Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 febbraio 2022, n. 5813

Rapporto di lavoro, Sanzioni disciplinari, Sospensione dal
servizio e della retribuzione, Sentenza di assoluzione in appello, Omessa
comunicazione all’amministrazione datrice di lavoro, Obbligo di riammissione
in servizio del dipendente

 

Fatti di causa

 

1. Con sentenza dell’1 ottobre 2019 la Corte
d’appello di Brescia confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede,
che aveva respinto la impugnazione proposta da V.T., agente di polizia locale
del COMUNE DI BRESCIA ( nel prosieguo: il COMUNE), avverso le due sanzioni
disciplinari irrogatele dal datore di lavoro: la sanzione della sospensione di
un mese dal servizio e della retribuzione, disposta in data 5 luglio 2016 e la
sanzione del licenziamento, adottata il successivo 27 luglio.

2. La Corte territoriale esponeva in fatto che:

– a seguito di comunicazione della Procura della
Repubblica presso il Tribunale di Brescia, relativa all’imputazione della T.
per i reati di cui agli articoli 314, 660, 483, 594 e 612 cod.pen.,
era stato contestato alla dipendente di avere utilizzato strumenti ed utenze
del Comando di Polizia Municipale, nella sua disponibilità per ragioni di
servizio, per contattare telefonicamente più volte due cittadini a fini di
molestie e disturbo; il procedimento disciplinare era stato sospeso in attesa dell’esito
del giudizio penale.

– il Tribunale penale di Brescia aveva condannato la
T. per i reati a lei ascritti (sentenza del 20 marzo 2013).

– all’esito della comunicazione della sentenza, la
T. era stata sospesa dal servizio (il 24 maggio 2013) ai sensi degli articoli 4 L. nr. 97/2001 e 5 del CCNL di Comparto,
sospensione di natura obbligatoria in ragione della condanna per il reato di
peculato e comportante il pagamento di una indennità pari al 50% della
retribuzione.

– soltanto in data 10 aprile 2016 il legale della T.
comunicava al COMUNE che la sua assistita era stata assolta in appello dal
reato di peculato, giusta sentenza penale dell’ 11 marzo 2014, divenuta
definitiva il 27 giugno 2014, chiedendo l’integrazione delle retribuzioni ed il
risarcimento del danno.

– ricevuta la comunicazione, il COMUNE aveva
riattivato il procedimento disciplinare sospeso, che si concludeva con la
sanzione di un mese di sospensione.

– il COMUNE aveva altresì contestato alle T. un
nuovo addebito disciplinare, di assenza ingiustificata dal servizio dal 12
marzo 2014, giorno successivo alla sentenza di assoluzione, al 25 aprile 2016.

– il secondo procedimento disciplinare si concludeva
con la irrogazione del licenziamento.

3. Tanto premesso, il giudice dell’appello riteneva
legittime entrambe le sanzioni.

5. Quanto al licenziamento, la Corte di merito non
condivideva la tesi della T., secondo cui non vi era un suo obbligo di comunicare
all’amministrazione la sentenza di assoluzione dal reato di peculato.

6. Osservava che la dipendente aveva un dovere di
collaborazione con il datore di lavoro; nella specie la T. era a conoscenza
della assoluzione dalla data di lettura del dispositivo della sentenza
d’appello (3 marzo 2014) -o quanto meno dalla sua pubblicazione- o, al limite,
dal ricorso in cassazione che ella aveva proposto (del 15 aprile 2014). La
dipendente non aveva effettuato la comunicazione al COMUNE neppure dopo la sentenza
della cassazione (del 28 gennaio 2016) ma solo in data 10 aprile 2016.

7. La norma sulla comunicazione della sentenza alla
pubblica amministrazione, di cui all’articolo 154 ter disp. att.cod.proc.pen.,
riguardava, invece, soltanto le sentenze di condanna.

8. La T. era rimasta ingiustificatamente assente dal
servizio per un periodo di tempo ricadente nelle previsioni sanzionatone di cui
all’articolo 55 quater, comma uno,
D.Lgs nr. 165/2001; durante l’intero periodo della sospensione aveva
percepito il 50% della retribuzione senza rendere alcuna prestazione. La
sanzione del licenziamento era proporzionata alla gravità della condotta.

9. Ha proposto ricorso per la cassazione della
sentenza V.T., articolato in un unico motivo di censura, cui il COMUNE DI
BRESCIA ha resistito con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

l. Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente ha
denunciato- ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 e nr.
5 cod.proc.civ.- violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 154 ter
disp. att.cod.proc.pen. e dell’articolo 97, commi tre e quattro, DPR. nr.
3/1957 nonché motivazione insufficiente e contraddittoria circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio, impugnando la sentenza d’appello per
aver posto a suo carico un obbligo di comunicare alla amministrazione datrice
di lavoro la sentenza penale di assoluzione.

