mancanza di una pattuizione o un
dissenso all’accettazione dei compensi erogati e la percezione delle somme
corrisposte dalla società per un lungo lasso di tempo non poteva che confermare
la sussistenza di un accordo stipulato per facta concludentia.

2. Con il secondo motivo la società deduce, in
relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., violazione e falsa
applicazione dell’art. 61 della legge n. 276 del 2003, erronea applicazione
dell’art. 2233 cod.civ. avendo, la Corte distrettuale, da una parte fatto
riferimento al tariffario dell’Ordine applicabile ai collaboratori a progetto
(istituto entrato in vigore in epoca successiva alla fattispecie in esame) e,
dall’altra, trascurato l’espressa previsione della inapplicabilità della
disciplina alle professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è
necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali, mentre la
collaborazione coordinata e continuativa intercorsa tra le parti trovava la sua
unica fonte di determinazione del compenso nell’art. 2233 cod.civ. e
prioritariamente nell’accordo delle parti, non avendo – il tariffario
dell’Ordine dei giornalisti – efficacia cogente (e non potendo, dunque,
prevalere sulla volontà delle parti, anche ove abbiano concordato la
derogabilità dei minimi tariffari). La Corte territoriale non avrebbe, inoltre,
compiuto alcuna indagine sulla qualità della produzione articolistica del T..

3. Con il terzo motivo la società deduce, in
relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., violazione dell’art.
2948 cod.civ. avendo, la Corte territoriale, ignorato il consolidato
orientamento giurisprudenziale che prevede la sospensione del decorso della
prescrizione solamente con riguardo al rapporto di lavoro subordinato, con
esclusione di quello
parasubordinato, senza considerare che la collaborazione del T. atteneva alla
predisposizione di articoli e notizie su particolari argomenti e di conseguenza
l’incarico si esauriva con la consegna degli stessi alla redazione con
esclusione della configurabilità di un rapporto a tempo indeterminato.

4. Con il primo motivo di ricorso incidentale il
lavoratore denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5
cod.proc.civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 11, 35 della
legge n. 69 del 1963, 20ter, lett. a) del d.P.R. n 212 del 1972, nonché vizio
di motivazione avendo, la Corte territoriale, violato – con l’ordinanza
adottata il 19.10.2017 ove ha affermato la spettanza del compenso minimo
previsto dalle tariffe in caso di “almeno 14 collaborazioni al mese” in maniera
forfettaria, senza necessità di ulteriore adeguamento in proporzione al numero
degli articoli mensilmente redatti – le norme che richiedono la corresponsione
di una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del lavoro prestato,
ossia i criteri stabiliti dal Titolo II della tariffa dell’Ordine che prevedono
un compenso parametrato ad “almeno 14 collaborazioni al mese”, che dunque
presuppongono una riparametrazione direttamente proporzionale al superamento di
tale numero, in considerazione della qualità del committente, dei compiti
demandati al giornalista, dell’impegno necessario e del tempo richiesto, come
del pari analoghi principi sono sanciti dall’art. 2 del CCNL dei giornalisti,
dagli artt. 63 e ss. del d.lgs. n. 276 del 2003, dall’art. 1, comma 772 della
legge n. 296 del 2006, dal Titolo VIII del tariffario ed essendo emersa la
redazione di articoli e servizi pari a circa 30-38 mensili.

5. Con il secondo motivo di ricorso incidentale si
denunzia violazione degli artt. 91 e 92, secondo comma, cod.proc.civ., in
relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ. avendo, la Corte
territoriale, erroneamente compensato le spese di lite, non ricorrendo alcuna
grave ed eccezionale ragione di ordine equitativo o la fondatezza solo parziale
della domanda e del gravame, né una soccombenza reciproca, essendo anzi stata
accolta la domanda di liquidazione di compensi per l’attività prestata e non
rappresentando, la più circoscritta somma liquidata rispetto a quella
richiesta, profilo di soccombenza.

