Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 dicembre 2021, n. 40652
Rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato senza
soluzione di continuità, Accertamento, Nullità di ogni atto di transazione
Fatti di causa
1. Con la pronuncia n. 1681/2016 il Tribunale di
Nocera Inferiore ha rigettato, per intervenuta decadenza ex art. 32 co. 4 lett. d) della legge
n. 183/2010, le domande proposte da G.R. e G.S., nei confronti di M.R.,
dirette – sulla premessa di essere stati rispettivamente alle dipendenze di
quest’ultimo dal 2001 al 2013 e dal novembre 1997 al 30 dicembre 2013, benché
formalmente inquadrati presso varie cooperative – a sentire accertare e
dichiarare che tra le parti erano intercorsi rapporti di lavoro subordinato a
tempo indeterminato senza soluzione di continuità; a sentire accertare e
dichiarare la nullità di ogni atto di transazione intervenuto tra le parti e,
conseguentemente, condannare R.M. al pagamento, in favore di essi ricorrenti, delle
rispettive complessive somme di euro 247.667,71 ed euro 226.311,25, oltre
accessori e con vittoria di spese e competenze.
2. Il primo giudice ha ritenuto che, in
considerazione delle deduzioni formulate, le fattispecie azionate erano
sussumibili sotto le previsioni di cui all’art. 32 co. 4 lett. d) della legge
n. 183/2010 per avere gli istanti chiesto, tra l’altro, l’accertamento di
rapporti di lavoro asseritamente facenti capo esclusivamente alla parte
resistente, oltre i termini previsti dalla legge citata a pena di decadenza,
essendo cessati nel 2013 e il 30.12.2013, mentre i ricorsi introduttivi del
giudizio erano stati depositati il 23.1.2015.
3. La Corte di appello di Salerno, con la ordinanza
del 5.3.2018 emessa ex art. 436 bis c.p.c., ha
dichiarato inammissibile l’appello ritenendo corrette le argomentazioni del
primo giudice e richiamando il precedente di legittimità costituito dalla
sentenza n. 13179/2017 da cui ha desunto che le domande proposte dal R. e dal
S., finalizzate ad ottenere l’accertamento di un rapporto di lavoro unitario
svoltosi “di fatto” alle dipendenze di R.M. dal giugno 2001 al 2013 e
dal novembre 1997 al 30.12.2013, nonché dirette al conseguimento delle
differenze retributive, ai compensi per lavoro straordinario, ratei di
tredicesima mensilità, festività, indennità di preavviso, indennità sostitutiva
delle ferie e dei permessi non goduti, TFR, integrassero le condizioni
soggettive e oggettive previste dall’art. 32 co. 4 lett. d) della legge
n. 183/2010.
4. Avverso la sentenza di primo grado, confermata
dalla su indicata ordinanza di inammissibilità della Corte di appello, hanno
proposto ricorso per cassazione G.S. e G.R. affidato a due motivi, cui ha
resistito con controricorso M.R.
5. Il PG ha rassegnato conclusioni scritte
concludendo per l’accoglimento del ricorso.
6. Le parti hanno depositato memorie. I ricorrenti
hanno, prodotto, altresì, la copia della ricevuta di invio plico destinato alla
Suprema Corte di Cassazione in data 24.5.2018.
Ragioni della decisione
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo i ricorrenti denunziano la
“violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto combinato
disposto degli artt. 6 della L.
n. 604/66, come modificato dall’art. 32, comma 1, della L. n.
183/2010 (e poi dell’art. 1
comma 38 della L. n. 92/2012) e 32, comma 4, lett. d) della legge n.
183/2010”. Deducono che i giudici di merito avevano accolto – con il
ritenere che nell’ambito applicativo dell’art. 32 co. 4 lett. d) legge n.
183/2010 rientrasse anche un giudizio finalizzato alle richieste di
differenze retributive – una preliminare eccezione di decadenza non usando però
i corretti criteri ermeneutici, non individuando la ratio del legislatore e non
fornendo una interpretazione costituzionale della disposizione in questione.
