Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 gennaio 2022, n. 2354

Consulenza professionale a partita Iva, Sussistenza di un
rapporto di lavoro subordinato, Riqualificazione, Inquadramento in ragione
delle mansioni svolte e del relativo livello di autonomia e responsabilità

 

Fatto

 

1. Con decreto 28 settembre 2016, il Tribunale di
Arezzo ammetteva D.C. allo stato passivo di E. s.p.a. in amministrazione
straordinaria, in via privilegiata ai sensi dell’art.
2751bis n. 1 c.c., per il credito di € 24.390,67, a titolo di T.f.r.,
previa riqualificazione del rapporto tra le parti in uno di lavoro subordinato
con qualifica dell’opponente di quadro ai sensi dell’art. 23 CCNL Telecomunicazioni,
in aggiunta al credito già ammesso (di € 4.166,00 in via privilegiata ai sensi
dell’art. 2751bis n. 2 c.c.), oltre
rivalutazione ed interessi come per legge.

2. In esito ad argomentato scrutinio delle risultanze
istruttorie e della C.t.u. contabile esperita, il Tribunale accertava, in luogo
del rapporto formalmente qualificato tra le parti di “consulenza professionale
a partita Iva”, l’esistenza di un rapporto di subordinazione a tempo
indeterminato e riconosceva al lavoratore, in ragione delle mansioni svolte e
del relativo livello di autonomia e responsabilità, l’inquadramento suindicato.

3. Con atto notificato il 27 ottobre 2016, il
lavoratore ricorreva per cassazione con unico motivo, cui la società resisteva
con controricorso, tuttavia preceduto da autonomo ricorso notificato (e
depositato) successivamente al primo, pertanto da qualificare ricorso
incidentale (Cass. 2 agosto 2002, n. 11602; Cass. 12 ottobre 2021, n. 27680)
con due motivi, cui il lavoratore replicava con controricorso

4. Il P.G. rassegnava conclusioni scritte, a norma
dell’art. 23, comma 8bis d.l.
137/20 inserito da l. conv. 176/20, nel
senso del rigetto dei ricorsi principale e incidentale.

5 Entrambe le parti comunicavano memorie ai sensi
dell’art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

1. In via di premessa, deve essere disattesa, per
infondatezza, l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale, per il
difetto della qualità di patrocinatore in cassazione, all’atto del conferimento
della procura speciale, del difensore del lavoratore, iscritto all’albo il 21
ottobre 2016.

1.1. Egli risulta, infatti, iscritto all’albo in data
comunque anteriore alla notificazione del ricorso (27 ottobre 2016): tanto
basta per ritenerne la legittimazione al patrocinio davanti a questa Corte di
legittimità, posto che a tale momento il requisito deve sussistere, similmente
alla validità della procura speciale, necessariamente posteriore alla sentenza
impugnata e anteriore alla notificazione del ricorso (Cass. 22 agosto 2002, n.
12348, in materia di rappresentanza legale di una società di capitali da parte
di un avvocato iscritto alle giurisdizioni superiori; Cass. 8 aprile 2021, n.
9358, in ordine al requisito di specialità della procura in senso temporale:
sub 2.3. in motivazione, con richiamo di precedenti; Cass. 4 giugno 2021, n.
15706).

2. Nel rispetto dell’ordine logico giuridico delle
questioni poste, e pertanto con prioritario esame del ricorso incidentale, con
il primo motivo la controricorrente deduce violazione e falsa applicazione
dell’art. 2094 c.c. ed omesso esame di un fatto
decisivo ai fini del giudizio oggetto di discussione tra le parti, per erronea
qualificazione del rapporto, in assenza del vincolo di subordinazione del
lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare datoriale, con
valorizzazione di indici sussidiari irrilevanti, al contrario del nomen iuris
attribuito dalle parti.

3. Esso è inammissibile.

4. Non si configura la violazione della norma di
diritto solo formalmente denunciata, in quanto non integrata dalla deduzione di
un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della
fattispecie astratta recata da una norma di legge, implicante un problema
interpretativo; posto che, nel caso di specie, si tratta piuttosto
dell’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo
delle risultanze di causa, esterna all’esatta interpretazione della norma e
inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è
possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di
motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155;
Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340), ovviamente nei limiti del novellato testo
dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., qui
non ricorrente in assenza di un fatto storico, vertendo le censure sulla
contestazione della valutazione delle risultanze istruttorie (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053).