6. I primi due motivi del ricorso principale, che
possono esaminarsi congiuntamente attenendo entrambi all’accertamento
dell’eventuale accordo delle parti sul compenso da erogare per l’attività
prestata, sono inammissibili. Preliminarmente, il primo motivo è prospettato
con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per
cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno,
trascrivere nel ricorso il contenuto del ricorso introduttivo del giudizio (o
quantomeno i tratti salienti ove constatare l’allegazione concernente la
mancata pattuizione o il dissenso all’accettazione dei compensi erogati),
fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne
l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi solo così
ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del
principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione dall’art. 366,
comma 1, n. 6, e dall’art. 369, comma 2, n. 4 cod.proc.civ., (Cass. n. 3224 del
2014; Cass. Sez. Un. n. 5698 del 2012; Cass. Sez. Un. n. 22726 del 2011). In
ogni caso, i motivi appaiono inammissibilmente formulati, per avere ricondotto
sotto l’archetipo della violazione di legge censure che, invece, mirano ad
ottenere una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come
accertate e ricostruite dalla Corte territoriale. Deve rimarcarsi che in tema
di ricorso per Cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella
deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato,
della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica
necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa,
l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo
delle risultanze di causa (riguardante, nella specie, la sussistenza, ad avviso
dell’interessato, di un accordo tra le parti sul compenso da erogare per
l’attività prestata) è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge
e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito. Ma per i giudizi,
come il presente, ai quali si applica ratione temporis l’art. 360, n. 5 cod.
proc. civ. nel testo successivo alla modifica di cui all’art. 54 del d.l. 22
giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 – che ha molto
limitato l’ambito di applicabilità del controllo di legittimità sulla
motivazione – la censura dell’indicata valutazione è sindacabile in sede di
legittimità soltanto quando la relativa motivazione manchi del tutto, ovvero
sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su
espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente
inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili, oppure in
cui si riscontri l’omesso esame di un fatto storico decisivo, con la
conseguente riduzione al “minimo costituzionale” il sindacato di
legittimità sulla motivazione (vedi per tutte: Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053;
Cass. sez. un. 22 aprile 2014, n. 19881; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928). Evenienze
che qui non si verificano. La sentenza impugnata ha ampiamente esaminato i
fatti controversi ed accertato che – non essendo stato dimostrata la
stipulazione di un accordo sul compenso, “non potendo lo stesso desumersi sic
et simpliciter dal fatto che il T. non ha sollevato alcuna contestazione in
corso di rapporto al momento della percezione degli importi fatturati i quali
possono ben essere stati frutto di una determinazione unilaterale del
committente” – le spettanze economiche dovevano essere stabilite in applicazione
dei criteri dettati dall’art. 2233 cod.civ. che “pone una gerarchia di
carattere preferenziale tra i vari criteri di determinazione del compenso”
rinviando – in caso di mancato accordo tra le parti, alle tariffe, agli usi e
infine alla determinazione equitativa del giudice. Trattandosi di ricorso, da
parte della Corte territoriale, ai minimi tariffari fissati dall’Ordine quale
parametro equitativo, risultano ininfluenti le censure attinenti alla
inapplicabilità della disciplina dettata per il contratto a progetto. La Corte
territoriale si è conformata ai principi consolidati affermati da questa Corte,
secondo cui per le prestazioni giornalistiche non esistono tariffe
professionali, agli effetti dell’art. 2233 cod.civ., ma solo una tabella dei “compensi
minimi”, varata di anno in anno, ai sensi della legge n. 69 del 1963, la
quale, in assenza di specifiche disposizioni legislative che attribuiscano
all’Ordine dei giornalisti il potere di fissare compensi minimi inderogabili,
ha carattere indicativo e non vincolante (Cass. n. 11412 del 2016); l’art. 2233
cod. civ. stabilisce una gerarchia tra i vari criteri di determinazione del
compenso per le prestazioni di opera professionale e pone una garanzia di
carattere preferenziale, tra i vari criteri di determinazione, attribuendo
rilevanza, in primo luogo, alla convenzione intervenuta fra le parti. Solo in
mancanza di un accordo – come accertato nel caso di specie – è possibile
ricorrere alle tariffe e agli usi e, da ultimo, in mancanza di questi la
determinazione è demandata al giudice; non operano, invece, i criteri di cui
all’art. 36, primo comma, Cost., applicabili solo ai rapporti di lavoro
subordinato (cfr. Cass. n. 1900 del 2017). Le tabelle elaborate dal Consiglio
dell’Ordine non sono vincolanti, tuttavia esse rappresentano un valido criterio
orientativo in sede di determinazione giudiziale ex art. 2233 cod.civ. in
quanto forniscono elementi utili ai fini della individuazione dei minimi
inderogabili a garanzia dell’attività svolta dal professionista (cfr. Cass. n.
11412 del 2016 citata); pertanto il giudice se ne può parametricamente avvalere
nella sua liquidazione equitativa.

