Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 febbraio 2022, n. 4042

Cessazione rapporto di lavoro, Assegno personale pensionabile
– Indennità di buonuscita, Liquidazione

 

Rilevato che

 

1. Con sentenza n. 20 depositata l’11.3.2020, la
Corte d’appello di Ancona, confermando la pronuncia di primo grado, ha respinto
l’appello proposto da Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. e T. s.p.a. accogliendo
la domanda di F.D.L., P.P.P., S.Z., ex dipendenti delle società, di
liquidazione dell’assegno personale pensionabile (inclusivo dell’elemento
distinto della retribuzione-E.D.R.) e dell’indennità di buonuscita (da
calcolarsi sulla base dell’importo dell’ultima retribuzione erogata,
rispettivamente, al 24.12.2002, al 30.9.2004, all’1.10.2004, giorni di
cessazione dei rapporti di lavoro);

2. la Corte territoriale, per quel che interessa, ha
escluso ogni duplicazione di pagamento (rispetto al T.F.R. corrisposto per il
periodo 1.1.1996-2002/2004) rilevando che le differenze retributive pretese
rappresentavano il differenziale tra quanto percepito a titolo di buonuscita
(calcolata in base alla mensilità di dicembre 1995) rispetto al maggior importo
calcolato sulle voci pertinenti alla retribuzione maturata al gennaio 2005, in
esecuzione della sentenza n. 527/2012 della medesima Corte territoriale –
passata in giudicato – di condanna generica alle “differenze a saldo”; del
pari, il computo dell’E.D.R. nell’assegno personale pensionabile era stato
sancito dalla sentenza passata in giudicato, che – coprendo il dedotto e il deducibile
– non poteva più consentire di accogliere i rilievi della società circa la non
computabilità di tale emolumento a partire dal 2004;

3. avverso tale statuizione hanno proposto ricorso
per cassazione le società deducendo due motivi di censura, illustrati da
memoria; i lavoratori hanno resistito con controricorso, illustrato da memoria;

4. veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle
parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo la società ricorrente deduce
violazione e falsa applicazione dell’art. 2909
cod.civ. (ex art. 360, primo comma, n. 3,
cod.proc.civ.) avendo, la Corte territoriale, erroneamente interpretato la
sentenza di condanna generica emessa dalla stessa Corte di appello di Ancona n.
527/2012 che non si è occupata delle modalità di calcolo del credito ma si è
limitata a riconoscere “una somma pari alla differenza tra l’Assegno personale
pensionabile di cui all’art. 82 del C.C.N.L. 69/99 il maggior importo
risultante dal computo comprensivo dell’Elemento Distinto della Retribuzione
previsto dall’accordo congiunto del 8/11/1995, con interessi legali e
rivalutazione maturati sui singoli ratei scaduti, e le condanne altresì al
pagamento dell’Indennità di buonuscita nell’ammontare risultante dall’importo
dell’ultima retribuzione pagata”. Invero, la società ha già versato al lavoratore
le somme dovute a titolo di buonuscita mediante la corresponsione del T.F.R.,
che ha sostituito la buonuscita a seguito della privatizzazione di Ferrovie
dello Stato;

2. con secondo motivo si denunzia violazione e/o
falsa applicazione degli artt. 2113, 1362, 1363 c.c.
(ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.)
avendo, la Corte territoriale, erroneamente interpretato gli accordi
transattivi intercorsi tra le società ed i lavoratori (P. e Z.) alla data di
cessazione dei rapporti di lavoro, emergendo chiaramente dal punto 5 degli
accordi che le parti avevano transatto su “ogni eventuale ragione di credito
… in particolare per diverso inquadramento, maggiori retribuzioni (…)
nonché per qualsiasi altro motivo, anche se non espressamente menzionato ma
comunque relativo al pregresso rapporto di lavoro o con qualsiasi altro
rapporto, carica o incarico intrattenuto nell’ambito del Gruppo F.S.”

3. il primo motivo di ricorso è inammissibile;

4. pur tralasciando i profili di inammissibilità del
ricorso elaborato con modalità non conformi al principio di specificità dei
motivi di ricorso per cassazione dettato dagli artt.
366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma,
n. 4, cod.pro.civ. (secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto,
quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto integrale della sentenza n.
527/2012, al fine di far comprendere esattamente la domanda ivi proposta dal
lavoratore nonché il supporto argomentativo posto dal giudice alla base
dell’accoglimento del diritto retributivo, in modo da ricostruire esattamente
gli effetti prodotti oltre i confini della specifica fattispecie; cfr. sulla
rilevanza della conoscenza delle argomentazioni sviluppate, Cass. n.18041 del 2009), la sentenza impugnata ha
correttamente valutato i limiti oggettivi del giudicato, costituiti dai suoi
elementi costitutivi, ossia il titolo della stessa azione (causa petendi), e il
bene della vita che ne formava oggetto (petitum mediato);

