Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 febbraio 2022, n. 3762

Rapporto di lavoro, Contratti di associazione in
partecipazione, Distinzione con il rapporto di lavoro subordinato, Effettivo
vincolo di subordinazione, Omissioni contributive, Accertamento, Verbale
ispettivo

 

Rilevato che

 

1. con sentenza n.616 del 2015, la Corte di Appello
di Venezia in riforma della sentenza impugnata, ha rigettato l’opposizione
svolta dall’attuale parte ricorrente avverso cartella di pagamento per
omissioni contributive per crediti INPS concernenti, in riferimento al periodo
giugno 2006-1° agosto 2008, i rapporti lavorativi di tre dipendenti, con
mansioni di addette alle vendite in alcuni punti vendita gestiti in franchising
dall’attuale ricorrente, considerati dall’INPS di natura subordinata nonostante
la formale qualificazione di contratti di associazione in partecipazione (con
le lavoratrici B., D. e B.), stipulati in epoca immediatamente successiva a
precedente periodo di espletamento, di fatto, delle identiche prestazioni (D. e
B.), e ai quali era poi seguita la stipulazione di rapporti di lavoro a termine
come apprendiste (B. e D.);

2. il primo giudice riteneva genuini i rapporti di
associazione in partecipazione e i successivi contratti di apprendistato;

3. la Corte d’appello, investita dall’impugnazione
dell’INPS, ha rigettato l’opposizione sulla base del rilievo che i motivi
dedotti a suo sostegno erano smentiti dal concreto atteggiarsi dei rapporti
intercorsi tra le parti, posto che, incontestata la presenza delle commesse
prima della stipula del contratto di associazione, la tesi della società (che
si trattasse di mera attività esplorativa in vista dello stipulando contratto)
era risultata smentita dal tenore delle dichiarazioni rese agli ispettori verbalizzanti,
nell’immediatezza dell’accertamento (turnazione di lavoro predisposta dalla G.
e paga oraria fissa) e, per il periodo successivo alla stipula del contratto di
associazione, dall’esecuzione della prestazione con modalità identiche al
periodo precedente, senza che fosse emersa alcuna volontà novativa del rapporto
in precedenza instaurato di fatto che, dunque, aveva conservato le
caratteristiche del rapporto di lavoro subordinato, né la volontà espressa
dalle parti assumeva valore probatorio esclusivo nella qualificazione del
rapporto, tenuto conto della pattuizione di esclusione degli associati dalla
partecipazione alle perdite e dell’esonero della società dal richiedere loro il
consenso in ipotesi di ingresso di altri associati;

inoltre, ripetitività ed elementarità delle
prestazioni svolte (commesse) tali da non esigere controlli continuativi e
ordini puntuali, la necessità di assentarsi sottoposta a previa autorizzazione
delle socie della società, le dichiarazioni confessorie delle lavoratrici trasfuse
nelle quietanze di pagamento concernenti l’avvenuta percezione di compensi,
confermavano l’apprezzamento del compendio istruttorio acquisito alla stregua
degli indici della subordinazione, non smentito dai documenti qualificati come
rendiconto, prodotti dalla società ma privi di decisività per costituire un
mero elenco di voci;

4. per la cassazione della sentenza ricorre la
società snc E., di G. Eva e C. con tre motivi;

5. l’INPS, anche quale procuratore speciale della
S.C.C.I. s.p.a., resiste con controricorso;

 

Considerato che

 

6. con i motivi di ricorso la parte ricorrente
deduce: 1) violazione dell’art. 2697 cod.civ. e delle regole di riparto
dell’onere probatorio, per non avere l’ente previdenziale provato, né offerto
di provare, l’effettiva illegittimità dei rapporti di associazione in
partecipazione, e per avere la Corte di merito dato esclusiva prevalenza
all’efficacia probatoria delle dichiarazioni rese dalle lavoratrici agli
ispettori verbalizzanti, e riportate nel verbale ispettivo, e per avere omesso
di esercitare il potere conferitole dall’art. 356 cod.proc.civ., decidendo
arbitrariamente di basarsi sulle sole dichiarazioni rese, in sede ispettiva,
dalle lavoratrice D. e B.; 2) violazione e o falsa applicazione degli artt.
2094, 2549, 2552 cod. civ., in relazione alla erronea interpretazione della
nozione di associazione in partecipazione definita dai medesimi articoli avendo
la Corte, con motivazione apodittica, generica, contradittoria e contrastante
con l’elaborazione giurisprudenziale in tema di indici della subordinazione e
dei requisiti dell’associazione in partecipazione, trascurato di considerare
che quella che era stata considerata prestazione di fatto costituiva, invece,
preventiva attività esplorativa posta in essere in vista dell’instaurando
rapporto; e per avere erroneamente valutato l’assenza di rischio d’impresa per
esclusione dalla partecipazione alle perdite, omettendo di considerare gli
elementi distintivi tra associazione in partecipazione e lavoro subordinato e i
molti indici compatibili tra la subordinazione e il contratto di associazione
in partecipazione; per essere mancato, peraltro, l’accertamento in concreto dei
poteri direttivo, disciplinare, di controllo, per cui ciò travolgeva la
qualificazione dei rapporti in termini di subordinazione; 3) infine,  omessa motivazione su un punto controverso e
decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in riferimento
alla violazione delle norme del codice di comportamento degli ispettori
verbalizzanti e conseguente illegittimità dell’intero procedimento ispettivo;

