Il datore di lavoro è tenuto a valutare i rischi e a prevenirli e la sua condotta non è scriminata, in difetto della necessaria diligenza, prudenza e perizia, da eventuali responsabilità dei lavoratori.
Nota a Cass. 11 gennaio 2022, n. 387
Fabio Iacobone
Il datore di lavoro è tenuto ad “evitare che si verifichino eventi lesivi dell’incolumità fisica intrinsecamente connaturati all’esercizio di talune attività lavorative, anche nell’ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuali negligenze, imprudenze e disattenzioni dei lavoratori subordinati, la cui incolumità deve essere protetta con appropriate cautele”.
Questo, il principio ribadito dalla Corte di Cassazione 11 gennaio 2022, n. 387 in un caso di lesioni personali determinate dalla mancata installazione di sistemi protettivi ad un macchinario, in relazione al quale il giudice di primo grado aveva dichiarato la responsabilità della s.r.l. in ordine all’illecito amministrativo di cui all’art. 25 septies D.LGS. n. 231/2001, dipendente dal reato di cui all’art. 590 c.p.
Nello specifico, la Cassazione afferma che:
a) il datore di lavoro, nella sua qualità di garante della sicurezza nei luoghi di lavoro, il quale abbia negligentemente omesso di attivarsi per impedire l’infortunio, non può invocare, quale esimente da responsabilità, il principio di affidamento, ossia la sua “legittima aspettativa in ordine all’assenza di condotte imprudenti, negligenti o imperite da parte dei lavoratori, poiché il rispetto della normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l’incolumità del lavoratore anche dai rischi derivanti dalle sue stesse imprudenze e negligenze o dai suoi stessi errori, purché connessi allo svolgimento dell’attività lavorativa” (v. Cass. n. 18998/2009);
b) il titolare della posizione di garanzia è dunque tenuto a valutare i rischi e a prevenirli e il suo comportamento non è scriminato, in difetto della necessaria diligenza, prudenza e perizia, da eventuali responsabilità dei lavoratori (Cass. n. 22622/2008);
c) la condotta del lavoratore è considerata abnorme solo quando sia ontologicamente lontana dalle ipotizzabili, e quindi prevedibili, scelte, anche imprudenti, del lavoratore, nell’esecuzione del lavoro (Cass. n. 7267/2009). È perciò abnorme solo il comportamento del lavoratore che, “per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro. Tale non è il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un’operazione comunque rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro assegnatogli (Cass. n. 23292/2011) o che abbia espletato un incombente che, anche se inutile ed imprudente, non risulti eccentrico rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate, nell’ambito del ciclo produttivo” (Cass. n. 7985/2013);
d) l’operatività dell’art. 41, co. 2, c. p. è circoscritta ai casi in cui la causa sopravvenuta inneschi un rischio nuovo e del tutto incongruo rispetto al rischio originario, attivato dalla prima condotta (Cass., nn. 25689 e 15493/2016);
e) nel caso di specie non si ravvisa invece una interruzione del nesso causale. Non si può, infatti, considerare causa sopravvenuta, idonea, da sola, a determinare l’evento, il comportamento imprudente di un lavoratore, che si riconnetta ad una condotta colposa del datore di lavoro (Cass., n. 18800/2016 e Cass. n. 17804/2015). L’interruzione del nesso causale si riscontra soltanto quando il dipendente ponga in essere una “condotta del tutto esorbitante dalle procedure operative alle quali è addetto ed incompatibile con il sistema di lavorazione ovvero non osservi precise disposizioni antinfortunistiche. In questi casi, è configurabile la colpa dell’infortunato nella produzione dell’evento, con esclusione della responsabilità penale del titolare della posizione di garanzia. Ma nulla di tutto ciò risulta nel caso in disamina, nel quale, pertanto, si esula dall’ambito applicativo dell’art. 41, comma 2, c.p.”.