5. il giudicato esplicito, invero, come trascritto
(parzialmente) dalla sentenza impugnata, copre l’accertamento del diritto ad
una differenza a saldo tra la buonuscita erogata ai lavoratori (calcolata in
base alla mensilità di dicembre 1995) e il T.F.R. liquidato nel 2002/2004
nonchè il computo dell’E.D.R. (previsto dall’Accordo congiunto dell’8/11/1995)
nell’Assegno personale pensionabile;

6. le questioni dell’inclusione delle voci
retributive (E.R.I. e E.D.R.) nell’indennità di buonuscita (nonostante la loro
considerazione nel calcolo del T.F.R. e la eventuale duplicazione di
erogazione) e della non computabilità dell’E.D.R. a partire dal 2004 non
attengono al mero calcolo delle somme accertate con sentenza di condanna
generica bensì rientrano nell’ambito del giudicato esplicito (delineando il
fatto giuridico su cui l’azione si fondava) che ha accertato il diritto dei
lavoratori alla corresponsione di tali emolumenti, senza limitazioni temporali
e quali diritti a somme differenziale rispetto agli importi già erogati dalla
società (nello stesso senso e sulla medesima questione, cfr. Cass. 36620 del
2021);

7. la Corte territoriale ha correttamente
interpretato i confini del giudicato della sentenza n. 527/2012 rilevando che
oggetto di quell’azione giudiziaria erano le “differenze a saldo” tra quanto
erogato a titolo di buonuscita e di T.F.R. in ragione del mancato computo di
alcuni istituti retributivi pertinenti all’ultima mensilità percepita (nel
2005), dovendosi ritenere ormai preclusa ogni questione relativa all’inclusione
o meno dell’E.D.R. nel conteggio in forza dell’applicazione di Accordi
sindacali e C.C.N.L. che ne avevano delimitato il computo solamente a
determinati anni, non potendosi più mettere in discussione il diritto già
accertato a favore del lavoratore;

8. invero il giudicato “fa stato ad ogni
effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa” (ai sensi dell’articolo 2909 c.c.) entro i limiti oggettivi, che
sono segnati – secondo la giurisprudenza di questa Corte (vedi, per tutte, le
sentenze nn. 11483 del 2004, 14414 del 2002, 14477 del 1999) – dagli  elementi costitutivi, come tali rilevanti per
l’identificazione, dell’azione giudiziaria sulla quale il giudicato si forma;

9. il secondo motivo di ricorso è inammissibile;

10. pur tralasciando i profili di inammissibilità
del ricorso elaborato con modalità non conformi al principio di specificità dei
motivi di ricorso per cassazione (secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto,
quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto integrale degli atti
transattivi stipulati con i lavoratori nonché indicare l’esatta collocazione nel
fascicolo d’ufficio), questa Corte ha più volte rilevato che ai fini della
qualificazione di una dichiarazione liberatoria sottoscritta dalla parte come
quietanza o piuttosto come transazione, occorre considerare che la quietanza
liberatoria rilasciata a saldo di ogni pretesa costituisce, di regola, una
semplice manifestazione del convincimento soggettivo dell’interessato di essere
soddisfatto di tutti i suoi diritti, e che pertanto concreta una dichiarazione
di scienza priva di alcuna efficacia negoziale; nella dichiarazione liberatoria
sono ravvisabili invece gli estremi di un negozio di rinunzia o transazione in
senso stretto soltanto quando per il concorso di particolari elementi di
interpretazione contenuti nella stessa dichiarazione, o desumibili aliunde,
risulti che la parte l’abbia resa con la chiara e piena consapevolezza di
abdicare o transigere su propri diritti (cfr. Cass.n.729 del 2003, Cass. n.9120
del 2015, Cass. 18094 del 2015; Cass. n.  28448
del 2018);

10. spetta al giudice di merito qualificare il
documento sottoscritto dalle parti come transazione e non come semplice
quietanza liberatoria, avuto riguardo agli elementi di fatto presi in
considerazione, elementi che ove esaminati correttamente con motivazione esente
da vizi, non possono essere rimessi in discussione in questa sede;

11. nel caso in esame la Corte di merito, sulla base
di tutti gli elementi raccolti e in considerazione della risoluzione anticipata
del rapporto di lavoro, ha rilevato che “la risalente conciliazione era intesa
essenzialmente a definire la risoluzione per mutuo consenso del rapporto di
lavoro al 30 gennaio 2005 e non anche gli elementi della indennità di
buonuscita”;

12. a nulla rileva, peraltro, che la transazione sia
stata effettuata in sede sindacale atteso che, perché possa applicarsi il IV
comma dell’art.2113 c.c., che esclude la
possibilità di impugnativa delle conciliazioni sindacali,  deve pur sempre trattarsi di un atto
qualificabile come transazione e non di una mera quietanza liberatoria;

13. in conclusione, il ricorso è inammissibile e le
spese di lite sono regolate in base al criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.; non sussistono i requisiti
della mala fede e della colpa grave per procedere alla condanna della parte
soccombente ai sensi dell’art. 96 cod.proc.civ.;

14. sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del
2002;

 

P.Q.M.

 

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la
ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidandole
in euro 200,00 per esborsi e in euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre
spese generali pari al 15 % e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il
ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

 

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