Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 gennaio 2022, n. 958

Inail, Natura professionale della malattia psichica contratta
– Inabilità temporanea assoluta, Accertamento

 

Fatti di causa

 

Con sentenza n. 3 del 2016, la Corte d’appello di
Bologna ha rigettato l’impugnazione proposta dall’INAIL avverso la sentenza di
primo grado che aveva accolto la domanda di D.M. tesa ad ottenere
l’accertamento della natura professionale della malattia psichica contratta dal
medesimo con condanna dell’Istituto al pagamento delle prestazioni di legge
relative a postumi pari al 6% ed alla invalidità temporanea dal 21 marzo al 16
ottobre 2001.

Ad avviso della Corte territoriale, disattesa
l’eccezione di tardività dell’impugnazione, notificata il 9 marzo 2012, per
decorso del termine breve di trenta giorni decorrenti dalla data di notifica
della sentenza di primo grado avvenuta il 13 dicembre 2011, in quanto era stato
notificato il solo dispositivo, la consulenza tecnica d’ufficio, rinnovata in
secondo grado, aveva accertato che il ricorrente era stato effettivamente
esposto al rischio morbigeno della < costrittività organizzata> e che il
medesimo aveva contratto la sindrome da disadattamento cronico del sottotipo
F4322, con ansia ed umore depresso misti, in soggetto affetto da combinazione
di disturbo ansioso depressivo persistente di grado moderato, dal quale
derivava un danno pari al 6% in applicazione delle tabelle Inail, confermandosi
che l’inabilità temporanea assoluta era stata pari a 180 giorni a decorrere dal
21 marzo 2001.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione l’INAIL
sulla base di tre motivi.

D.M. ha resistito con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente
denuncia la violazione dell’art.
52 t.u. n. 1124 del 1965 in relazione all’art. 66 dello stesso testo,
dal momento che era stato riconosciuto il diritto all’indennità temporanea dal
21 marzo 2001 al 16 ottobre 2001 e cioè in epoca precedente alla data della
denuncia di malattia, dichiarata con certificato medico datato il 18 maggio
2004 e ricevuto il 28 giugno 2004, come risultava dai certificato medico
allegato agli atti. Tale circostanza era stata accertata e non contestata nel
corso del giudizio ed era stata ribadita dall’INAIL nelle note difensive
autorizzate depositate il 20 aprile 2011, successivamente al deposito della
relazione della c.t.u., proprio per segnalare che l’inabilità temporanea
assoluta non avrebbe potuto essere riconosciuta prima di tale data. La medesima
circostanza, disattesa dal primo giudice, era poi stata dedotta nel ricorso in
appello, nel secondo motivo, come emergeva dallo stralcio riprodotto in ricorso
tratto dal ricorso allegato al ricorso per cassazione.

Con il secondo motivo, si denuncia la violazione
dell’art. 135 t.u. n. 1124
del 1965 in relazione alla circostanza che la Corte d’appello aveva
dichiarato il diritto del M. a percepire le prestazioni economiche di legge
conseguenti

al danno biologico del 6% per la malattia
professionale denunciata, senza una specifica decorrenza, con ciò
sostanzialmente facendola decorrere dalla data della cessazione dell’inabilità
temporanea assoluta (16.10.2001) anziché dal giorno della domanda
amministrativa (18 maggio 2004). Anche in questo caso, come afferma il
ricorrente riportando il contenuto degli atti del processo di merito ove era
stata ribadita la data della comunicazione della denuncia di malattia del 28
giugno 2004.

Il terzo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto
decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, primo comma n.5) c.p.c.) per aver omesso
di considerare la circostanza decisiva secondo cui lo stesso M. aveva
dichiarato, come riportato nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado
e nelle note difensive autorizzate (atti allegati al ricorso per cassazione)
che la domanda era stata presentata il 18 maggio 2004 e nessuna prestazione
poteva decorrere anticipatamente rispetto a tale data.

Preliminarmente, va rilevata la infondatezza
dell’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal controricorrente,
per violazione del termine cd. Breve di sessanta giorni di cui all’art. 325 c.p.c., in ragione della affermata
tardività della notifica del ricorso per cassazione, avvenuta in via telematica
il 14 luglio 2016, a fronte della notifica della sentenza impugnata che sarebbe
avvenuta il 22 marzo 2016 e non il 6 giugno 2016, come dichiarato dal
ricorrente.

Invero, parte controricorrente ha sostenuto
l’eccezione mediante la produzione della stampa attestante che il 22 marzo
2016, alle ore 17:36, da m.@ordineavvocatibopec.it è stato inviato a mezzo pec
messaggio diretto e.m.@postacert.inail.it relativo alla notifica della sentenza
M./Inail, ai sensi della legge n. 53 del 1994, nonché con la stampa che attesta
che il detto messaggio è stato accettato dal sistema ed inoltrato alle ore
17:40:37 dello stesso 22 marzo 2016.

