Il datore di lavoro è tenuto ad avvertire il lavoratore assente per malattia circa l’imminente superamento del periodo di comporto se le assenze indicate in busta paga sono inferiori a quelle reali.
Nota ad App. Roma 20 settembre 2021
Flavia Durval
In linea generale, il datore di lavoro non ha alcun obbligo di preavvertire il lavoratore dell’imminente superamento del periodo di comporto se la contrattazione collettiva non contiene un’espressa previsione in tal senso (v. fra tante, Cass. n. 20761/2018 e Cass. n. 14891/2006).
Tuttavia, tale adempimento è necessario “per correggere le indicazioni erronee e fuorvianti che lo stesso datore di lavoro aveva fornito al lavoratore nei prospetti presenze allegati alle buste paga e quindi per eliminare quel ragionevole affidamento ingenerato nel lavoratore dal precedente e reiterato comportamento datoriale”.
Lo afferma la Corte di Appello di Roma 21 settembre 2021, la quale precisa che nel caso sottoposto al suo giudizio, sulla base dei prospetti presenze allegati alle buste paga consegnate dal datore di lavoro, il ricorrente era stato “ragionevolmente indotto a ritenere di avere accumulato un numero di giorni di assenza per malattia di gran lunga inferiore al reale”.
È vero, affermano i giudici, che il prestatore avrebbe potuto verificare autonomamente il numero effettivo di assenze per malattia, eventualmente accedendo al portale web dell’Inps, ma è anche vero che il comportamento attuato dal datore di lavoro, il quale ha fornito indicazioni fuorvianti al lavoratore, non risponde ai criteri di buona fede e correttezza.
Nello specifico, a causa della condotta datoriale in questione, il lavoratore è stato indotto a ritenere che l’azienda avrebbe considerato rilevanti, ai fini del comporto, solo quelle assenze indicate nei predetti prospetti e non le altre. Perde perciò “ogni valenza contraria la riferita possibilità di verificare autonomamente il numero effettivo di assenze per malattia, eventualmente accedendo al portale web dell’Inps: quand’anche questa verifica fosse stata compiuta, comunque sarebbe rimasto nel reclamante il ragionevole affidamento – indotto dal reiterato comportamento datoriale – nel fatto che il proprio datore di lavoro avrebbe considerato rilevanti, ai fini del calcolo del comporto, solo alcune di quelle assenze e non tutte”.
In questo quadro, il Collegio, in riforma della sentenza di primo grado, ha disposto la reintegrazione della dipendente che aveva impugnato il licenziamento per superamento del periodo di comporto.