Il cittadino italiano, iscritto all’AIRE e dipendente di una società estera, può usufruire del regime speciale per i lavoratori “impatriati” al rientro in Italia anche se svolge l’attività lavorativa in smart working per la medesima società straniera.
Nota AdE Risp., 7 gennaio 2022, n. 3 e Risp. 31 gennaio 2022, n. 55
Marialuisa De Vita
L’Agenzia delle Entrate, con due recenti Risposte ad interpello (la n. 3/ 2022 e la n. 55/2022) ha fornito alcuni chiarimenti in merito al regime speciale per i lavoratori c.d. “impatriati” che svolgono l’attività lavorativa in Italia, ma alle dipendenze di una società estera.
Nel caso oggetto della risposta n. 3/2022, una cittadina italiana si rivolgeva all’Agenzia delle Entrate rappresentando di:
- aver trasferito la residenza fiscale in Italia dal 6 settembre 2021;
- aver precedentemente avuto la residenza fiscale in Svizzera con iscrizione all’AIRE dal 2015;
- di lavorare, da settembre 2021, in smart working dalla sua abitazione in Italia per una società svizzera.
Nel caso oggetto della risposta n. 55/2022, invece, un cittadino italiano esponeva:
- di essere stato iscritto all’AIRE dal 2012;
- di lavorare alle dipendenze di una società estera rivestendo il ruolo di quadro/dirigente con diversi ruoli;
- di essere stato autorizzato dalla società estera a svolgere la propria prestazione lavorativa in smart working dall’Italia a partire da gennaio 2022.
Entrambi gli istanti chiedevano all’Amministrazione finanziaria se vi fossero le condizioni per beneficiare del regime degli impatriati durante il periodo in cui svolgevano la loro attività lavorativa in smart working dall’Italia.
Nell’argomentare la propria soluzione, l’Agenzia delle Entrate ha ricordato in entrambe le risposte le condizioni di operatività del regime degli impatriati.
Come noto, ai sensi dell’art. 16 del D.Lgs n. 147/2015, i redditi di lavoro autonomo, i redditi di lavoro dipendente, quelli assimilati ai redditi di lavoro dipendente e i redditi di impresa, prodotti in Italia da lavoratori (cittadini italiani o esteri) che vi trasferiscono la residenza fiscale, concorrono alla formazione del reddito complessivo nei limiti del 30% del loro ammontare, ovvero nei limiti del 10% se si trasferiscono nelle regioni meridionali (Calabria, Sicilia, Sardegna, Molise, Puglia, Campania, Basilicata e Abruzzo). Tale regime trova attuazione a decorrere dal periodo d’imposta in cui è avvenuto il trasferimento della residenza fiscale in Italia e per i 4 periodi d’imposta successivi.
Per poter beneficiare della suddetta agevolazione, i soggetti che rientrano in Italia devono essere in possesso dei requisiti previsti, in via alternativa, dal co. 1 e dal co. 2 dell’art. 16 summenzionato.
In dettaglio, possono accedere al regime agevolativo solo i lavoratori che (art. 16, co. 1, D.Lgs. n. 147/2015):
- non sono stati residenti in Italia nei 2 periodi di imposta precedenti il predetto trasferimento e si impegnano a permanervi per almeno 2 anni;
- prestano l’attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano.
Il regime in questione vale anche per i cittadini UE e, dal 2017, per quelli di Stati extra UE (con i quali è in vigore una convenzione per evitare le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale), che soddisfano uno dei seguenti requisiti (art. 16, co. 2, D.Lgs. n. 147/2015):
- sono in possesso di un titolo di laurea e hanno svolto continuativamente un’attività di lavoro dipendente, ovvero autonomo oppure d’impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più;
- hanno svolto continuativamente un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea ovvero una specializzazione post lauream.
Ciò premesso, nell’ammettere i lavoratori istanti a fruire del regime di favore, l’Agenzia delle Entrate ha richiamato i chiarimenti forniti con la circolare n. 33/E del 28 dicembre 2020, laddove, al paragrafo 7.5 aveva già precisato che l’art. 16 non richiede, per beneficiare del regime in esame, che l’attività lavorativa sia svolta necessariamente per un’impresa operante sul territorio nazionale.
Ne deriva – ad avviso dell’Amministrazione finanziaria – che «possono accedere all’agevolazione i soggetti che vengono a svolgere in Italia attività di lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro con sede all’estero, o i cui committenti (in caso di lavoro autonomo o di impresa) siano stranieri (non residenti)», purché non siano stati residenti in Italia nei 2 periodi di imposta precedenti il predetto trasferimento e si impegnino a permanervi per almeno 2 anni.
Ciò consente all’Agenzia di riconoscere agli istanti la possibilità di applicare il regime degli impatriati.