Ciò, tuttavia, non prova l’avvenuta notifica
telematica della sentenza impugnata idonea a determinare il decorso del termine
breve per l’impugnazione, giacché difetta la prova dell’avvenuta consegna del
messaggio nella casella di posta del destinatario avendo questa Corte di
legittimità affermato che qualora la notificazione della sentenza impugnata sia
stata eseguita con modalità telematiche, a mezzo PEC dal difensore, la stessa
si perfeziona unicamente al momento della generazione della ricevuta di
avvenuta consegna (RAC), vedi ex plurimis Sez. U, Sentenza n. 10266 del
27/04/2018, nello stesso senso, Cass. n. 17450 del 14/07/2017; Cass. n. 30765
del 22/12/2017; Cass. n. 35047 del 17/11/2021),

I motivi, tutti connessi dalla essenzialità della
considerazione della data in cui venne effettuata la denuncia di infortunio al
fine di accertare la decorrenza del diritto alle prestazioni (indennità per
inabilità temporanea assoluta e per inabilità permanente) rivendicate, possono
essere trattati congiuntamente e sono fondati.

La giurisprudenza di questa Corte (vedi Cassazione
civile, sez. lav., 09/01/2004, n. 165) ha avuto
modo di ricordare che, a norma dell’art. 52 d.P.R. n. 1124 del 1965,
“l’assicurato è tenuto a dare immediata notizia di qualsiasi infortunio
gli accada, anche se di lieve entità, al proprio datore di lavoro. Quando
l’assicurato abbia trascurato di ottemperare all’obbligo predetto ed il datore
di lavoro, non essendo venuto altrimenti a conoscenza dell’infortunio, non
abbia fatto la denuncia ai termini dell’articolo successivo, non è corrisposta
l’indennità per i giorni antecedenti a quello in cui il datore di lavoro ha
avuto notizia dell’infortunio (primo comma). La denuncia della malattia deve
essere fatta dall’assicurato al datore di lavoro entro il termine di giorni
quindici dalla manifestazione di essa sotto pena di decadenza del diritto
all’indennizzo per il tempo antecedente la denuncia (secondo comma)”.

Inoltre, l’art. 7 agosto 1973 n. 533
(disciplina delle controversie individuali di lavoro e delle controversie in
materia di previdenza e di assistenza obbligatorie) fa riferimento alla
“richiesta” dell’assicurato all’Istituto assicuratore quale elemento
sempre necessario salva diversa disposizione di legge.

Questa Corte nella decisione citata ha affermato che
si tratta di norma generale, ulteriormente specificata nei diversi ordinamenti
previdenziali e, per quanto concerne l’assicurazione obbligatoria contro gli
infortuni sul lavoro, nel riportato art. 52.

Dunque, il lavoratore non acquista il diritto soggettivo
alla prestazione indennitaria in difetto della propria iniziativa ossia della
denuncia di cui all’art. 52
cit. (o della notizia dell’infortunio comunque pervenuta al datore di lavoro),
che per tale parte specifica la generale previsione dell’art. 7 cit. Pertanto, è onere
dell’attore in giudizio di fornire la prova degli elementi costitutivi del
diritto soggettivo affermato (art. 2697 cod. civ.)
ed il giudice deve prendere atto degli elementi risultanti ex actis (cfr. Cass.
17 aprile 2003 n. 6194).

Più recentemente, Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 06/12/2017, n. 29250, quanto alla rilevanza
dell’ipotesi in cui la notizia dell’evento lesivo della salute sia stata
fornita al datore di lavoro, ha affermato che il lavoratore può limitarsi a
comunicarne l’esistenza al datore di lavoro, manifestando con chiarezza la
volontà di fare valere il diritto alla prestazione previdenziale, senza che
rilevi, ai fini della proponibilità della domanda in sede giurisdizionale, che
non abbia inoltrato una specifica domanda amministrativa e non abbia inviato la
documentazione medica riguardante le sue patologie, ove questa già sia in
possesso del datore di lavoro, o che quest’ultimo non abbia trasmesso
all’Inail, pur essendovi obbligato, l’istanza del lavoratore medesimo.

Quanto, poi, alla decorrenza dell’indennizzo
relativo alla inabilità permanente, regolata dall’art. 74 d. P.R. n. 1124 del 1965
( non modificato dal D.Lgs. n. 38 del 2000, che
ha inciso sulle percentuali rilevanti ma non anche sul dies a quo delle prestazioni)
questa Corte ha ribadito che la decorrenza della prestazione va fissata dal
momento della cessazione del periodo di inabilità temporanea assoluta, essendo
all’epoca già presenti le condizioni sanitarie rilevanti nella misura
riconosciuta. Quand’anche una domanda amministrativa ulteriore sia presentata
dall’assistito al fine della commisurazione del danno a percentuale più elevata
rispetto a quella riconosciuta dall’amministrazione, la decorrenza della
prestazione nella (maggior) misura riconosciuta va ancorata in ogni caso alla
data della cessazione del periodo di inabilità assoluta, e non a quello della
ulteriore domanda amministrativa, in quanto sin da quel momento vi erano le
condizioni sanitarie rilevanti per la prestazione (Cass.
03/08/2020, n. 16606).

La sentenza qui impugnata, la quale ha fatto
decorrere l’indennità temporanea dal 21 marzo 2001 invece che dalla denuncia
della malattia da parte del lavoratore, secondo le modalità sopra indicate, va
quindi cassata con rinvio perché si effettui l’accertamento sopra indicato, a
ciò dovendo provvedere la Corte d’appello di Bologna in diversa composizione,
giudice di rinvio, che deciderà anche in ordine alle spese.

 

P.Q.M.

 

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e
rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte
d’appello di Bologna in diversa composizione.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 gennaio 2022, n. 958
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