Lo svolgimento di attività extralavorativa durante l’orario di lavoro rappresenta un grave atto di insubordinazione e lede il vincolo fiduciario con il datore di lavoro, legittimando il licenziamento in tronco del lavoratore.
Nota a Cass. (ord.) 31 gennaio 2022, n. 2870
Alfonso Tagliamonte
Anche una condotta illecita del lavoratore, ridotta temporalmente, è idonea a ledere il vincolo fiduciario alla base del rapporto di lavoro ed a legittimare il licenziamento per giusta causa.
Lo ribadisce la Corte di Cassazione la quale (nel ritenere inammissibile il ricorso che, “sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito”) ha ripercorso il ragionamento di una sua precedente decisione relativa ad una fattispecie in cui la Corte d’appello di Roma (n. 4617/2018), giudicando in sede di rinvio dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 13613/2017) aveva respinto la domanda di impugnativa di un licenziamento per giusta causa.
La vicenda riguardava un impiegato di VII livello con mansioni di Area Manager, al quale erano stati contestati, “oltre a un calo di produttività, fatti di rilievo disciplinare consistiti: nell’avere portato sul luogo di lavoro per commercializzarli capi di biancheria intima; nell’essersi recato in due occasioni durante l’orario di lavoro presso un esercizio commerciale del quale era socio; nell’avere timbrato in entrata il cartellino marcatempo oltre le ore 9.30 in 13 giorni, nell’avere risposto ad una e-mail di un superiore gerarchico compiendo un grave atto di insubordinazione”.
Nello specifico, in una prima fase, i giudici di appello avevano ritenuto provato lo svolgimento di attività extralavorativa durante l’orario di lavoro, come tale integrante illecito disciplinare, ma escluso che la condotta fosse di gravità tale da giustificare il recesso.
La Cassazione (n. 13613/2017, cit.) aveva invece osservato che:
– “un comportamento illecito ridotto temporalmente”, dal quale non derivi un pregiudizio concreto per il datore di lavoro, non è inidoneo a ledere il vincolo fiduciario, “potendo tale effetto ricondursi a qualsiasi condotta capace di porre in dubbio il corretto futuro adempimento della prestazione, dovendo ulteriormente esigersi il rispetto dei canoni di correttezza e buona fede da parte di chi, in ragione della qualifica posseduta, svolge la prestazione al di fuori della diretta sfera di controllo di parte datoriale”;
– l’obbligo di fedeltà impone al dipendente di astenersi da qualsiasi condotta capace, anche astrattamente, di ledere gli interessi del datore di lavoro;
– “lo svolgimento di attività extralavorativa durante l’orario di lavoro, seppure in un settore non interferente con quello curato dal datore, è astrattamente idoneo a ledere gli interessi di quest’ultimo, se non altro perché le energie lavorative del prestatore vengono distolte ad altri fini e, quindi, finisce per essere non giustificata la corresponsione della retribuzione che, in relazione alla parte commisurata alla attività non resa, costituisce per il datore un danno economico e per il lavoratore un profitto ingiusto”.
La Corte d’appello, pertanto, in sede di rinvio, aveva ritenuto che “l’avere svolto attività extralavorativa durante l’orario di lavoro, seppure in un settore estraneo a quello del datore di lavoro, avuto riguardo al ruolo posseduto e all’affidamento richiesto per l’espletamento di tale ruolo, costituisce comportamento grave, idoneo a ledere gli interessi del datore”. I giudici hanno inoltre tenuto conto del danno economico cagionato al datore dalla corresponsione della retribuzione anche per il periodo in cui il lavoratore aveva svolto la sua attività per conto proprio ed hanno concluso che l’insieme degli elementi considerati fosse idoneo a ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario ed a sorreggere la giusta causa di recesso.