3. Con il secondo motivo si censura la violazione
e/o falsa applicazione delle norme di diritto sul termine decadenziale
eccependo, qualora si fosse aderito alla esegesi della norma fatta propria dai
giudici di merito, la illegittimità costituzionale della disposizione per
violazione dell’art. 3, commi 1 e 2 della Cost.,
per palese irragionevolezza della disposizione in quanto avrebbe finito per
colpire solamente i lavoratori oggetto di una ipotesi di interposizione di un
falso datore di lavoro che, al contrario, avrebbero dovuto invece essere
maggiormente tutelati rispetto ad un datore di lavoro fraudolento.
4. Preliminarmente ritiene il Collegio di dovere
esaminare ia questione, rilevabile di ufficio e non sanabile dalla costituzione
di controparte (Cass. n. 8513/2020), relativa alla ritualità del deposito del
ricorso per cassazione già notificato al controricorrente.
5. Ai sensi dell’art.
369 co. 1 c.p.c. il ricorso deve essere depositato nella Cancelleria della
Corte, a pena di improcedibilità, nel termine di venti giorni dall’ultima
notificazione alle parti cui è proposto.
6. Nel caso in esame, il ricorso è stato notificato
il 4.5.2018; inviato all’Ufficio Ricezione Atti della Corte Suprema di
Cassazione il 24.5.2018 a mezzo della società SDA E.C. e pervenuto alla
Cancelleria in data 28.5.2018.
7. Va osservato che, secondo la giurisprudenza di
legittimità, è pur vero che, ai fini della verifica del tempestivo deposito del
ricorso per cassazione, quando il ricorrente si sia avvalso del servizio
postale, assume rilievo la data di consegna all’ufficio postale del plico da
recapitare alla Cancelleria della Corte di Cassazione, dovendo in tal caso
ritenersi che l’iscrizione a ruolo sia avvenuta in tale data, non assumendo
rilievo che il plico pervenga a destinazione dopo il decorso del termine di 20
giorni di cui all’art. 369 c.p.c. (Cass.
3.3.2010 n. 5071; Cass. 7.5.2014 n. 9861; Cass. 18.1.2016 n. 684), ma è stato
pure precisato che il ricorso per cassazione, che sia inoltrato per spedizione
a mezzo corriere privato e pervenga alla cancelleria dopo il decorso del
termine di cui all’art. 369 c.p.c., deve essere
dichiarato improcedibile, dato che le disposizioni in materia di trasmissione
di atti a mezzo del servizio postale, ed in particolare la norma di cui all’art. 3 della legge 7.2.1979 n. 59,
che ha sostituito l’art. 134 disp att. c.p.c.,
secondo cui il deposito si ha per avvenuto alla data di spedizione, non sono
estensibili agli altri strumenti di consegna (Cass. n. 1465/1991; Cass. Sez.
Un. n. 7013/1995, che fanno riferimento al ricorso al servizio postale e non a
posta privata; Cass. n. 8513/2020).
8. SDA E.C. (società privata) è una azienda
consociata al Gruppo Poste Italiane ma non è un ufficio postale dì Poste
Italiane spa per cui manca la certezza legale della data di consegna
all’operatore, dovuta all’assenza di poteri certificativi dello stesso.
9. I principi sopra riportati vanno ribaditi in
questa sede e, pertanto, non potendosi fare riferimento alla data di spedizione
dell’atto, va rilevata la improcedibilità del ricorso per tardivo deposito
dell’originale dello stesso, dopo cioè la scadenza del ventesimo giorno
dall’ultima notificazione alle parti contro le quali è proposto, ribadendosi
che trattasi di improcedibilità rilevabile pure di ufficio (Cass. n.
22092/2019; Cass. n. 25453/2017).
10. Resta superata la trattazione di ogni altra
problematica sulla tempestività della notifica del ricorso per cassazione,
prospettata dal controricorrente, perché effettuata telemáticamente dopo le
21.00 dell’ultimo giorno utile.
