Il principio di diritto enunciato dalla sentenza rescindente della Cassazione è vincolante per il giudice di rinvio, ma tale regola soffre eccezione quando la norma da applicare sia stata successivamente abrogata, modificata o sostituita per effetto di jus superveniens. Ne consegue che il licenziamento intimato dall’agenzia di somministrazione deve ritenersi giuridicamente inesistente e come tale non idoneo a produrre l’effetto estintivo del rapporto di lavoro presso l’utilizzatore.
Nota a App. Roma 1° ottobre 2021
Alfonso Tagliamonte
In merito ad una vicenda di somministrazione di manodopera irregolare verificatasi nel 2008, la Suprema Corte, cassando una precedente pronuncia, ha stabilito il seguente principio di diritto: tra gli atti compiuti dal somministratore e aventi efficacia in capo all’utilizzatore rientra anche il licenziamento, ai sensi dell’art. 27, del D.Lgs. n. 276/2003 (Cass. n. 6668/2019).
La Corte ha ritenuto, in estrema sintesi, il licenziamento del somministratore come atto direttamente imputabile all’utilizzatore della prestazione di lavoro e, quindi, sotto altro versante, non ha inteso operante il risarcimento del danno disposto dall’art. 32, co. 5, L. n. 183/2010, laddove non si verta in materia di “conversione del contratto a tempo determinato”.
Sulla base di tale statuizione, sorgerebbe l’obbligo, in capo al giudice del rinvio, di uniformarsi al principio enunciato dalla Corte di Cassazione, a norma dell’art. 384 c.p.c.
La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza del 1° ottobre 2021, ha invece rilevato che, “l’obbligo del giudice di rinvio di uniformarsi alla regula iuris enunciata dalla Corte di Cassazione a norma dell’art. 384 c.p.c. viene meno quando la disposizione da applicare, in aderenza al principio di diritto, sia stata successivamente sostituita per effetto di “jus superveniens“, comprensivo sia dell’emanazione di una norma di interpretazione autentica sia della dichiarazione di illegittimità costituzionale (ex multis, Cass. n. 13873/2012; n. 18824/2008, n.12095/2007, n. 23169/06)”.
Proprio in ragione di ciò, il giudice del rinvio non ha potuto applicare l’art. 27, D.Lgs. n. 276/2003 (sostituito, a far tempo dal 25 giugno 2015, dal co. 3 dell’art. 38, D.Lgs. n. 81/2015) richiamato nel testo della pronuncia della Cassazione. Infatti, essendo stata emanata la norma interpretativa di cui all’art. 80bis del D.L. n. 34/2020, conv. in L. n. 77/2020, il secondo periodo del co. 3 dell’art. 38, del D.Lgs. n. 81/2015, deve essere interpretato nel senso “che fra gli atti compiuti o ricevuti dal somministratore (o dall’appaltatore) nella costituzione e nella gestione del rapporto di lavoro – che si intendono come compiuti o ricevuti dal soggetto che ha effettivamente utilizzato la prestazione lavorativa – non è ricompreso l’atto di licenziamento.
“Tale norma di interpretazione autentica, quantunque (si noti) riferita all’art. 38 co. 3, D.Lgs. n. 81/2015, non può che ragionevolmente trovare applicazione anche per il testo normativo nella sua formulazione pregressa e qui applicabile ratione temporis (id est, art. 27 D.Lgs. n. 276/2003), trattandosi (a ben vedere) di mera “novazione normativa”, ferma la assoluta continuità dell’enunciato normativo oggetto di interpretazione autentica. D’altronde la norma di interpretazione autentica non avrebbe potuto, invero, intervenire in relazione al contenuto normativo dell’art. 27, D.Lgs. n. 276/2003, cit., già abrogato e integralmente riprodotto nel testo dell’art. 38, D.Lgs. n. 81 del 2015, cit.”
Pertanto, nel caso esaminato dalla Corte d’Appello di Roma, il licenziamento intimato dall’agenzia di somministrazione deve ritenersi giuridicamente inesistente e come tale non idoneo a produrre l’effetto estintivo del rapporto di lavoro presso l’utilizzatore.
Sicché, vista l’inesistenza giuridica del licenziamento (che non può rientrare fra gli atti ex lege imputabili all’effettivo utilizzatore delle prestazioni lavorative), va accertata, in sede di rinvio, l’effettiva titolarità del rapporto di lavoro in capo all’impresa utilizzatrice con conseguente ordine di ripristino del rapporto presso la stessa, assieme alla conseguente pronuncia sulle spettanze retributive dal giorno della messa in mora sino alla data di ripristino del rapporto (Cass. S.U. n. 2990/2018). Dalle somme dovute andrà, tuttavia, detratto quanto percepito dal lavoratore durante i periodi lavorati sino alla reintegra.