Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 dicembre 2021, n. 40207

Licenziamento, Superamento del periodo di comporto,
Trasferimento, Soluzione punitiva, Demansionamento, Valutazione delle prove

 

Fatti di causa

 

1. Con sentenza n. 15775/2019 la S.C. respinse il
ricorso per cassazione di A.M. avverso la sentenza della Corte di appello di
Roma che in riforma della decisione di primo grado aveva rigettato la domanda
del M. di declaratoria di illegittimità, con le conseguenze ex art. 18 St.
lav., del licenziamento intimato da L. Italia s.r.l. per superamento del
periodo di comporto.

2. Per la revocazione della decisione ha proposto
ricorso A.M. sulla base di tre motivi; la parte intimata ha resistito con
controricorso.

3. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai
sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.;

4. Il PG ha depositato requisitoria scritta con la
quale ha concluso per l’inammissibilità o il rigetto del ricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente
denunzia errore revocatorio della sentenza impugnata nella parte in cui aveva
respinto il primo aspetto del primo motivo di ricorso per cassazione di cui
alle pagg. 6-12, punto 1.1. e nella parte in cui aveva rigettato il punto 1.2.
del primo motivo di ricorso per cassazione.

1.1. Con riferimento al primo profilo premette che
la sentenza revocanda aveva ritenuto che nel primo motivo di ricorso per
cassazione fossero state svolte una serie di allegazioni in fatto
“diverse”, che esulavano dal thema decidendum, e che non era stato
rispettato il principio di specificità per non avere il ricorrente per
cassazione indicato dove avesse svolto tali deduzioni in sede di gravame;
l’errore revocatorio è prospettato per avere la SC ritenuto che in sede di
ricorso per cassazione fosse stata prospettata una differente ricostruzione
fattuale della vicenda laddove il motivo di ricorso per cassazione si limitava
a denunziare con riferimento alla medesima descrizione fattuale della Corte di
appello la erronea sussunzione della vicenda in un contesto di legalità
anziché, come corretto, in un contesto di violazione di una serie di norme
imperative e del contratto collettivo; la presupposizione di un fatto
inesistente si era tradotta nell’omesso giudizio del motivo di ricorso
effettivamente prospettato.

1.2. Con riferimento al secondo profilo del primo
motivo premette che il ricorso per cassazione – punto. 1.2.- censurava l’omesso
esame di circostanze decisive nell’attività di scrutinio della condotta tenuta
da L.I. nella vicenda dell’assunzione del M.; tali circostanze erano costituite
dal fatto che il trasferimento a L.I. era destinazione non gradita al
lavoratore e qualificata dai superiori come soluzione punitiva, dalle pressioni
ricevute per sottoscrivere la lettera di demansionamento presso L. S.I., tesa
ad evitare il passaggio a L.I., dal concorso delle due società L.I. e L. SI e
dal fatto che le mansioni del M. erano state mantenute presso la società di
provenienza anche dopo le sue dimissioni.

2. Con il secondo motivo di revocazione parte
ricorrente deduce l’errore revocatorio in relazione al rigetto del terzo motivo
del ricorso per cassazione. Premette che con tale motivo era stata dedotta la
nullità della sentenza, ex art. 360, n. 4, cod. proc. civ. in relazione alla
trattazione e disamina delle vicende lavorative che avevano causato la malattia
del lavoratore, nonché delle risultanze della c.t.u. e delle prove
testimoniali, che la Corte aveva travisato completamente la domanda del
ricorrente circa il collegamento tra le due società e che nell’escludere
l’illegittimità della vicenda inerente il passaggio a L.I. non aveva indicato
le fonti del proprio convincimento né le ragioni di diritto, omettendo di
spiegare l’iter logico seguito; era stato inoltre evidenziato che le risultanze
della C.T.U. erano indicative di una diversa situazione, che aveva determinato
l’insorgenza della malattia in un periodo coincidente con i fatti emersi
dall’istruttoria.

2.1. L’errore revocatorio viene identificato
nell’avere la sentenza impugnata ritenuto il terzo motivo vertere unicamente
sul difetto di motivazione ai sensi dell’art. 132, comma 1, n. 4 cod. proc.
civ. laddove esso era fondato anche sul travisamento della ctu e della prova
testimoniale, profilo ribadito anche nella memoria depositata ai sensi dell’art.
378 cod. proc. civ.

