Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 febbraio 2022, n. 5415
Rapporto di lavoro, Differenze retributive, Responsabilità
solidale ex art. 29, co. 2, d.lgs. n. 276/2003, Svolgimento di mansioni
dirigenziali amministrative, Prova
Rilevato che
1. M.G. convenne in giudizio A. s.p.a. chiedendone
la condanna, ai sensi dell’art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003, al pagamento
della somma di € 434.232,92 a titolo di differenze retributive in relazione al
periodo di lavoro alle dipendenze di società, la G. s.p.a. prima e della C.
s.p.a. poi, appaltatrici di lavori da parte della committente A. s.p.a.
2. Il Tribunale di Roma, integrato il
contraddittorio nei confronti del fallimento della C. s.p.a., che però restava
contumace, dichiarava improseguibile il ricorso.
3. La Corte di appello di Roma, rigettata
l’eccezione di inammissibilità del gravame formulata ai sensi dell’ art. 348
bis cod.proc.civ., accoglieva il ricorso ed in riforma della sentenza impugnata
condannava A. s.p.a. a corrispondere al G. la somma di € 146.639,31 oltre
interessi e rivalutazione monetaria dalla maturazione dei singoli crediti al
saldo.
3.1. Il giudice di appello riteneva scindibili le
cause proposte nei confronti dei diversi condebitori solidali; applicabile
all’A. s.p.a. l’art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003 non potendo essere la
società – sebbene soggetta a controlli e vincoli pubblici – ritenuta
equiparabile ad una pubblica amministrazione; provato lo svolgimento di
mansioni dirigenziali; dovute le somme chieste, ivi compreso il TFR da
corrispondere per intero poiché maturato alla cessazione del rapporto di
lavoro, con esclusione degli importi riferibili a festività, ferie non godute,
rimborsi spese, incentivi, indennità supplementare e preavviso.
4. Per la cassazione della sentenza ha proposto
ricorso A. s.p.a. con tredici motivi ai quali resiste con controricorso M.G.
Considerato che
5. Il primo motivo di ricorso, con il quale è
denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 29 del d.lgs. n. 276
del 2003 e degli artt. 102 c.p.c. e 24, 52 e 93 della legge fallimentare, è
infondato.
5.1. Va ricordato infatti che l’art. 29, comma 2,
del d.lgs n. 276 del 2003, nella versione anteriore alle modifiche apportate
dal d.l. n. 5 del 2012, conv. con modif. in I. n. 35 del 2012, e dalla I. n. 92
del 2012, non prevedeva un regime di sussidiarietà bensì un’obbligazione
solidale del committente con l’appaltatore per il pagamento dei trattamenti
retributivi ed i contributi previdenziali dovuti al dipendente, come si evince
dal tenore letterale della norma nonché dalla sua “ratio”, intesa ad
incentivare un utilizzo più virtuoso dei contratti di appalto, inducendo il
committente a selezionare imprenditori affidabili, per evitare che i meccanismi
di decentramento e di dissociazione tra titolarità del contratto di lavoro e
utilizzazione della prestazione vadano a danno del lavoratore (cfr. Cass.
07/12/2018 n. 31768).
5.2. Tanto premesso va rammentato che l’obbligazione
solidale passiva, di regola, non dà luogo a litisconsorzio necessario, nemmeno
in sede di impugnazione, in quanto non fa sorgere un rapporto unico e
inscindibile, neppure sotto il profilo della dipendenza di cause, bensì
rapporti giuridici distinti, anche se fra loro connessi, in virtù dei quali è
sempre possibile la scissione del rapporto processuale, potendo il creditore
ripetere da ciascuno dei condebitori l’intero suo credito; tale regola,
peraltro, trova deroga – venendo a configurarsi una situazione di
inscindibilità di cause e, quindi, di litisconsorzio processuale necessario –
quando le cause siano tra loro dipendenti, ovvero quando le distinte posizione
dei coobbligati presentino obiettiva interrelazione, alla stregua della loro
strutturale subordinazione anche sul piano del diritto sostanziale, sicché la
responsabilità dell’uno presupponga la responsabilità dell’altro (cfr Cass.
21/08/2018 n. 20860 e in senso conforme anche 05/06/2020 n. 10803).
5.3. Non è ravvisabile perciò un litisconsorzio
necessario nella fattispecie di cui all’art. 29, comma 2 del D.Lgs. n. 276 del
2003 atteso che quell’obbligazione solidale passiva non fa sorgere un rapporto
unico ed inscindibile ma appunto rapporti giuridici connessi ma distinti ed il
creditore, come si è ricordato, può rivolgersi utilmente anche nei confronti di
uno solo dei condebitori.
6. Anche il secondo motivo di ricorso con il quale è
denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 295 cod.proc.civ. e
degli artt. 24, 52 e 93 della legge fallimentare e si deduce che il giudizio
avrebbe dovuto essere sospeso in attesa dell’accertamento, in sede
fallimentare, del credito, e infondato.