11. Nonostante la accertata improcedibilità del
ricorso, questa Corte ritiene comunque di pronunciare ex art. 363 co. 3 c.p.c., il principio di diritto,
atteso che la questione, oggetto dei motivi, della applicabilità della
decadenza, prevista dall’art. 32
co. 4 lett. d) della legge n. 183/2010 in ipotesi di richiesta di
accertamento del rapporto di lavoro, ormai risolto, nei confronti di altro
datore di lavoro rispetto a quello formale, è di particolare importanza sia per
la frequenza con cui il tema della suddetta decadenza si propone sia per fugare
dubbi circa un ipotizzabile contrasto nella giurisprudenza di legittimità di
questa Sezione.
12. A tal riguardo, va premesso che non osta alla
suddetta pronuncia il fatto che il ricorso sia stato dichiarato improcedibile e
non inammissìbile perché ciò che rileva è unicamente la preclusione, per la
Corte di Cassazione, della possibilità di pronunciarsi sul fondo delle censure
con effetti sul concreto diritto dedotto in giudizio (Cass. n. 19051/2020):
ipotesi, questa, sussistente anche nel caso di ricorso improcedibile.
13. Ciò premesso, giova evidenziare che l’art. 32 co. 4 della legge n. 183 del
2010 prevede che: «Le disposizioni di cui all’articolo 6 della legge 15 luglio
1966, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano
anche: a) ai contratti di lavoro a termine stipulati ai sensi degli articoli 1, 2 e 4 del decreto legislativo 6
settembre 2001, n. 368, in corso di esecuzione alla data di entrata in
vigore della presente legge, con decorrenza dalla scadenza del termine; b) ai
contratti di lavoro a termine, stipulati anche in applicazione di disposizioni
di legge previgenti al decreto legislativo 6
settembre 2001, n. 368, e già conclusi alla data di entrata in vigore della
presente legge, con decorrenza dalia medesima data di entrata in vigore della
presente legge; c) alla cessione di contratto di lavoro avvenuta ai sensi dell’articolo 2112 del codice civile con termine
decorrente dalla data di trasferimento; d) in ogni altro caso in cui, compresa
l’ipotesi prevista dall’art. 27
del decreto legislativo 10 settembre 2003 n 276, si chieda la costituzione
o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo ad un soggetto diverso dal
titolare del contratto».
14. Il problema di diritto che si pone, come detto,
è quello di accertare se il regime della decadenza dì cui alla citata
disposizione sì applichi anche alle ipotesi di richiesta di accertamento del
rapporto di lavoro, ormai risolto, nei confronti di altro datore di lavoro
rispetto a quello formale.
15. I giudici di merito hanno dato risposta positiva
al problema richiamando il precedente di legittimità di questa Corte n.
13179/2017.
16. La conclusione dei giudici di merito non è
condivisibile.
17. A tal uopo è opportuno premettere, come già
specificato in altri provvedimenti di questa Corte (Cass.
n. 6649/2020; Cass. n. 28750/2019) che la
ratio dell’art. 32 della legge n.
183 del 2010 è stata quella di estendere ad una serie di ipotesi ulteriori
la previsione dell’art. 6 della
legge n. 604 del 1966 (previamente modificato) sull’impugnativa
stragiudiziale, originariamente limitata al licenziamento (Cass. n. 13648 del 2019).
18. La finalità è quella di contrastare pratiche di
rallentamento dei tempi del contenzioso giudiziario che finirebbero per
provocare una moltiplicazione degli effetti economici in caso di eventuale
sentenza favorevole e di stabilizzare le posizioni giuridiche delle parti in
situazioni in cui si ha l’esigenza di conoscere, con precisione ed entro
termini ragionevoli, se e quanti lavoratori possono far parte dell’organico
aziendale.
19. Tuttavia, trattandosi di una limitazione
temporale per l’esercizio dell’azione giudiziaria dì non poco conto, tanto da
dovere ritenere che la norma oggetto di esame abbia carattere di eccezionalità,
si impone una interpretazione particolarmente rigorosa, soprattutto con
riguardo alla fattispecie di chiusura prevista dall’art. 32 co. 4 lett. d) legge
citata (Cass. n. 13179 del 2017).
20. Tale rigorosità deve confrontarsi necessariamente
con i limiti previsti dalla nostra Costituzione (artt.