3. Con il terzo motivo deduce errore revocatorio in
relazione al rigetto del quarto motivo del ricorso per cassazione, per errata
percezione del reale contenuto delle censure articolate con il detto motivo; in
particolare assume che la denunzia di “omesso esame” ai sensi
dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. formulata con il quarto motivo di
ricorso per cassazione concerneva tre profili e non due come affermato dal
giudice di legittimità il quale aveva in realtà affrontato solo un profilo
rinviando nel resto alle ragioni di rigetto del terzo motivo del ricorso per
cassazione. Il rinvio alle ragioni di rigetto del terzo motivo di ricorso
evidenziava un duplice errore revocatorio: a) l’avere supposto l’esistenza di
una contestazione relativa alla valutazione delle prove; b) l’avere supposto
erroneamente la inesistenza dell’intero motivo di ricorso sull’omesso esame ex
art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc.civ.; c) l’avere ritenuto, per effetto di
errore percettivo, che la doglianza relativa al mancato rispetto dei parametri
formativi era nuova.

4. Il ricorso è inammissibile.

4.1. Preliminarmente all’esame dei singoli motivi
occorre premettere che questa Corte in tema di revocazione ha ripetutamente
affermato che l’errore di fatto previsto dall’art. 395, n. 4, cod. proc. civ.,
idoneo a costituire motivo di revocazione, si configura come una falsa
percezione della realtà, una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile,
la quale abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo
incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l’inesistenza di un
fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente
accertato; esso si configura come meramente percettivo tale da non coinvolgere
in nessun modo l’attività valutativa del giudice di situazioni processuali
esattamente percepite nella loro oggettività; l’errore deve, pertanto, apparire
di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la
sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini
ermeneutiche, e non può consistere, per converso, in un preteso, inesatto
apprezzamento delle risultanze processuali, vertendosi, in tal caso, nella
ipotesi dell’ errore di giudizio, denunciabile con ricorso per cassazione,
entro i limiti di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.; l’errore revocatorio
presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso
fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti
processuali, sempreché la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di
supposizione e non di giudizio; ne consegue che non è configurabile l’errore
revocatorio per vizi della sentenza che investano direttamente la formulazione
del giudizio sul piano logico-giuridico o siano frutto di un qualsiasi
apprezzamento delle risultanze processuali, ossia di una viziata valutazione
delle prove o delle allegazioni delle parti, essendo esclusa dall’area degli
errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base
di una valutazione v. tra le altre, Cass. n. 22171 del 2010, Cass. n. 8180 del
2009, Cass. n. 14267 del 2007, Cass. n. 4015 del 2006, Cass. n.3652 del 2006).

4.2. Con specifico riferimento alla revocazione
delle sentenze della Corte di cassazione si è affermato che l’errore
revocatorio è configurabile nelle ipotesi in cui la Corte sia giudice del
fatto, individuandosi nell’errore meramente percettivo risultante in modo
incontrovertibile dagli atti e tale da aver indotto il giudice a fondare la valutazione
della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un
fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, che, ove
invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della
situazione processuale, e non anche nella pretesa errata valutazione di fatti
esattamente rappresentati; non risulta pertanto viziata da errore revocatorio
la sentenza della Corte di Cassazione nella quale il collegio abbia dichiarato
l’inammissibilità del ricorso per motivi attinenti al merito delle questioni ed
a valutazioni di diritto, e segnatamente alla asserita erronea applicazione di
norme processuali, vertendosi, in tali casi, su errori di giudizio della Corte,
con conseguente inammissibilità del ricorso per revocazione. (Cass. 16136 del
2009, Cass. n. 3365 del 2009, Cass. SS.UU. n. 26022 del 2008). In questa
prospettiva è stato precisato che “ove il ricorrente deduca, sotto la
veste del preteso errore revocatorio, l’errato apprezzamento da parte della Corte
di un motivo di ricorso – qualificando come errore di percezione degli atti di
causa un eventuale errore di valutazione sulla portata della doglianza svolta
con l’originario ricorso – si verte in un ambito estraneo a quello dell’errore
revocatorio, dovendosi escludere che un motivo di ricorso sia suscettibile di
essere considerato alla stregua di un “fatto” ai sensi dell’art. 395
c.p.c., comma 1, n. 4, potendo configurare l’eventuale omessa od errata
pronunzia soltanto un “errar in procedendo” ovvero “in iudicando”,
di per sé insuscettibili di denuncia ai sensi dell’art. 391-bis cod. proc. ci. (Cass. n. 5221 del
2009, Cass. n. 9853 del 2012). Non può, quindi, ritenersi inficiata da errore
di fatto la sentenza della Suprema Corte della quale si censuri la valutazione
del motivo d’impugnazione, in quanto espressa senza considerare le
argomentazioni contenute nell’atto di impugnazione, perché in tal caso è
dedotta una errata valutazione ed interpretazione degli atti oggetto di ricorso
(Cass. n. 10466 del 2011, Cass. n. 14608 del 2007); va esclusa altresì la
ricorrenza di errore revocatorio, nelle pronunzie di questa Corte, nel preteso
errore sul contenuto concettuale delle tesi difensive delle parti, anch’esse
non integranti “fatto” nei riferiti termini (Cass. n. 11657 del
2006), nel preteso errore nell’individuazione delle questioni oggetto di motivi
del ricorso (Cass. n. 5086 del 2008), nel preteso errore nell’interpretazione
dei motivi (Cass. n. 9533 del 2006) o nella lettura del ricorso (Cass. n. 5076
del 2008), così come, infine, nel preteso errore sull’esistenza, o meno, di una
censura (Cass. n. 24369 del 2009).

