In tema di reddito da lavoro dipendente, le erogazioni liberali percepite dal lavoratore dipendente, in relazione alla propria attività lavorativa, tra cui le mance, rientrano nell’ambito della nozione onnicomprensiva di reddito fissata dall’art. 51, 1°co., del d.P.R. n. 917/1986, e sono pertanto soggette a tassazione.
Nota a Cass. ord. 30 settembre 2021, n. 26512
Stefano Quaranta
La vicenda oggetto dell’ordinanza della Corte di Cassazione 30 Settembre 2021, n. 26512 ha riguardato un interessante e comune fenomeno: le mance.
Sul tema la Suprema Corte si è mostrata, per così dire, pro Fisco, in quanto ha fatto rientrare tali elargizioni nel principio di onnicomprensività dei redditi di lavoro dipendente e, pertanto, ne ha riconosciuto la tassabilità.
Più nel dettaglio, la fattispecie ha tratto origine da un accertamento mosso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti del dipendente di un hotel sito in Sardegna che si era visto contestare dall’Amministrazione la mancata dichiarazione di 83.650,00 euro percepiti, nel corso dello stesso periodo di imposta, a titolo di elargizioni della clientela.
Il ricorso alla Corte di Cassazione era stato causato dal fatto che in sede di appello la CTR aveva affermato che le somme percepite dal lavoratore a titolo di mance non fossero tassabili in quanto, da un lato, aleatorie e, dall’altro, perché le stesse venivano percepite direttamente su erogazione liberale da parte del cliente senza intermediazione alcuna del datore di lavoro.
La Cassazione è stata, invece, di contrario avviso.
Quest’ultima ha operato una ricostruzione del quadro normativo in vigore, muovendo da:
- l’art. 51, co. 1, D.P.R. n. 917/1986, secondo cui il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro;
- l’art. 49, co. 1, T.U.I.R., in ragione del quale sono redditi di lavoro dipendente «quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la direzione di altri, compreso il lavoro a domicilio quando è considerato dipendente secondo le norme della legislazione sul lavoro»;
Il combinato disposto di tali norme comporta che il concetto di reddito da lavoro dipendente si estenda a tutte le somme che il dipendente riceve, anche non direttamente dal datore di lavoro, ma sulla cui percezione il dipendente può fare, per sua comune esperienza, ragionevole affidamento. Il nesso di derivazione delle somme che comunque traggano origine o fonte dal rapporto di lavoro ne giustifica, dunque, la totale imponibilità, salvo ovviamente le esclusioni (e/o deroghe) espressamente previste dalla legge.
In definitiva, ad avviso della Corte, il quadro normativo ricostruito, anche risalente al D.Lgs. n. 314/1997, fondato sull’onnicomprensività del concetto di reddito di lavoro comporta la totale imponibilità di tutto ciò che il dipendente riceve, anche, come nel caso in esame, quanto ricevuto non direttamente dal datore di lavoro, ma da terzi, purché sulla sua percezione il dipendente possa fare, per comune esperienza, ragionevole, anche se non certo, affidamento.
Ciò posto, la Corte ha tenuto anche a precisare che l’inquadramento delle mance de quibus differisce da quello delle mance percepite dagli impiegati tecnici delle case da gioco, oggetto di una specifica regolamentazione contrattuale e fiscale. Dal punto di vista tributario, il legislatore accorda a tali mance una tassazione nella misura del 75% del loro ammontare.
Per la Corte, la norma che prevede tale agevolazione a favore dei cc.dd. croupiers è una norma di carattere agevolativo (introduce un’eccezione al principio di onnicomprensività) e, pertanto, non è soggetta ad applicazione analogica, né estensiva, stante la natura di stretta interpretazione delle norme in materia di agevolazione tributaria (cfr., tra le altre, Cass. 28 ottobre 2020, n. 23686; Cass. 6 dicembre 2016, n. 24894; Cass. S.U. 2 maggio 2014, n. 9560).
Sulla questione relativa ai croupier la Suprema Corte ha peraltro richiamato un proprio precedente provvedimento (cfr. Cass. 21 marzo 2006, n. 6238) per il quale l’inclusione, parziale, delle mance nella base del reddito rilevante veniva giustificata in considerazione delle disposizioni contrattuali che attribuiscono ad apposito organismo della casa da gioco il compito di ripartire le mance stesse.
Si ebbe, allora, ad osservare che «[m]entre la retribuzione è strettamente connessa, in virtù del vincolo sinallagmatico che qualifica il rapporto di lavoro subordinato, con la prestazione lavorativa, il concetto di derivazione dal rapporto di lavoro, contenuto nella norma in esame» (ora art. 49 T.U.I.R.) «prescinde dal suddetto sinallagma ed individua pertanto non solo tutto quanto può essere concettualmente inquadrato nella nozione di retribuzione, ma anche tutti quegli altri introiti del lavoratore subordinato, in denaro o natura, che si legano casualmente con il rapporto di lavoro (e cioè derivano da esso), nel senso che l’esistenza del rapporto di lavoro costituisce il necessario presupposto per la loro percezione da parte del lavoratore subordinato. Costituisce logica conseguenza di quanto fin qui detto che l’ampiezza del concetto di derivazione adottato dal legislatore impone di inserire nella nozione di redditi di lavoro anche gli introiti corrisposti al lavoratore subordinato da soggetti terzi rispetto al rapporto di lavoro sempre che ricorrano i suddetti requisiti».
La chiave di lettura dell’apparente contraddizione tra imponibilità parziale delle mance dei croupiers e imponibilità totale delle restanti categorie di mance sarebbe dunque da ricondursi al fatto che, nel primo caso, esiste una disposizione di carattere eccezionale che consente (anche alla luce della previsione contrattuale di esse) di renderle parzialmente esenti da imposizione; negli altri casi opera la normativa generale per cui il reddito di lavoro dipendente è un concetto più ampio del concetto di retribuzione. In questo caso, ne consegue che ogni tipo di introito corrisposto al lavoratore nel contesto del rapporto di lavoro, e da questi ragionevolmente atteso anche sulla base della comune esperienza, ancorché proveniente da soggetti formalmente terzi rispetto al contratto di lavoro subordinato, è da ricomprendere nel contesto dei redditi di lavoro dipendente soggetti a tassazione.