6.1. In tema di obbligazioni solidali, la regola
dell’improcedibilità nella sede ordinaria della domanda di adempimento e della
conseguente attrazione a quella fallimentare, ai sensi dell’art. 24 legge
fall., non trova applicazione in caso di sopravvenuto fallimento di uno dei
condebitori, allorché contro tale soggetto non sia svolta alcuna domanda volta
ad ottenere un titolo per partecipare al concorso e, dunque, il creditore possa
proseguire il giudizio verso il condebitore “in bonis (cfr. Cass.
03/12/2009 n. 25403).
7. Neppure può trovare accoglimento il terzo motivo
di ricorso con il quale è denunciata la violazione e falsa applicazione
dell’art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003 in relazione all’art. 360 primo comma
n. 3 cod. proc. civ. e si deduce che la disposizione non poterbbe trovare
applicazione nei confronti delle società che, come A. s.p.a., sono interamente
partecipate dallo Stato.
7.1. Non vi sono infatti ragioni per discostarsi
dall’insegnamento di questa Corte che ha chiarito che in materia di appalti
pubblici, la responsabilità solidale prevista dall’art. 29, comma 2, del d.lgs.
n. 276 del 2003, esclusa per le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1,
comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, è, invece, applicabile ai soggetti privati
e nello specifico alle società partecipate pubbliche, assoggettate, quali
“enti aggiudicatori” al codice dei contratti pubblici. Nell’affermare
tale principio la Cassazione ne ha scrutinato anche la compatibilità
costituzionale delle disposizioni evidenziando che tale differente
regolamentazione non viola l’art. 3 Cost. in ragione della diversità delle
situazioni a confronto, non incontrando i privati imprenditori alcun limite
nella scelta del contraente, laddove nelle procedure di evidenza pubblica la
tutela del lavoratore è assicurata sin dal momento della scelta suddetta, né
limita l’iniziativa economica dei privati imprenditori per l’aggravio di
responsabilità, non essendo precluso al legislatore modulare le tutele dei
lavoratori In rapporto alla diversa natura dei committenti (cfr. Cass.
03/05/2017 n. 10777 e successivamente anche Cass. 05/03/2019 n. 6333).
8. Il quarto motivo – con il quale si deduce la
violazione dell’art. 132 n. 4 cod.proc.civ. e la nullità della sentenza
contradditoria in modo insanabile nella sua motivazione laddove afferma che le
connotazioni pubblicistiche della società a partecipazione pubblica non
incidono sulla natura privatistica della stessa salvo poi escludere che vi sia
contrasto tra l’applicazione dell’art. 29 da una parte e l’applicazione della
disciplina del codice degli appalti pubblici dall’altra – è infondato.
8.1. Non è ravvisabile alcun insanabile contrasto
che vizi la motivazione della sentenza nei termini dettati dalla disposizione
invocata nell’affermazione che i due apparati normativi – il d.lgs. n. 276 del
2003 nella parte in cui detta la disciplina dell’appalto ed il d.lgs. n. 163
del 2006 che regolamenta gli appalti nel settore pubblico – apprestino tutele
il primo regola la materia dell’occupazione e del mercato del lavoro, sul piano
della tutela delle condizioni dei lavoratori mentre il secondo opera, invece,
sul piano della disciplina degli appalti pubblici, anche apprestando una tutela
ai lavoratori, ma con più intensa concentrazione sull’esecuzione dell’appalto
(cfr. Cass. 06/04/2017 n. 8955).
9. Anche il quinto motivo di ricorso, con il quale
si denuncia ancora una volta la violazione e falsa applicazione dell’art. 29
del d.lgs. n. 276 del 2003 sul rilievo che sarebbe mancata la prova che le
retribuzioni riconosciute erano relative proprio agli appalti intercorsi con A.
s.p.a.
– non può essere accolto.
9.1. Sostiene la ricorrente che non basterebbe la
prova dell’esistenza di appalti e dello svolgimento di mansioni dirigenziali
amministrative in quell’ambito ad assicurare la tutela solidale prevista
dall’art. 29 del d.lgs. più volte ricordato. Deduce che, una volta che era
stato denunciato l’abbandono dei cantieri già nell’estate 2010, era onere del lavoratore
allegare e dimostrare in maniera particolarmente rigorosa che in realtà nel
periodo controverso l’attività era stata svolta proprio nell’appalto con A.
s.p.a.
9.2. La censura, per quanto suggestiva, è tuttavia
inammissibile atteso che la ricorrente non chiarisce nel suo motivo in che
maniera avrebbe esplicitato la contestazione della prestazione dell’attività in
suo favore e la doglianza, generica per tale aspetto, si risolve nella sostanza
nella pretesa di veder diversamente apprezzati i fatti allegati in giudizio e
sui quali si era svolta la prova pretendendo di addivenire a conclusioni
diverse rispetto a quelle raggiunte dal giudice di appello che pure li ha
compiutamente apprezzati nell’esercizio del potere discrezionale a lui
riservato.
