Sottoposizione al giudizio della Corte Costituzionale delle previsioni che non consentono di calcolare la pensione di vecchiaia dei lavoratori marittimi, escludendo dal computo, a ogni effetto, il prolungamento contributivo di cui all’art. 24 della L. n. 413/1984, qualora tale calcolo porti a un risultato più favorevole per l’interessato.
Nota a Trib. Cassino (ord.) 21 giugno 2021, n. 206
Alfonso Tagliamonte
Il Tribunale di Cassino ha dichiarato non manifestamente infondata per contrasto con gli artt. 3, 36 e 38, co. 2, Cost., la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 3, co. 8, L. 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica) e dell’art. 24, L 26 luglio 1984 n. 413 (Riordinamento pensionistico dei lavoratori marittimi) “nella parte in cui tali norme non consentono che la pensione di vecchiaia venga calcolata escludendo dal computo, ad ogni effetto, il prolungamento previsto dal citato art. 24, qualora l’assicurato abbia maturatati con tale esclusione i requisiti per la pensione di vecchiaia e tale calcolo porti ad un risultato più favorevole per l’interessato”.
Il Tribunale ha pertanto sospeso il procedimento e trasmesso gli atti alla Corte Costituzionale, rilevando, a sostegno dell’incostituzionalità delle disposizioni in parola, che:
a) “il ricorrente ha maturato nell’assicurazione obbligatoria un numero di contributi che sommati a quelli effettivi maturati nella previdenza marinara, superano abbondantemente il minimo previsto per il conseguimento del diritto al pensionamento di vecchiaia”;
b) l’art. 24, L. n. 413/1984 incide “in modo significativo nel calcolo della retribuzione media rivalutata relativa agli ultimi cinque anni di contribuzione, determinando una diminuzione dell’importo della pensione mensile che il ricorrente avrebbe diritto a percepire se non fosse stato applicato il citato prolungamento”;
c) nella fattispecie sottoposta al vaglio dei giudici, secondo la Corte Costituzionale, gli effetti derivanti dalla disciplina contenuta nell’art. 3 co. 8, L. n. 297/1982 (in combinato disposto con l’art. 24, L. n. 413/1984) “risultano irrazionali e privi di giustificazione”, poiché “nella fase successiva al perfezionamento del requisito minimo contributivo, l’ulteriore contribuzione (qualunque ne sia la natura: obbligatoria, volontaria o figurativa) è destinata unicamente ad incrementare il livello di pensione già consolidatosi, senza mai poter produrre l’effetto opposto di compromettere la misura della prestazione potenzialmente maturata in itinere”. Ne consegue che l’eventuale depauperamento incide sulla proporzionalità tra il trattamento pensionistico e la quantità e la qualità del lavoro prestato durante il servizio attivo e viola anche l’art. 36 Cost., oltre che il principio di adeguatezza dì cui all’art. 38, co.2, Cost. (sentenza n. 264/1994)
Infatti, precisa il Tribunale, la Corte costituzionale, con riguardo all’art. 3, co .8, L. n. 297/1982 cit., ha già dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma:
– nella parte in cui non prevede che, in caso di prosecuzione volontaria (nell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e superstiti) da parte del dipendente che abbia già conseguito in costanza di rapporto la prescritta anzianità assicurativa e contributiva, “la pensione liquidata non possa comunque essere inferiore a quella che sarebbe spettata al raggiungimento dell’età pensionabile sulla base della sola contribuzione obbligatoria” (n. 307/1989);
– “nella parte in cui non consente, in caso di pensione di anzianità, che dopo il raggiungimento pensionabile, la pensione debba essere ricalcolata sulla base della sola contribuzione obbligatoria qualora porti ad un risultato più favorevole per l’assicurato” (n. 428/1992);
– laddove “non prevede che, nel caso di esercizio, durante l’ultimo quinquennio di contribuzione, di attività lavorativa meno retribuita da parte di un lavoratore che abbia già conseguito la prescritta anzianità contributiva, la pensione liquidata non possa essere comunque inferiore a quella che sarebbe spettata, al raggiungimento dell’età pensionabile, escludendo dal computo, ad ogni effetto, i periodi di minore retribuzione, in quanto non necessari ai fini del requisito dell’ anzianità contributiva minima” (n. 264/1994, cit.);
– unitamente all’art. 25, co. 1 e 4, L. 26 luglio 1984, n. 413, “nella parte in cui non consentono che la pensione di vecchiaia venga calcolata escludendo dal computo, ad ogni effetto, il prolungamento previsto dal citato art. 25, qualora l’assicurato – nonostante siffatta esclusione – abbia maturato i requisiti per detta pensione ed il relativo calcolo porti ad un risultato per il medesimo più favorevole” (n. 427/1997). Secondo la Corte, infatti, appaiono paradossali gli effetti determinati dalle ipotesi in cui la prosecuzione della contribuzione previdenziale, successiva a quella obbligatoria già versata in misura tale da radicare di per sé il diritto a pensione, comporti, “nonostante il maggior apporto contributivo, una riduzione del trattamento pensionistico e, in definitiva, un peggioramento di esso rispetto a quello che l’assicurato avrebbe goduto ove non fosse stata accreditata l’ulteriore contribuzione”.