4.4. Alla stregua della richiamata giurisprudenza
tutti e tre i motivi di revocazione articolati risultano inidonei a dare
contezza dell’errore revocatorio denunziato sia perché questo non appare di
immediata percezione e rilevabilità ma frutto di complicate argomentazioni
induttive e indagini ermeneutiche sia perché quello che in concreto costituisce
oggetto di doglianza investe, in realtà, la interpretazione dei motivi del
ricorso per cassazione e quindi un ambito per definizione sottratto all’area
dell’errore revocatorio.

4.5. In particolare, venendo all’esame del primo
motivo di revocazione, si premette che la sentenza impugnata ha così riassunto
il primo motivo del ricorso per cassazione: <<Con il primo motivo, sono
denunziate violazione o falsa applicazione degli art. 2110, 2697, 1218, 2103 e
2087 c.c., degli artt. 2, 4, 32 e 41, co. 2, Cost. e dell’art. 100 CCNL
Terziario Distribuzione e Servizi, nonché omesso esame di fatti decisivi in
relazione al comportamento concorrente di L.S.I. e L. Italia nella vicenda che
aveva costretto il lavoratore a dimettersi e ad accettare l’assunzione presso
destinazione non gradita. Si assume che al M. era stata prospettata una
svilente e pretestuosa dequalificazione, in violazione del c.c.n.I. e del
principio di irriducibilità della retribuzione, e che tale soluzione aveva
costituito un espediente per costringerlo alle dimissioni ed al passaggio a L.
Italia, con intento discriminatorio posto in essere da entrambe le società, con
comune intento. Si aggiunge che la Corte non aveva considerato che non era
stata fornita la prova dell’esistenza delle ragioni giustificative del
prospettato demansionamento e dell’adozione di tutte le misure atte a
salvaguardare la salute del dipendente e che il relativo onere gravava sul
datore di lavoro. In sostanza, si sostiene che il comportamento elusivo
dell’art. 2103 c.c. integrava palese ed intenzionale violazione, da parte di
entrambe le società, dell’obbligo di rango costituzionale di non arrecare danno
alla sicurezza, libertà e dignità della persona e di adottare tutte le misure a
tutela dell’integrità psico fisica del lavoratore. Ciò comprovava, a dire del
ricorrente, il grave disagio emotivo sfociato nella malattia psicosomatica che
aveva condotto al superamento del comporto, circostanza che rendeva illegittimo
il licenziamento comminato per violazione dell’art. 2110, 2° co. c.c., perché
le assenze erano dipese da responsabilità del datore, per mancata osservanza
dei precetti prima indicati. Si assume anche che non erano stati considerati
fatti decisivi, quali il comportamento concorrente di L. Italia e L. Servizi
Immobiliari nella vicenda che aveva costretto il lavoratore a dimettersi e ad
accettare l’assunzione presso destinazione non gradita >>.

A tale motivo la sentenza impugnata ha così
risposto: << Le censure formulate nel primo motivo esulano dal thema
decidendum, non essendo indicato, per il principio di specificità del ricorso,
in quali termini i rilievi fondati sul comportamento discriminatorio tenuto da
entrambe le società in comunanza di intenti fosse stato dedotto in sede di
gravame, dovendo, peraltro, il M. in quella sede proporre appello incidentale
per vedere riconosciuta una differente ricostruzione della vicenda quale quella
in questa sede prospettata, che si fonda su fatti che non risultano essere
stati allegati e comunque non idoneamente trascritti, con ciò non potendosene
escludere neanche la connotazione di novità. Il vizio di omesso esame non
chiarisce in che termini il fatto dedotto avrebbe potuto incidere in termini di
decisività per una soluzione diversa della controversia e tutta la
prospettazione mira a censurare inammissibilmente un apprezzamento di merito svolto
dalla Corte territoriale. >>

4.6. Tanto premesso, occorre in primo luogo rilevare
un difetto di specificità del motivo di revocazione che omette di trascrivere
il contenuto del primo motivo di ricorso per cassazione onde consentirne
l’esame sulla base della sola lettura del ricorso per revocazione senza
necessità di ricorrere a fonti integrative, come prescritto (Cass. n. 4840 del
2006, Cass, n. 16360 del 2004, Cass. Sez. Un. n. 2602 del 2003, Cass. n. 4743
del 2001).

