Nel caso di più imprese formalmente distinte, ma con un’unica organizzazione imprenditoriale, intesa come unico centro decisionale, i requisiti dimensionali e quantitativi prescritti dalla disciplina dei licenziamenti collettivi vanno riferiti all’unico complesso aziendale costituito dalle predette imprese. Inoltre, dall’indennità risarcitoria di cui all’art. 18, co.4, Stat. Lav., va dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, a titolo di aliunde perceptum o percipiendum.
Nota a Cass. 7 febbraio 2022, n. 3824
Daniele Magris
“In base all’art. 18, comma 4, l. n. 300 del 1970, come modificato dall’art. 1, comma 42, l. n. 92 del 2012, la determinazione dell’indennità risarcitoria deve avvenire attraverso il calcolo dell’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, a titolo di aliunde perceptum o percipiendum, e, comunque, entro la misura massima corrispondente a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto, senza che possa attribuirsi rilievo alla collocazione temporale della o delle attività lavorative svolte dal dipendente licenziato nel corso del periodo di estromissione; se il risultato di questo calcolo è superiore o uguale all’importo corrispondente a dodici mensilità di retribuzione, l’indennità va riconosciuta in misura pari a tale tetto massimo”.
Questo il principio chiarito dalla Corte di Cassazione 7 febbraio 2022, n. 3824 in un caso di licenziamento collettivo e di sostanziale unitarietà aziendale del datore di lavoro. Nello specifico, la Corte precisa che:
– nella vicenda sottoposta al suo giudizio, le società datoriali avevano, per caratteristiche e finalità, le connotazioni non di una mera sinergia fra consociate ma di una compenetrazione di mezzi e di attività, sintomatica della sostanziale unicità soggettiva sfociante in un’unica sottostante organizzazione di impresa, intesa come unico centro decisionale (v. Cass. n. 7704/2018, in q. sito con nota di A. LARDARO; Cass. n. 5496/2006 e Cass. n. 4274/2003 relativa al caso di più imprese formalmente distinte, ma con un’unica organizzazione imprenditoriale, intesa come unico centro decisionale ossia come azienda costituita da un complesso aziendale unitario che gestiva in comune gli organi direttivi e una serie di servizi, scambiando fra entità collegate i dipendenti, utilizzandoli indifferentemente per i vari servizi e spostandoli di anno in anno da una società all’altra. Nella fattispecie, i giudici hanno ritenuto che i requisiti dimensionali e quantitativi prescritti dall’art. 24, L. n. 223/1991 ai fini dell’applicabilità della disciplina dei licenziamenti collettivi dovessero essere riferiti all’unico complesso aziendale costituito dalle predette imprese);
– è possibile concepire un’impresa unitaria anche in presenza di gruppi genuini, in condizione di codatorialità (Cass. n. 267/2019, annotata da A. TAGLIAMONTE in q. sito e da M. MOCELLA, in LG, 2019, 936, Gruppi e reti d’impresa, codatorialità e cessazione del rapporto di lavoro);
– la compenetrazione tra le strutture aziendali formalmente facenti capo a distinte società, implica la riferibilità della prestazione di lavoro ad un soggetto sostanzialmente unitario, superando il dato formale dell’utilizzo dei dipendenti tramite distacco e/o job posting. Ciò, sulla base del principio di effettività che permea il diritto del lavoro e che trova espressione in numerose disposizioni normative, quali, ad es., l’art. 2094 c.c., gli artt. 27, 29 e 30, D.LGS. n. 276/2003 e succ. modif.; l’art. 8, L. n. 223/1991;
– conseguenza ineludibile della configurabilità in concreto di un unico soggetto datoriale è la necessità che la procedura collettiva attivata coinvolga i lavoratori in organico non di una sola società collegata, bensì dell’unico complesso aziendale risultante dalla integrazione delle due società (v. Cass. n. 19105/2017; Cass. 18190/2016 e Cass. n. 203/2015);
– circa la detraibilità dell’aliunde perceptum e percipiendum, ossia dei compensi percepiti nello svolgimento di altre attività lavorative, è ”onere del datore di lavoro, che contesti la pretesa risarcitoria del lavoratore illegittimamente licenziato, provare (anche mediante presunzioni semplici), l’aliunde perceptum o percipiendum, a nulla rilevando la difficoltà di tale tipo di prova o la mancata collaborazione del dipendente estromesso dall’azienda, dovendosi escludere che il lavoratore abbia l’onere di farsi carico di provare una circostanza, quale la nuova assunzione a seguito del licenziamento, riduttiva del danno patito” (Cass. n. 22679/2018 e Cass. n. 9616/2015);
– l’aliunde perceptum e percipiendum comportano la riduzione corrispondente (nell’art. 18, co. 4 cit., senza il limite minimo delle cinque mensilità di retribuzione globale di fatto) del risarcimento del danno, subito dal lavoratore per il licenziamento (che va commisurata alle retribuzioni percepite o percepibili nel periodo intercorrente tra il licenziamento e l’effettiva reintegra);
– il compenso percepito dal lavoratore, per attività di lavoro subordinato o autonomo nel periodo di estromissione, comporta la corrispondente riduzione del risarcimento del danno per licenziamento illegittimo solo se – e nei limiti in cui – quel lavoro, essendo incompatibile con la prosecuzione contestuale della prestazione lavorativa sospesa a seguito del licenziamento, supponga, appunto, l’intimazione del licenziamento medesimo (v. Cass. n. 17051/2021 e n. 6439/1995);
– l’art. 18, co. 4, cit., “descrive con precisione la sequenza volta a determinare l’indennità risarcitoria, attraverso il calcolo della retribuzione globale di fatto spettante al lavoratore per l’intero periodo di estromissione, e la successiva detrazione, dall’importo così ottenuto, dell’aliunde perceptum e percipiendum; per contro, il tetto massimo previsto per l’indennità risarcitoria, come pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, rappresenta un limite che il legislatore ha posto al quantum del risarcimento dovuto dal datore di lavoro rispetto all’importo risultante dalla differenza tra la retribuzione spettante per tutto il periodo di estromissione e l’aliunde perceptum o percipiendi, ove superiore al detto tetto massimo” (Cass., S.U., 22 maggio 2018 nn. 12564, 12565, 12566, 12567; con specifico riferimento all’aliunde perceptum, v. Cass. n. 7453/2005, cit. e n. 2529/2003);
– l’ammontare del risarcimento non può superare quello del danno effettivamente prodotto, così che occorre tener conto anche degli elementi idonei a provocare una riduzione del danno causalmente riferibili al medesimo fatto illecito e che quindi debbano essere valutati in diminuzione del risarcimento;
– il calcolo dell’indennità risarcitoria va eseguito in relazione all’importo delle retribuzioni perse e di quelle aliunde percepite o percepibili, e non in base al dato temporale riferito ai periodi di inoccupazione oppure di occupazione lavorativa.