2. Ha dedotto essere a carico dell’ente pubblico
l’onere di riattivare il procedimento disciplinare sospeso e di attivarsi per
far cessare lo stato di sospensione cautelare del dipendente. Ha contestato,
altresì, la interpretazione dell’articolo 154 ter disp. att.cod.proc.pen. posta
a base della sentenza impugnata, secondo cui l’obbligo di comunicazione della
sentenza a carico della Cancelleria dell’ufficio giudiziario penale
riguarderebbe le sole sentenze di condanna e non anche quelle di assoluzione.

3. Ha censurato il giudizio di estrema gravità
espresso in sentenza sulla condotta del dipendente, che, confidando sulla
avvenuta comunicazione da parte della Cancelleria del giudice penale, non abbia
comunicato la sua assoluzione alla amministrazione datrice di lavoro.

4.Il ricorso è fondato.

5. Giova premettere che, come risulta dalla sentenza
ed è pacifico in causa, nei confronti della T. sono stati attivati due distinti
ed autonomi procedimenti disciplinari:

1) Il primo è relativo ai fatti posti a base del
giudizio penale; tale procedimento disciplinare è rimasto sospeso in pendenza
del giudizio penale e nel suo ambito è stata disposta la sospensione
obbligatoria della dipendente dal servizio, in quanto condannata in primo grado
per il reato di peculato. Il procedimento è stato riattivato dopo la
comunicazione della assoluzione e si è concluso con una sanzione conservativa.

2) Il secondo procedimento è stato aperto con
contestazione del 4 maggio 2016 ed ha ad oggetto la assenza ingiustificata
della T. dal servizio dal giorno del dispositivo di assoluzione penale (12
marzo 2014) al 25 aprile 2016.

6. L’odierno ricorso verte sulla legittimità della
sanzione del licenziamento irrogata all’esito del secondo procedimento.

7. Si tratta, dunque, di stabilire se possa o meno
qualificarsi come assente ingiustificato dal servizio il dipendente che, dopo
essere stato assolto da una imputazione penale per la quale era stata disposta
la sospensione obbligatoria dal servizio, ai sensi dell’art. 4 della L. n. 97 del 2001,
ometta di comunicare la sentenza di assoluzione alla pubblica amministrazione
datrice di lavoro.

8. La soluzione affermativa adottata dalla Corte di
merito non è corretta.

9. L’articolo
4 della legge nr. 97/2001 obbliga la pubblica amministrazione a disporre la
sospensione del dipendente dal servizio in caso di condanna, anche non
definitiva, per alcuno dei delitti previsti nel precedente art. 3, tra i quali vi è il
delitto di peculato, per il quale l’odierna parte ricorrente veniva condannata
dal Tribunale penale di Brescia. A tenore del medesimo articolo 4 la sospensione
cautelare perde efficacia se per il fatto è successivamente pronunciata
sentenza di proscioglimento o di assoluzione, anche non definitiva, nella
specie resa nel giudizio penale di appello.

10. All’esito della assoluzione, è a carico della
amministrazione l’obbligo di assumere le determinazioni conseguenziali ovvero
di disporre la riammissione in servizio del dipendente, con atto ricognitivo
del venir meno della causa di sospensione (o, alternativamente, la sospensione
facoltativa dal servizio, ove ne ricorrano i presupposti).

11. In mancanza di una disposizione di riammissione
del dipendente in servizio, non può configurarsi a carico di quest’ultimo un
addebito di assenza ingiustificata; la riattivazione della funzionalità del
rapporto di lavoro presuppone, a tutela di una fondamentale esigenza di
certezza giuridica, oltre che in applicazione dei principi di imparzialità e
buon andamento della pubblica amministrazione, il previo formale invito a
riprendere servizio, diretto dalla amministrazione datrice di lavoro al
dipendente.

12. Sotto il profilo della valutazione della gravità
condotta del dipendente va altresì considerato che, contrariamente a quanto
affermato dal giudice dell’appello, l’obbligo della Cancelleria dell’ufficio
giudiziario di dare comunicazione alla amministrazione di appartenenza della
sentenza penale resa nei confronti del pubblico dipendente, ai sensi
dell’articolo 154 ter disp.att.cod.proc.pen., non è limitato alle sentenze di
condanna ma si riferisce a tutte le sentenze penali, indipendentemente dal
contenuto del dispositivo.

13. La sentenza impugnata deve essere pertanto
cassata in accoglimento del ricorso e la causa rinviata alla Corte di appello
di Milano affinché proceda ad un nuovo esame della impugnazione del
licenziamento alla luce dei principi di diritto sopra esposti.

14. Il giudice del rinvio provvederà, altresì, sulle
spese del presente grado

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia – anche per le
spese- alla Corte di Appello di Milano.

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