7. il ricorso è infondato;

8. con orientamento consolidato questa Corte afferma
che i verbali ispettivi fanno piena prova fino a querela di falso, dei fatti
che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti,
ivi compresa l’esistenza e provenienza delle dichiarazioni raccolte a verbale
ma non anche delle valutazioni dell’ispettore o dei fatti non percepiti
direttamente ma affermati dall’ispettore in base ad altri fatti (fra tante, Cass.
n.9632 del 2016) e che tale materiale probatorio è liberamente valutabile e
apprezzabile dal giudice, il quale può anche considerarlo prova sufficiente,
qualora il loro specifico contenuto probatorio o il concorso di altri elementi
renda superfluo l’espletamento di ulteriori mezzi istruttori (v., fra tante,
Cass. n. 11934 del 2019);

9. nella specie, peraltro, le dichiarazioni rese
dalle lavoratrici agli ispettori verbalizzanti, in riferimento alla prestazione
di fatto resa fin da epoca antecedente alla formalizzazione del rapporto, sono
state apprezzate dalla Corte di merito, con valutazione insindacabile in questa
sede, unitamente alla dichiarazione della G. sulla presenza delle stesse
nell’unità produttiva per verificare l’andamento dell’attività, risultata
smentita, come affermato dalla Corte di merito, valorizzando continuità,
inserimento nell’organizzazione, ripetitività, elementarità e, nondimeno, per
il periodo successivo di esecuzione del rapporto, la non desumibilità di alcuna
volontà novativa del rapporto di lavoro instaurato di fatto in precedenza;

10. tanto premesso, la violazione dell’art. 2697
cod.civ., in continuità con i numerosi precedenti di questa Corte (v., ex
multis, Cass. n. 8554 del 2018), è configurabile, integrando motivo di ricorso
per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.,
soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad
una parte diversa da quella che ne risulta gravata, secondo le regole dettate
da quella norma, mentre laddove la censura sia incentrata sulla valutazione
delle risultanze istruttorie, attività regolata dagli artt. 115 e 116
cod.proc.civ., il relativo vizio può essere fatto valere, ai sensi del n. 5 del
citato articolo 360, del codice di rito, secondo il paradigma del novellato
vizio di motivazione, secondo l’interpretazione data dalle già richiamate
Sezioni unite della Corte (sentenza n. 8053 del 2014 e numerose successivi
conforme);

11. vale, dunque, riaffermare, con le Sezioni unite
della Corte, sentenza n. 8053 del 2014, che alla stregua del novellato vizio di
motivazione, applicabile ratione temporis, l’omesso esame di elementi
istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto
decisivo se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in
considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le
risultanze probatorie;

12. in sede di legittimità non è data ora (come del
resto non era altrimenti data allora, vigente il testo precedente del n. 5 dell’art.
360 cod.proc.civ.) la possibilità di censurare che la prova di un dato fatto
sia stata tratta o negata dall’apprezzamento o dalla obliterazione di un
determinato elemento istruttorio, atteso che una tale critica ha ad oggetto non
già un fatto storico ma la stessa attività di valutazione del compendio
probatorio, che solo al giudice di merito compete;

13. il secondo motivo è in parte inammissibile e in
parte infondato;

14. è inammissibile laddove pretende di sindacare,
secondo il paradigma della violazione di legge, il compito del giudice del
merito di individuare le fonti del proprio convincimento e la facoltà di
escludere, anche attraverso un giudizio implicito, la rilevanza di una prova;

15. è infondato alla luce dei principi indicati da
questa Corte – e ai quali va data continuità – in ordine alla distinzione tra
rapporto di associazione in partecipazione e rapporto di lavoro subordinato;

