La normativa sull’obbligo vaccinale del personale sanitario è costituzionalmente legittima.
Nota a Trib. Catanzaro 17 dicembre 2021
Fabrizio Girolami
Come noto, il D.L. 1° aprile 2021, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 maggio 2021, n. 76 (“Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici”), ha introdotto, all’art. 4, l’obbligo di vaccinazione per la prevenzione dell’infezione dal virus SARS-CoV-2 a carico degli esercenti le professioni sanitarie e degli operatori di interesse sanitario, configurandolo come “requisito essenziale” per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati.
Con riferimento all’obbligo vaccinale per il personale sanitario, si segnala l’ordinanza 17 dicembre 2021 del Tribunale di Catanzaro, I sez. civile – emessa nell’ambito del procedimento ex art. 700 c.p.c., iscritto al n. 1637-1/2021 – che ha negato il riconoscimento della “tutela cautelare urgente” ex art. 700 c.p.c. a una lavoratrice che, a seguito del rifiuto del vaccino, aveva ricevuto dall’Azienda sanitaria di appartenenza un provvedimento di sospensione dalla prestazione e dalla retribuzione, ai sensi del citato art. 4, D.L. n. 44/2021.
Nel caso di specie, la lavoratrice svolgeva le mansioni di infermiera presso il reparto di pediatria di una Azienda ospedaliera di Catanzaro e aveva proposto – nei confronti della propria Azienda e dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Catanzaro – un ricorso ex art. 700 c.p.c. per impugnare la determinazione con la quale l’Azienda aveva disposto la sospensione dal servizio (e dalla retribuzione) fino al 31.12.2021 o fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale, in conseguenza del suo rifiuto di sottoporsi alla profilassi anti SARS-CoV-2.
L’infermiera ha esposto, tra i motivi di doglianza, che la normativa sull’obbligo vaccinale di cui all’art. 4, D.L. n. 44/2021 sarebbe incostituzionale in quanto, impedendo lo svolgimento della prestazione lavorativa, lede il diritto soggettivo al lavoro (e alla relativa retribuzione), quale diritto intangibile e indisponibile del lavoratore.
Il giudice catanzarese ha rigettato l’istanza di tutela cautelare della lavoratrice, per le seguenti considerazioni:
- non è invocabile la tutela di urgenza per difetto del “periculum in mora” (ovvero il “fondato motivo di temere che, durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile”). In particolare, il danno economico lamentato (temporanea perdita della retribuzione per il periodo di sospensione dal servizio) “non concretizza di per sé il requisito del periculum in mora”, trattandosi di danno sempre risarcibile (con le azioni ordinarie di risarcimento in sede civile). Inoltre, la lavoratrice ha sempre la possibilità di rimuovere gli effetti negativi dell’atto impugnato, sottoponendosi alla vaccinazione anti Covid-19, così adempiendo a un preciso obbligo di legge. In altri termini, la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione è sottoposta ex lege a una sorta di “condizione risolutiva potestativa” (l’adempimento dell’obbligo vaccinale) “il cui accadimento rientra nella disponibilità del lavoratore il quale in qualunque momento, con un comportamento volontario – che, anzi, sarebbe doveroso atteso lo specifico obbligo vigente a suo carico – può far cessare gli effetti della sua sospensione dal lavoro e dalla conseguente retribuzione)”;
- la prospettata questione di costituzionalità dell’art. 4, D.L. n. 44/2021 sull’imposizione dell’obbligo vaccinale al personale sanitario è infondata, alla luce dei principi elaborati dal Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. III, 20.10.2021, n. 7045) che ha affermato la piena legittimità dell’obbligo vaccinale imposto al personale sanitario, trattandosi di “previsione rispondente non soltanto a un preciso obbligo di sicurezza e di protezione dei lavoratori sui luoghi di lavoro, a contatto con il pubblico, ma anche al principio, altrettanto fondamentale, di sicurezza delle cure, rispondente a un interesse della collettività”;
- nel caso di specie, nel bilanciamento tra gli interessi in gioco, l’interesse della lavoratrice all’esercizio dell’attività (e alla retribuzione) in violazione dell’obbligo vaccinale “è destinato a soccombere a fronte delle esigenze di tutela della salute pubblica e, soprattutto della salute di chi si rivolga al personale sanitario”. In questo contesto, il diritto soggettivo individuale al lavoro (e alla conseguente retribuzione) “è sì meritevole di protezione, ma solo fino all’estremo limite in cui la sua tutela non sia suscettibile di arrecare un pregiudizio all’interesse generale (nella specie, la salute pubblica), di fronte al quale è destinato inesorabilmente a soccombere, sicché, ove il singolo intenda consapevolmente tenere comportamenti potenzialmente dannosi per la collettività, violando una disposizione di legge che quell’interesse miri specificamente a proteggere, deve sopportarne le inevitabili conseguenze”;
- la salute pubblica costituisce, pertanto, un valore preminente che prevale sul diritto soggettivo al lavoro della lavoratrice, soprattutto in considerazione del fatto che la stessa “presta servizio presso il reparto di pediatria, entrando in contatto quotidianamente con bambini, allo stato, non soggetti a copertura vaccinale, con quale possibile pericoloso scenario di diffusione del contagio è facile intuire”.