7. Il terzo motivo del ricorso principale è fondato.
La sospensione del corso della prescrizione durante lo svolgimento del rapporto
può essere invocata solo nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, perché
è ad esso che fa riferimento il corpus di pronunzie della Corte costituzionale
(sentenze 10.6.66 n. 63, 20.11.69 n. 143 e 12.12.72 n. 174), per il quale
l’art. 2948, n.4, cod.civ. è illegittimo limitatamente alla parte in cui
consente che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorra durante lo
svolgimento del rapporto di lavoro, salvo che il rapporto stesso non sia
caratterizzato dalle garanzie del pubblico impiego o degli artt. 1 della legge
n. 604 de 1966 e 18 della legge n. 300 del 1970 (Cass. n. 13323 del 2001; nello
stesso senso: Cass. n. 7929 del 1998, Cass. 11290 del 2000, Cass. n. 14645 del
2001, Cass. n. 9636 del 2003, Cass. 11024 del 2007). In tutte le statuizioni in
cui questa Corte ha accertato la concreta attuazione tra le parti di un vincolo
di subordinazione al di là del nomen iuris di lavoro autonomo attribuito al
negozio giuridico, ha ritenuto che la situazione di stabilità reale (che
consente il decorso della prescrizione in costanza di rapporto di lavoro ed
impedisce la sospensione della decorrenza del termine) deve essere valutata non
già con riguardo alla disciplina che astrattamente viene attribuita dal giudice
in sede di corretta qualificazione del rapporto bensì in riferimento alla
effettiva situazione psicologica di metus del lavoratore vissuta nell’attualità
del suo svolgimento, considerando che la libera recedibilità da un contratto
formalmente configurato dalle parti come autonomo o parasubordinato esclude
quella particolare forza di resistenza che la giurisprudenza dei Giudici delle
leggi pone quale presupposto per la decorrenza dei termini prescrizionali. Con
riguardo, invece, ai (genuini) rapporti c.d. parasubordinati, come quello di
cui si tratta, questa Corte ha affermato che il diritto al pagamento dei
compensi è soggetto alla prescrizione ordinaria di cui all’art. 2946 cod.civ.
ovvero alla prescrizione «breve» ex art. 2948, n. 4, cod. civ. (a seconda che
l’erogazione abbia, rispettivamente, natura episodica ovvero periodica) che
decorre dalla data di insorgenza del credito e che le ipotesi di sospensione
del decorso della prescrizione sono tassative e che, pertanto, non è possibile
introdurne in via interpretativa altre che il legislatore non abbia previsto
(Cass. n. 6364 del 1987, Cass. n. 12754 del 1995, Cass. n. 5733 del 1997). A
siffatti principi la Corte distrettuale, nel proprio incedere argomentativo,
non si è conformata, laddove ha accertato che la stabilità reale del rapporto scrutinato
non era garantita ex ante al ricorrente dall’art.18 1.300/70 ed ha ritenuto
sospesa la prescrizione dei compensi economici, in quanto ha trascurato che il
rapporto tra le parti ha avuto, pacificamente, carattere di lavoro
parasubordinato, trattandosi di collaborazione coordinata e continuativa,
avendo il lavoratore rinunziato alla domanda di accertamento della natura
subordinata del rapporto di lavoro. Potendosi invocare, dunque, la sospensione
del corso della prescrizione durante lo svolgimento del rapporto solamente
nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato (eventualmente anche accertato
ex post, per via giudiziale), nel caso di specie va applicato il principio
generale dettato dall’art. 2935 cod.civ. di decorrenza della prescrizione
(quinquennale, ex art. 2948, n. 4, cod.civ.) dalla data di maturazione del
diritto preteso.

8. Il primo motivo di ricorso incidentale è
inammissibile. La sentenza impugnata (pag. 6) ha precisato di riconoscere al T.
un compenso adeguato alla quantità e qualità del lavoro prestato,
parametrandosi ai compensi normalmente corrisposti a prestazioni di analoga
professionalità (richiamando l’art. 63 d.lgs. n. 276 del 2003 e l’art. 1, comma
772, della legge n. 296 del 2006) e, avvalendosi di un ausiliario all’uopo
incaricato che ha proceduto alla classificazione della produzione
giornalistica, ha quantificato gli importi differenziali spettanti, prendendo a
base di riferimento i compensi minimi, di carattere indicativo, previsti
dall’Ordine dei giornalisti secondo un apprezzamento di fatto insindacabile in
questa sede. La pronuncia è conforme alle statuizioni affermate da questa Corte
secondo cui il compenso per prestazioni dei professionisti, ove non sia stato
liberamente pattuito, va determinato in base alla tariffa ed adeguato
all’importanza dell’opera, non potendosi inoltre ritenere inderogabili i minimi
tariffari in quanto trattasi di precetti non riferibili ad un interesse
generale, cioè dell’intera collettività, ma solo ad un interesse della
categoria professionale. (Cass. n. 1900 del 2017, Cass. n. 5231 del 2012, Cass.
n. 17222 del 2011, Cass. n. 21235 del 2009, Cass. n. 1223 del 2003).

9. Il secondo motivo del ricorso incidentale è
assorbito, posto che la regolazione delle spese di lite dei due gradi di
giudizio va effettuata con riguardo all’esito complessivo del giudizio.

10. In conclusione, va accolto il terzo motivo del
ricorso principale, inammissibili il primo ed il secondo motivo del ricorso
principale e il primo motivo del ricorso incidentale, assorbito il secondo; la
sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di L’Aquila, in
diversa composizione, che provvederà altresì sulle spese del presente giudizio
di legittimità.

 

P.Q.M.

 

accoglie il terzo motivo del ricorso principale,
inammissibili il primo ed il secondo motivo; rigetta il ricorso incidentale
[rigetta il primo motivo del ricorso incidentale, assorbito il secondo motivo];
cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di L’Aquila, in
diversa composizione, che provvederà altresì sulle spese del presente giudizio
di legittimità.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 dicembre 2021, n. 40301
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