2, 111 e 117),
dal diritto eurounitario (art. 47
della Carta di Nizza, in considerazione della natura della controversia che
riguarda il tema della successione in un ramo di azienda) e dal diritto
convenzionale (artt. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo), nel
senso che occorre pur sempre tenere conto dei possibili profili di
illegittimità con riguardo ad un ambito applicativo di tipo estensivo o
analogico della norma in questione.
21. Questo Collegio è consapevole dell’indirizzo di
cui alla sentenza di questa Corte n. 13179/2017, richiamata nella gravata
pronuncia dai giudici di seconde cure, i cui principi, però, devono essere
letti e contestualizzati alla luce delle argomentazioni e delle precisazioni
delle pronunce successive che sono seguite in materia e, in particolare, con quelle
affermate dalle recenti decisioni n. 30490/2021 e n. 14131/2020 ove è stata
evidenziata comunque la necessità, ai fini della operatività della decadenza di
cui all’art. 32 co. 4 legge n.
183/2010, di un provvedimento o di un atto da impugnare ovvero di un
tipizzato fatto (scadenza del contratto a tempo determinato).
22. Come correttamente è stato sottolineato in
queste ultime sentenze non sì può estendere analogicamente ad un
“fatto” (cessazione dell’attività del lavoratore) una norma calibrata
in relazione ad atti scritti e recettizi ovvero a fatti tipizzati.
23. Una diversa interpretazione renderebbe, infatti,
eccessivamente aleatorio l’esercizio del diritto di azione del lavoratore,
stante l’intrinseca difficoltà di identificarne con esattezza il diritto di
azione.
24. Le suddette pronunce (la n. 13179/2017 e la n.
30490/2021) non sono tra loro contrastanti perché la prima si limita ad
individuare le fattispecie di applicabilità della decadenza in questione (tra
cui le azioni dirette al conseguimento di un risultato di contenuto economico o
comunque risarcitorio, che presupponga l’accertamento del rapporto alle
dipendenze di quest’ultimo), mentre la seconda precisa i presupposti di
operatività della decadenza stessa, ponendosi, quindi, su di un piano
logicogiuridico diverso e successivo rispetto alla analisi svolta dalla prima
sentenza.
25. Pertanto, sia nei casi di richiesta di
costituzione (ove è chiara la volontà dell’istante di ripristino immediato e/o
di stabilizzazione) sia nei casi di richiesta di accertamento (ove l’azione
dichiarativa richiede un accertamento “ora per allora”) del rapporto
di lavoro alle dipendenze di un soggetto diverso dal titolare del contratto,
occorre pur sempre un atto o un provvedimento datoriale che renda operativo e
certo il termine di decorrenza della decadenza di cui all’art. 32 co. 4 lett. d) della legge
n. 183/2010, in un’ottica di bilanciamento di interessi costituzionalmente
rilevanti.
26. Fino a quando il lavoratore non riceva un
provvedimento in forma scritta o un atto equipollente, che neghi la titolarità
del rapporto, non può decorrere alcun termine decadenziale ai sensi della
suddetta disposizione, atteso che il profilo impugnatorio funge da decisivo
discrimine della applicazione della relativa disciplina.
27. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve
essere dichiarato improcedibile e va affermato il seguente principio di diritto
ex art. 363 co. 3 c.p.c.: «la disposizione di
cui all’art. 32 co. 4 lett. d)
della legge n. 183 del 2010, relativa al regime di decadenza ivi previsto,
non si applica alle ipotesi -in tema di richiesta di costituzione o di
accertamento di un rapporto di lavoro, ormai risolto, in capo a un soggetto
diverso dal titolare del contratto – nelle quali manchi un provvedimento in
forma scritta o un atto equipollente che neghi la titolarità del rapporto stesso».
28. Alla declaratoria di improcedibilità segue la
condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di
legittimità che sì liquidano come da dispositivo, con attribuzione.
29. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02, nel testo risultante dalla legge
24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti
processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara improcedibile il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del
presente giudizio che liquida in euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese
forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00
ed agli accessori di legge, con distrazione in favore del Difensore del
controricorrente dichiaratori antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n.
115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1 bis dello stesso art. 13, se
dovuto.