4.1. Perché è tale la prospettazione di una diversa
valorizzazione di indici rilevanti, in particolare del nomen iuris attribuito
dalle parti (in ogni caso contando, a fini di qualificazione di un rapporto di
lavoro come autonomo o subordinato, i dati fattuali emergenti dal concreto
svolgimento della prestazione, piuttosto che la volontà espressa dalle parti al
momento della stipula del contratto di lavoro: Cass.
15 giugno 2009, n. 13858; Cass. 19 agosto
2013, n. 19199; Cass. 8 aprile 2015, n. 7024,
in riferimento alla non vincolatività della qualificazione del rapporto di
lavoro come contratto di collaborazione coordinata e continuativa; Cass. 19 novembre 2018, n. 29764), in funzione
della natura subordinata del rapporto e pertanto di una sostanziale rivalutazione
dei fatti storici operata dal giudice di merito, sotto l’apparente deduzione
del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, inammissibile in sede di
legittimità (Cass. s.u. 27 dicembre 2019, n. 34476;
Cass. 4 marzo 2021, n. 5987), a fronte di un accertamento in fatto del
Tribunale, congruamente argomentato (per le ragioni esposte dall’ultimo
capoverso di pg. 3 all’ultimo di pg. 6 del decreto), insindacabile da questa
Corte.

5. Con il secondo, essa deduce omesso esame di un
fatto decisivo ai fini del giudizio oggetto di discussione tra le parti, quale
la mancata verifica giudiziale, in ordine all’interpretazione dell’art. 69, primo comma d.lg. 276/2003
applicabile ratione temporis, della natura assoluta o relativa della
presunzione di subordinazione, in caso di assenza di uno specifico progetto o
programma di lavoro nel contratto di collaborazione coordinata e continuativa
tra le parti.

6. Esso è assorbito, per effetto della ribadita
natura subordinata del rapporto, oggetto di contestazione con il precedente
mezzo scrutinato.

7. Con unico motivo, il ricorrente principale deduce
violazione e falsa applicazione degli artt. 2095,
2103, 1362, 1363, 1365 c.c. in
relazione all’art. 1 CCNL
Dirigenti Industria, 116 c.p.c. ed omesso
esame di fatto decisivo per il giudizio, per erronea negazione al lavoratore
della qualifica di dirigente, sugli erronei presupposti della soggezione della
sua attività ad altri dirigenti con qualifica apicale o comunque superiore e
della mancanza di una procura generale, che lo legittimasse all’esercizio di
poteri di rappresentanza e decisione per l’intera azienda o una sua parte
importante.

8. Anch’esso è inammissibile.

9. In maniera del tutto analoga, il ricorrente
principale denuncia soltanto formalmente un vizio di error in iudicando, che in
realtà maschera una inammissibile contestazione nel merito dell’accertamento
del Tribunale, congruamente argomentato (dal primo all’ultimo capoverso di pg. 7
del decreto), in corretta applicazione del procedimento trifasico di
individuazione della qualifica corrispondente alle mansioni in concreto svolte
(Cass. 27 settembre 2010, n. 20272; Cass. 28
aprile 2015, n. 8589; Cass. 22 novembre 2019, n. 30580), tenuto specialmente
conto dei distinti livelli di autonomia e di responsabilità (Cass. 16 settembre 2015, n. 18165; Cass. 23 marzo 2018, n. 7295); esso neppure ha
omesso di esaminare alcun fatto storico decisivo, invero neppure prospettato,
né fondato il proprio ragionamento argomentativo su presupposti erronei, anche
alla luce della specifica previsione della contrattazione collettiva per la
figura dirigenziale, debitamente valutata (ai primi cinque alinea di pg. 8 del
decreto).

10. Dalle argomentazioni sopra svolte discende
allora l’inammissibilità di entrambi i ricorsi, principale e incidentale, con
la compensazione delle spese del giudizio tra le parti e raddoppio del
contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti
processuali (Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibili entrambi i ricorsi e
compensate le spese del giudizio tra le parti.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso principale e incidentale, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

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