10. Del pari è inammissibile il sesto motivo di
ricorso con il quale l’A. s.p.a. denuncia l’omesso esame di fatto decisivo
oggetto di discussione tra le parti. Sostiene la ricorrente che i tre contratti
avevano avuto decorrenza dal 9.11.2005 al 20.4.2011 e che quindi nulla era
dovuto in via solidale per il periodo precedente. Tuttavia la censura risulta
generica e perciò inammissibile atteso che la ricorrente non precisa da quali
dati deduca il presunto omesso esame nel precedente grado di giudizio. Trascura
di riportare il contenuto dei documenti dai quali evincerebbe l’insussistenza
di prestazioni lavorative da parte del lavoratore. In sostanza è preclusa alla
Corte una verifica delle giustificazioni in base alle quali la scelta della
Corte di appello sarebbe errata e, come è noto, laddove si denunci un omesso
esame di un fatto decisivo è onere della parte che lo alleghi indicare il
“fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”,
testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e
il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale
tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame
di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un
fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque
preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto
di tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte Cass. sez. u. 07/04/2014 n.
8053).
11. Sono fondati e devono invece essere accolti il
settimo, l’ottavo ed il nono motivo di ricorso.
11.1. La Corte territoriale ha del tutto trascurato
di considerare la circostanza decisiva della continuità della prestazione e del
denunciato avvenuto abbandono dei cantieri da parte della società appaltatrice
nel corso dell’anno 2010. Si tratta di circostanza fattuale che risulta essere
stata ritualmente allegata in giudizio ed oggetto di prova (cfr. pag. 35 e ss.
del ricorso e gli specifici richiami ivi contenuti) ed è stata del tutto
pretermessa nella motivazione della sentenza che ne risulta così viziata.
12. Il decimo motivo di ricorso è inammissibile in
quanto pone una questione – quella dell’applicazione dell’art. 29 del d.lgs. n.
276 del 2003 con riguardo al periodo antecedente il 2009 quando gli appalti
erano passati dalla G. s.p.a. alla C. s.p.a. per effetto del conferimento di
ramo di azienda – che non viene affatto trattata nella sentenza impugnata e che
però appare nuova e perciò inammissibile non avendo la ricorrente chiarito se,
dove come e quando la stessa fosse stata ritualmente avanzata e coltivata nel
corso del giudizio di primo grado e poi in quello di appello. Qualora una
questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti
trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga
in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità
della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della
questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di
autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del
giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare
“ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel
merito la censura stessa (cfr. Cass. 13/12/2019 n. 32804).
13. Analoghe considerazioni valgono con riguardo
all’undicesimo motivo di ricorso con il quale si deduce la violazione dell’art.
29 d.lgs. n. 276 del 2003 e si lamenta che avrebbe dovuto essere evocata in
giudizio la cedente società G. s.p.a. e che in mancanza si sarebbe dovuto
procedere all’integrazione del contraddittorio. Tuttavia, dalla lettura del
motivo non è dato comprendere come dove e quando la questione sia stata posta e
poi coltivata nei precedenti gradi di giudizio.
14. Del pari è inammissibile il dodicesimo motivo di
ricorso che denuncia la nullità, ex art. 112 cod.proc.civ. della sentenza per
essere il giudice di appello incorso nel vizio di ultra petizione quando ha
condannato la società a pagare al lavoratore il T.F.R. sebbene quest’ultimo
avesse dichiarato nel giudizio di appello di averlo ricevuto dal Fondo di
Garanzia dell’INPS riducendo l’importo chiesto.
14.1. La censura si rivela estremamente generica
poiché non consente alla Corte di comprendere se effettivamente vi era o meno un
residuo di TFR da erogare tenuto conto del fatto che la sentenza non liquida
una somma complessiva e da conto solo delle voci retributive non dovute.
Sarebbe stato onere della società, in questa situazione, chiarire nella censura
in cosa materialmente si sarebbe concretizzato l’errore denunciato anche al
fine di porre il Collegio nella condizione dì comprenderne, sin dalla lettura
degli atti, la loro consistenza e la rilevanza.
15. Analogamente, in ragione della sua estrema
genericità che ne inficia una sua piana comprensibilità, va dichiarato
inammissibile l’ultimo motivo di ricorso con il quale si deduce che dagli
importi riconosciuti al lavoratore avrebbe dovuto essere scomputata la somma di
€ 48.172,79 corrispondente al TFR lordo già erogato. Peraltro la censura si
risolve in una diversa valutazione dei fatti, tutti esaminati dal giudice di
appello, non consentita in questa sede.
16. In conclusione, per le ragioni esposte, il
ricorso deve essere accolto limitatamente ai motivi settimo ottavo e nono con
cassazione della sentenza impugnata, che nel resto deve essere confermata, in
relazione agli stessi e rinvio alla Corte di appello di Roma in diversa
composizione per un nuovo esame delle questioni connesse ai motivi accolti
relativamente alla effettiva durata e continuità delle prestazioni rese negli
appalti. Al giudice del rinvio è demandata poi la regolazione delle spese del
presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il settimo, l’ottavo ed il nono motivo di
ricorso, rigettati gli altri.
Cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e
rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per le
spese del giudizio di legittimità.