Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 febbraio 2022, n. 3420
Pretese contributive INPS, Irregolarità, Mancanza
dell’intento fraudolento del datore di lavoro, Onere della prova,
Accertamento, Verbale ispettivo, Valore probatorio
Rilevato in fatto che
con sentenza n. 1574 del 2015, la Corte d’appello di
Reggio Calabria ha rigettato l’impugnazione proposta da D.F.C. Impianti s.a.s.
avverso la sentenza di primo grado, con la quale era stata rigettato il ricorso
proposto dalla stessa società al fine di ottenere l’accertamento della
insussistenza delle pretese contributive avanzate dall’INPS a seguito del
verbale ispettivo del 15 dicembre 2005;
la Corte territoriale, dopo aver elencato le diverse
irregolarità accertate in sede ispettiva (mancata contribuzione relativa ad
importi retributivi, previsti dalla contrattazione collettiva a titolo di
indennità di vacanza contrattuale, non erogati negli anni 2002-2003; mancata
contribuzione relativa alle retribuzioni non erogate ad un lavoratore nel mese
di aprile 2003; discrasia tra la data di assunzione e quella di effettivo
utilizzo di alcuni lavoratori rispetto ai quali non poteva essere fruito lo
sgravio previsto dalla legge n. 407 del 1990; mancato adeguamento delle
retribuzioni agli aumenti periodici previsti dal contratto collettivo nazionale
applicabile; mancato rispetto dell’incremento occupazionale previsto dall’art.
44 I. n. 448 del 2001 per fruire del diritto allo sgravio concesso in relazione
al lavoratore V.) ha ribadito che, fermo restando l’onere probatorio a carico
dell’INPS, il valore probatorio dei verbali ispettivi e degli accertamenti
condotti dagli ispettori sulla documentazione acquisita in quella sede era
stato legittimamente ritenuto idoneo a provare i crediti perché era stato valutato
liberamente e tenendo conto dei motivi della proposta opposizione a verbale;
tali motivi erano stati ampiamente disattesi dalla sentenza di primo grado che
andava confermata;
avverso tale sentenza ricorre D.F.C. Impianti s.a.s.
sulla base di tredici motivi;
l’INPS ha rilasciato procura in calce alla copia
notificata del ricorso;
Considerato che
con il primo motivo di ricorso, si denuncia la
nullità della sentenza per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e
costituente specifico motivo di impugnazione (art. 360, primo comma, n. 4)
c.p.c. che la ricorrente individua nel fatto che la Corte d’appello aveva
affermato che in ordine a ciascun motivo d’appello era stata data risposta
negativa nella sentenza di primo grado, riportata in sintesi nel corpo della
stessa motivazione; così facendo, tuttavia, non era stato esplicitato il
percorso argomentativo che aveva condotto al respingimento dell’appello: il
motivo è infondato giacché allude ad un vizio di motivazione insussistente in
quanto la sentenza ha assolto l’obbligo motivazionale imposto dall’art. 111
Cost. e 132 n. 4 c.p.c., dal momento che, dopo aver compiutamente riportato
alla pag. 2 le ragioni essenziali della motivazione adottata dal primo giudice
ed aver elencato i motivi d’appello, ha esposto il principio di riparto
dell’onere della prova applicabile in fattispecie di accertamento negativo ed
ha spiegato il valore probatorio da attribuire al verbale ispettivo;
ciò premesso, valutati i motivi di opposizione nel
merito al verbale ispettivo, ha esplicitato le ragioni per le quali andavano
disattesi i motivi d’appello proposti; non sussiste, dunque, alcuna ipotesi di
vizio della motivazione dal momento che questa Corte di cassazione (vd. tra le
più recenti Cassazione civile sez. lav., 24/07/2020, n.15933; Cassazione civile
sez. I, 02/07/2020, n.13600) ha avuto modo di precisare che in seguito alla
riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non sono più ammissibili
nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza
della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di
legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della
violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost.,
comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione
dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e danno luogo a nullità della sentenza – di
“mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento
giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta
ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od
incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può
essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia
formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una
diversa soluzione della controversia; con il secondo motivo di ricorso, si
denuncia la nullità della sentenza per l’omesso esame di un fatto decisivo per
il giudizio e costituente specifico motivo di impugnazione che si identifica
nella inosservanza, omessa e falsa applicazione della I. n. 241 del 1990 e I.