16. in particolare, si è precisato in tema di
distinzione tra contratto di associazione in partecipazione con apporto di
prestazione lavorativa da parte dell’associato e contratto di lavoro
subordinato con retribuzione collegata agli utili dell’impresa (fra tante,
Cass. n. 25221 del 2020; Cass. n. 1692 del 29.1.2015; Cass. n. 24871 del 2008;
Cass. n. 2693 del 2001), che la riconducibilità del rapporto all’uno o
all’altro degli schemi predetti esige un’indagine del giudice di merito volta a
cogliere la prevalenza, alla stregua delle modalità di attuazione del concreto
rapporto, degli elementi che caratterizzano i due contratti, tenendo conto, in
particolare, che, mentre il primo implica l’obbligo del rendiconto periodico
dell’associante e l’esistenza per l’associato di un rischio di impresa, il
rapporto di lavoro subordinato implica un effettivo vincolo di subordinazione
più ampio del generico potere dell’associante di impartire direttive e
istruzioni al cointeressato, con assoggettamento al potere gerarchico e
disciplinare della persona o dell’organo che assume le scelte di fondo
dell’organizzazione dell’azienda;

17. peraltro, la riconducibilità del rapporto
all’uno o all’altro degli schemi predetti forma oggetto d’indagine del giudice
di merito, nei sensi sopra chiariti ed alla stregua delle modalità di
attuazione del concreto rapporto, degli elementi che caratterizzano i due
contratti e tale accertamento, se adeguatamente e correttamente motivato, non è
censurabile in sede di legittimità;

18. nel caso di specie, la Corte d’appello ha posto
in essere un attento vaglio di tutte le concrete ed incontestate risultanze acquisite
al processo, senza svalutare alcuna delle circostanze richiamate dalla
ricorrente a proprio vantaggio, ed ha accertato, con motivazione immune da
censure, che le lavoratrici, formalmente associate in partecipazione,
espletavano attività di lavoro senza alcun rischio d’impresa, né erano dotate
di poteri decisionali rispetto all’andamento dell’attività che, tra l’altro,
essendo in franchising era soggetta ai limiti e alle condizioni del franchisor
(come allegato dalla società a dimostrazione che la procedura degli ordini era
imposta e prevista dalla casa madre), e con modalità tipiche del lavoro
subordinato in consonanza con ripetitività ed elementarità delle prestazioni
(commesse addetta alla vendita), come tali non rette dall’esigenza di controlli
continuativi e di ordini puntuali;

19. del pari infondata la doglianza nella parte in
cui si sostiene che la sentenza impugnata sia altresì illegittima nella parte
in cui la  decisione è basata sui soli
accertamenti ispettivi, senza che sia stato dato spazio ad altro dato
istruttorio;

20. in particolare, con argomentazione in punto di
fatto motivata ed immune da vizi logici o giuridici, la Corte territoriale ha
evidenziato che in sede ispettiva era stato accertato lo svolgimento di
mansioni del tutto identiche fin dal periodo che aveva preceduto la
formalizzazione del rapporto per poi proseguire nel successivo periodo di
assunzione a termine come apprendiste commesse;

21. il motivo, in modo inammissibile, sotto
l’apparente denunzia di vizi di violazione di legge, tenta di sindacare le
valutazioni di merito della Corte territoriale allorquando la stessa ha operato
la qualificazione del rapporto di lavoro di cui trattasi sulla base degli atti
di causa con motivazione sottratta ai rilievi di legittimità;

22. il terzo motivo è inammissibile perché non
presenta alcuno dei requisiti richiesti dal novellato art. 360 comma 1, n. 5,
cod.proc.civ., nella nuova formulazione (così come interpretato da Cass. Sez.
U, n. 8053 del 2014 cit.), finendo con il lamentare non l’omesso esame di un
fatto inteso nella sua accezione storicofenomenica (e quindi non un punto o un
profilo giuridico), un fatto principale o primario (ossia costitutivo,
impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè
un fatto dedotto in funzione probatoria) bensì asseriti vizi del procedimento
ispettivo che erroneamente si assume possano ridondare in vizio motivazionale
della sentenza impugnata;

23. in definitiva il ricorso va rigettato e le spese
del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate
come da dispositivo;

24. ai sensi dell’art.13,co.1-quater,
d.P.R.n.115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a
carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo
unificato, pari a quello per il ricorso ex art.13,co. 1, se dovuto.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al
pagamento delle spese, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 6.000,00 per
compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario del 15
per cento. Ai sensi dell’art.13,co.1-quater, d.P.R.n.115/2002, sussistono i
presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente,
dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il
ricorso ex art.13,co. 1, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 febbraio 2022, n. 3762
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