4.7. In secondo luogo, la deduzione dell’esistenza
di un errore percettivo riferita al fatto che la Corte di cassazione non aveva
rilevato, nel rigettare il punto 1.1. del primo motivo di ricorso per
cassazione, che la censura articolata concerneva la inesatta sussunzione della
fattispecie accertata dalla Corte territoriale, non trova riscontro nella
medesima illustrazione del contenuto del primo motivo di ricorso per cassazione
operata dal ricorrente in revocazione (v. in particolare pag.16 , 3°
capoverso).

Osservato che l’errore sussuntivo esprime, in
estrema sintesi, la non corrispondenza tra fatto previsto e regolato dalla
legge e fatto affermato nella sentenza, si rileva che il ricorrente per
cassazione non deduce che il fatto, quale accertato dalla Corte di merito, era
regolato da una specifica norma di legge o di contratto collettivo diversa da
quella in concreto applicata dal giudice di legittimità, ma ne pretende in
concreto una diversa valutazione che ne escluda la riconduzione al <<
contesto di legalità>> ( come, viceversa, ritenuto dalla Corte di merito)
laddove sostiene che la concreta fattispecie era in realtà elusiva di norme
imperative e del contratto collettivo; la verifica del carattere elusivo di
determinate condotte, formalmente legittime, per come ritenute dalla Corte distrettuale,
appartiene, infatti, al giudizio di fatto e non alla falsa applicazione di una
norma di diritto.

La correttezza di tale conclusione trova chiara
conferma nel prosieguo della illustrazione del motivo di revocazione nel quale
si richiama l’accertamento operato dalla Corte di appello in merito alla
vicenda che aveva portato alle dimissioni del M. ed alla instaurazione del
rapporto di lavoro con L. Italia, puntualizzandosi che a detta della Corte
territoriale tali fatti avevano generato una vicenda legittima, laddove la
prospettazione dell’errore sussuntivo in sede di ricorso per cassazione avrebbe
presupposto l’accertamento da parte del giudice di appello del carattere
elusivo delle condotte in oggetto, senza tuttavia trarne le dovute conseguenze
sul piano del diritto.

4.8. In merito al secondo errore revocatorio
riferito al primo motivo del ricorso per cassazione se ne rileva la
inammissibilità per difetto di pertinenza con le argomentazioni della sentenza
revocanda la quale non nega che vi sia stata deduzione da parte del ricorrente
della decisività dei fatti dei quali è denunziato omesso esame ma afferma che
non è chiarito << in che termini il fatto dedotto avrebbe potuto incidere
in termini di decisività per una soluzione diversa della controversia>>;
in altri termini, la Suprema Corte si pone su un piano concettualmente diverso
dal mancato rilievo della deduzione di omesso esame in quanto esprime una
valutazione di adeguatezza e congruità della censura, valutazione sottratta per
costante giurisprudenza all’ambito dell’errore revocatorio.

4.9. Con riferimento al secondo motivo di
revocazione si premette che la sentenza revocanda ha così riassunto il terzo
motivo di ricorso: <<3. Con il terzo motivo, è dedotta la nullità della
sentenza, ex art. 360, n. 4, c.p.c., per violazione degli artt. 113, 132, co.
2, n. 4, c. p.c. e degli artt. 24 e 111, co. 6, Cost., in relazione alla
trattazione e disamina delle vicende lavorative che avevano causato la malattia
del lavoratore, nonché delle risultanze della c.t.u. e delle prove
testimoniali, ritenendosi che la Corte abbia travisato completamente la domanda
del ricorrente circa il collegamento tra le due società e che, nell’escludere
l’illegittimità della vicenda inerente il passaggio a L.I., la Corte non abbia indicato
né le fonti del convincimento, né le ragioni di diritto, omettendo di spiegare
l’iter logico seguito. Si ritiene che le risultanze della C.T.U. fossero
indicative di una diversa situazione, che aveva determinato l’insorgenza della
malattia in un periodo coincidente con i fatti emersi dall’istruttoria.
>>.