n. 15 del 2005;
si lamenta, in sostanza, l’irregolarità
dell’attività ispettiva in ordine all’acquisizione della documentazione
contabile utilizzata;
con il terzo motivo si deduce omesso esame di un
fatto decisivo per il giudizio e costituente specifico motivo di impugnazione
realizzato dalla erronea, omessa e falsa interpretazione degli artt. 13 e 14
d.lgs. n. 124 del 2004, nonché falsa interpretazione della circolare n. 24 del
24 giugno 2004 del Ministero del lavoro relativamente agli adempimenti
procedurali e di coordinamento delle attività ispettive nel mondo del lavoro;
l’INPS, si afferma, avrebbe dovuto consentire,
previa diffida, la regolarizzazione delle eventuali inadempienze;
i due motivi, connessi, vanno trattati
congiuntamente e sono inammissibili perché pongono questioni nuove senza che si
espliciti quando e dove le stesse siano state introdotte in causa; i motivi, in
sostanza, non si confrontano con i fondamentali passaggi della decisione
impugnata; la sentenza ha dato atto, nel merito, di ogni questione dedotta, sia
in primo grado che in appello, relativamente alle ragioni sottostanti alle
pretese contributive e non risulta che tra tali questioni fossero comprese le
qui dedotte omissioni procedimentali e la violazione delle regole poste dal
D.Lgs. n. 124 del 2004, art. 13, per l’espletamento dell’attività ispettiva;
in più, va osservato che i vizi del verbale
ispettivo, non costituente atto presupposto necessario, non incidono sui
presupposti dell’obbligo per cui sono irrilevanti eventuali vizi procedimentali
del verbale di accertamento ispettivo atteso che oggetto del giudizio di
accertamento negativo è la pretesa creditoria dell’Inps e le carenze
dell’accertamento ispettivo possono rilevare soltanto ai fini della valutazione
probatoria dell’attività ispettiva compiuta e non per sé considerate;
si veda, in particolare, per quanto riguarda
l’irrilevanza dei procedimenti amministrativi di cui alle leggi richiamate,
Cassazione civile sez. lav., 01/03/2021, n.5550;
con il quarto motivo, si deduce la violazione e o
falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 2729 c.c. in ragione della fede
privilegiata asseritamente accordata al verbale ispettivo;
con il quinto motivo, si deduce l’erronea od omessa
valutazione delle risultanze istruttorie in quanto, per ritenere fondate le
pretese, il tribunale si era fondato solo sulla testimonianza dell’ispettore S.
senza cercare riscontri documentali, del resto erano stati utilizzati solo
campioni di buste relative ad un solo lavoratore e senza conoscere il c.c.n.I
applicato;
il sesto motivo denuncia omessa, erronea ed
insufficiente motivazione in ordine al profilo della omessa contribuzione
relativa al lavoratore M. per l’aprile 2003 e per la tredicesima di quell’anno,
in quanto mancavano le buste paga ed, in senso contrario alla sussistenza
dell’omissione, militava la dichiarazione del consulente della società;
si lamenta il mancato utilizzo di c.t.u., revocata
in grado d’appello, a prescindere dalla iniziativa delle parti; inoltre, la
ricorrente formula critiche alle conclusioni cui è giunta la sentenza impugnata
relativamente al diritto alla fruizione degli sgravi posto che non si era
compiuto alcun accertamento documentale sulle busta paga, né si erano prodotti
i libri paga e matricola;
i motivi quarto, quinto e sesto- nel loro insieme –
imputano alla sentenza impugnata, oltre a carenze della motivazione,
l’illegittimo raggiungimento della prova delle diverse irregolarità riscontrate
in sede ispettiva e sono inammissibili ove tendono a sovvertire il giudizio in
fatto al di fuori dei limiti previsti dall’art. 360 n. 5) c.p.c., posto che la
valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni,
costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento
discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla
ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicchè
rimane estranea al vizio previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. qualsiasi
censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è
formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del
materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore
attendibilità delle fonti di prova, atteso che la deduzione del vizio di cui
all’art. 360, primo comma n. 5), c.p.c. non consente di censurare la
complessiva valutazione delle risultanze processuali, contenuta nella sentenza
impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di
ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di
fatto compiuti dal giudice di merito ( vd. da ultimo Cass. n. 20553 del
19/07/2021);
i medesimi motivi sono infondati ove denunciano le
violazioni di legge sopra indicate, posto che la sentenza ha affermato
correttamente i principi che regolano il valore probatorio dei verbali
ispettivi redatti da pubblici ufficiali, in quanto la consolidata
giurisprudenza di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, è nel
senso che tali verbali fanno fede fino a querela di falso unicamente con
riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale nella relazione ispettiva
come avvenuti in sua presenza o da lui compiuti o conosciuti senza alcun
margine di apprezzamento, nonchè con riguardo alla provenienza del documento
dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni delle parti; la fede
privilegiata di detti accertamenti non è, per converso, estesa agli
apprezzamenti in essi contenuti, nè ai fatti di cui i pubblici ufficiali hanno
notizia da altre persone o a quelli che si assumono veri in virtù di
presunzioni o di personali considerazioni logiche. Ne consegue che le
valutazioni conclusive rese nelle relazioni ispettive costituiscono elementi di
convincimento con i quali il giudice deve criticamente confrontarsi, non
potendoli recepire aprioristicamente (tra molte, Cass. n. 13679 del 2018; n.
22862 del 2010). Quindi, mentre i documenti in questione sono assistiti da fede
privilegiata nei limiti suindicati, per le altre circostanze di fatto che i
verbalizzanti segnalino di avere accertato (ad esempio, per le dichiarazioni
provenienti da terzi, quali i lavoratori, rese agli ispettori) il materiale
probatorio è liberamente valutabile e apprezzabile dal giudice, unitamente alle
altre risultanze istruttorie raccolte o richieste dalle parti (tra molte, Cass.
n. 9251 del 2010);
la sentenza impugnata ha proceduto ad un vaglio
critico del materiale acquisito in sede ispettiva e ciò attraverso l’esame
delle testimonianze di S. e P.;
il settimo motivo deduce la violazione e falsa
applicazione dell’accordo interconfederale Governo-sindacati- Associazioni
imprenditoriali del 23 luglio 1993 e del verbale di accordo del 23 luglio 2004,
giacché tali accordi avevano previsto che l’indennità di vacanza contrattuale
decorresse dall’anno 2003 e non dall’anno 2002 come preteso dall’INPS;
l’ottavo motivo deduce un omesso accertamento circa
l’adeguamento delle retribuzioni con gli aumenti previsti dal c.c.n.I di
categoria;
i motivi, connessi, sono inammissibili giacché, in
disparte la questione sulla natura dell’accordo interconfederale ai fini della
censura sub art. 360, primo comma n. 3), c.p.c., negata da Cass. n. 433 del
1991, il motivo si dispiega in censure basate su ricostruzioni di fatti relativi
alla situazione dei singoli lavoratori ed alla scadenza dei relativi contratti
nazionali applicati non trattati dalla sentenza impugnata; il motivo non si
confronta neppure con la sentenza impugnata che ha accertato in fatto ”
[…] essere stato verificato che rispetto al CCNL di fatto applicato non sono
stati corrisposti gli aumenti e versati i relativi contributi, parte appellante
avrebbe dovuto sin dal primo grado esprimere censura” ;
il nono motivo deduce la violazione e falsa
applicazione della normativa sugli sgravi contributivi di cui alla I. n. 448
del 1991 relativamente al lavoratore V.L., posto che, in realtà, si sarebbe
realizzato l’incremento occupazionale che ne è presupposto;
il motivo è inammissibile per la novità delle
questioni sollevate, non riferite dalla sentenza impugnata che si è occupata
della regola di riparto dell’onere probatorio correttamente affermando il
principio consolidato espresso da questa Corte di cassazione secondo il quale
ai fini della concessione degli sgravi contributivi previsti dall’art. 3, comma
5, della I. n. 448 del 1998, é a carico dell’impresa interessata l’onere di
provare l’ incremento occupazionale richiesto ( Cass. n. 8680 del 2018; Cass.