Il motivo è stato respinto con le seguenti
argomentazioni. << Il terzo motivo non è idoneo a dimostrare un’assenza
di motivazione ed anche con lo stesso si tende a contestare la valutazione
delle prove compiuta dal giudice del gravame, che ha evidenziato come il C.T.U.
non avesse preso in considerazione specifiche condotte illecite ascrivibili
alla L. Italia rispetto alle quali, anzi, i testi escussi avevano confermato
che il piano formativo si era svolto in maniera regolare, in coerenza con il
relativo progetto, prevedente l’alternarsi di attività di diverso tipo,
funzionali alla destinazione definitiva del M. a capo filiale.>>.

4.10. Parte ricorrente identifica l’errore
revocatorio riferito all’esame del terzo motivo di ricorso per cassazione
nell’avere la sentenza impugnata ritenuto il terzo motivo vertere unicamente
sul difetto di motivazione ai sensi dell’art. 132, comma 1, n. 4 cod. proc.
civ. laddove tale motivo era fondato anche sul travisamento della ctu e della
prova testimoniale, profilo ribadito anche nella memoria depositata ai sensi
dell’art. 378 cod. proc. civ.

Tanto tuttavia non emerge dalla motivazione del
provvedimento qui impugnato in quanto la statuizione di rigetto del terzo
motivo del ricorso per cassazione deve leggersi in necessaria correlazione con
il contenuto dello stesso quale ricostruito dalla S.C. che fa esplicito
riferimento anche alla questione delle risultanze della ctu e della prova
orale. Quindi, tale profilo non è pretermesso ma semplicemente considerato in
funzione dell’interpretazione delle censure articolate come intese a
contrastare la valutazione delle prove; è rispetto a tale interpretazione, che
per quanto sopra evidenziato si colloca al di fuori dell’area dell’errore
revocatorio, che il giudice di legittimità si è pronunziato ritenendo la
censure sostanzialmente inammissibile in quanto intese a sollecitare un diverso
apprezzamento delle prove e della ctu.

4.11. In merito al terzo motivo di revocazione si
premette che la sentenza impugnata ha così ricostruito il quarto motivo:
<< Con il quarto motivo, si ascrive alla decisione impugnata violazione
dell’art. 360, n. 5, c.p.c., per omesso esame di fatti decisivi costituiti dal
disimpegno di lavori di pulizia e mansioni promiscue nelle filiali, dal mancato
rispetto dei parametri di formazione e delle risultanze della c.t.u.>>. E
lo ha deciso nei seguenti termini: << Quanto al quarto motivo, con
riguardo al primo profilo dedotto, vale quanto sopra detto, laddove per il secondo
si ravvisano profili di novità, che rendono inammissibile la doglianza con
riguardo al denunciato mancato rispetto dei parametri formativi.>>.

4.12. Tanto premesso, ricordato che l’errore
percettivo viene individuato nel fatto che la denunzia di omesso esame
articolata con il quarto motivo era riferita a tre profili e non a due, come
invece affermato dalla Corte e che tali profili concernevano l’omesso esame di
lavori di pulizia, mansioni manuali, inferiori promiscue e surmenage
lavorativo, l’omesso esame del mancato rispetto dei parametri formativi e
l’omesso esame delle risultanze favorevoli della CTU, si rileva che alcun
errore percettivo si ravvisa a riguardo nella sentenza impugnata la quale nella
ricostruzione del tenore delle censure ha fatto espresso riferimento a tutti
gli aspetti in oggetto che ha puntualmente esaminato in tutte le loro
articolazioni.

4.12. Ciò posto le ulteriori deduzioni articolate
dal ricorrente che lamentano la mancata percezione dello svolgimento di lavori
di pulizia delle filiali totalmente trascurato dalla Corte di appello, così
come il disimpegno di mansioni inferiori non configurando alcun errore
percettivo da parte del giudice di merito ma si inscrivono nella diversa
valutazione attinente alla ricostruzione fattuale operata dalla Corte di merito
ritenuta non incrinata dalle deduzioni del ricorrente da parte del giudice di
legittimità.

5. All’inammissibilità del motivo segue la
regolazione secondo soccombenza delle spese di lite.

6. Sussistono i presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma
del comma 1 bis dell’art.13 d. P.R. n. 115/2002 (Cass. Sez. Un. 20/09/2019 n.
23535)

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte
ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione che liquida in
€ 4.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese
forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1
bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 dicembre 2021, n. 40207
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