n. 20504 del 2018);
il decimo motivo lamenta la violazione e o falsa applicazione
della normativa sul contratto collettivo assunto a parametro del calcolo
dell’imponibile contributivo, posto che il c.c.n.l. applicabile non sarebbe
stato quello metalmeccanico- settore artigianato, ma quello della distribuzione
energia elettrica settore artigianato, in ragione dell’attività espletata;
il motivo è formulato in modo inammissibile giacché
non individua quale sia la disposizione del c.c.n.I che ritiene violata e,
sostanzialmente, critica l’accertamento in fatto compiuto dal giudice di merito
non sindacabile in questa sede di legittimità; l’undicesimo motivo denuncia la
violazione dell’art. 8 I. n. 407 del 1990 in quanto la società aveva provato la
sussistenza dei presupposti e la sentenza non ne aveva tenuto conto;
il motivo è inammissibile giacché non evidenzia
alcun errore di diritto ma lamenta una mancata adesione del giudice all’esito
della prova sollecitato dalla parte e, quindi, si risolve in una critica
all’accertamento in fatto posto in essere dal giudice di merito;
con il dodicesimo motivo, si denuncia la violazione
della legge n. 388 del 2000 relativamente alla configurabilità della vicenda
sanzionatoria nei termini della omissione e non della evasione;
il motivo è inammissibile;
questa Corte, con la sentenza 27 dicembre 2011, n.
28966 in sostanziale adesione a Cass., 10 maggio 2010, n. 11261, ha riaffermato
il principio di diritto, secondo cui: “In tema di obbligazioni
contributive nei confronti delle gestioni previdenziali ed assistenziali,
l’omessa o infedele denuncia mensile all’INPS (attraverso i cosiddetti modelli
DM10 di rapporti di lavoro o di retribuzioni erogate, ancorché registrati nei
libri di cui è obbligatoria la tenuta, concretizza l’ipotesi di “evasione
contributiva” di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, lett. b),
e non la meno grave fattispecie di “omissione contributiva” di cui
alla lett. a) della medesima norma, che riguarda le sole ipotesi in cui il
datore di lavoro, pur avendo provveduto a tutte le denunce e registrazioni
obbligatorie, ometta il pagamento dei contributi, dovendosi ritenere che
l’omessa o infedele denuncia configuri occultamento dei rapporti o delle
retribuzioni o di entrambi e faccia presumere l’esistenza della volontà
datoriale di realizzare tale occultamento allo specifico fine di non versare i
contributi o i premi dovuti;
conseguentemente, grava sul datore di lavoro
inadempiente l’onere di provare la mancanza dell’intento fraudolento e, quindi,
la sua buona fede, onere che non può, tuttavia, reputarsi assolto in ragione
dell’avvenuta corretta annotazione dei dati, omessi o infedelmente riportati
nelle denunce, sui libri di cui è obbligatoria la tenuta; in tale contesto,
poggiando la fattispecie di legge su specifici presupposti di fatto, spetta al
giudice del merito accertare la sussistenza, ove dedotte, di circostanze
fattuali atte a vincere la suddetta presunzione, con valutazione intangibile in
sede di legittimità ove congruamente motivata” (v. pure Cass., 25 giugno
2012, n. 10509);
dunque, poiché la sentenza impugnata non si è
occupata del tema della sanzione applicabile, il motivo è inammissibile là dove
introduce una questione in fatto del tutto nuova senza indicare quando e come
la questione ora proposta sia stata introdotta nella causa;
con il tredicesimo motivo si denuncia l’omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della
controversia che si individua nella circostanza che la c.t.u. era stata prima
ammessa e poi revocata;
il motivo è inammissibile attesa la palese
difformità dai limiti del vizio motivazionale di cui al primo comma n. 5)
dell’art. 360 c.p.c., essendo stato affermato che la riformulazione dell’art.
360, n. 5), deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati
dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato
sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità (Cass. SS.UU. n. 23746 del
2020; Cass. n.16037 del 2019; Cass. n. 4965 n. 2018; Cass. n. 309 del 2018),
per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo
quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e
attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della
sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali (Cass. n.
23854 del 2019; Cass. n. 1829 del 2018), e si esaurisce, con esclusione di
alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza
assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella
“motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra
affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed
obiettivamente incomprensibile” (Cass. n. 23365 del 2020), esclusa
qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della
motivazione (Cass. SS.UU. n. 23746 del 2020);
tali presupposti non si possono ravvisare nella
circostanza denunciata, posto che la Corte territoriale ha esercitato le
prerogative istruttorie che la legge attribuisce al giudice del merito,
peraltro spiegando le ragioni della revoca della consulenza tecnica ammessa in
un primo tempo;
in definitiva, il ricorso va rigettato;
non si deve provvedere sulle spese essendosi l’INPS
limitato a rilasciare delega in calce alla copia notificata del ricorso.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma
1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello
stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.