Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 febbraio 2022, n. 6496

Rapporto di lavoro, Differenze retributive, Dequalificazione
– Recesso illegittimo, Risarcimento danni, Pagamento dell’indennità
sostitutiva del preavviso

 

Fatti di causa

 

La Corte di appello di Milano con la sentenza n.
1359/2017 aveva parzialmente riformato la decisione con cui il tribunale aveva
in parte accolto le domande di G.V. nei confronti di D. F.A.S. ( DFAS).

Il V. aveva adito il tribunale per chiedere la
condanna della D. al pagamento delle differenze retributive maturate in ragione
del rapporto intercorso tra aprile 2004 ed il 28 dicembre 2005, al risarcimento
del danno da illegittimo recesso nonché al pagamento della indennità
sostitutiva del preavviso. Il Tribunale aveva accolto la sola domanda relativa
al risarcimento del danno e aveva rigettato le altre anche ritenendo che le
domande relative al pagamento delle differenze retributive e al risarcimento
del danno da dequalificazione, fossero coperte da precedente giudicato, in
quanto già decise da sentenza del tribunale di Milano (n. 3860/08), confermata
da sentenza della corte di appello n. 941/2010.

La Corte territoriale, con la sentenza attualmente
impugnata, aveva respinto la censura relativa alla ritenuta esistenza di un
giudicato, ritenendo che la precedente decisione del tribunale n. 3860/2008
avesse già ad oggetto le differenze retributive, non soltanto quelle derivanti
dall’invocato rapporto di lavoro subordinato, ma anche quelle derivanti dalla
qualificazione del rapporto quale autonomo.

Il giudice d’appello riteneva altresì infondata la
domanda relativa al maggior importo per il risarcimento liquidato (sette
mensilità) per l’anticipato recesso, in quanto il rigetto delle precedenti
domande sulle maggiorazioni stipendiali escludevano ogni incidenza sull’importo
liquidato (motivo assorbito perché conseguente al mancato riconoscimento delle
differenze richieste).

Veniva invece accolta dalla Corte, con riforma sul
punto della decisione di primo grado, la richiesta di liquidazione
dell’indennità di preavviso, in quanto la lettura data dal tribunale alla
clausola 11.3 del contratto stipulato tra le parti era frutto di errata
interpretazione, in quanto, se letta (la disposizione) congiuntamente alla
clausola 11.1, era posto in rilievo come le parti avessero stabilito una durata
della prima fase del contratto per 5 anni, senza facoltà di recesso, un
automatico rinnovo alla prima scadenza con trasformazione in contratto a tempo
indeterminato e la possibilità di recesso con preavviso ( e relativa indennità)
di 10 mesi. Poiché la D. aveva inteso recedere anticipatamente prima della
scadenza dei cinque anni, e prima della trasformazione automatica del
contratto, per tali ragioni era da riconoscere al V. un risarcimento pari a 10
mensilità.

La corte rigettava l’appello incidentale D. FAS
relativo alla intervenuta prescrizione delle somme richieste a titolo di
risarcimento del danno.

Avverso tale decisione G.V. proponeva undici motivi
di censura cui resisteva con controricorso D.F.A. srl.

Con successivo ricorso la D.F.A. srl impugnava la
medesima decisione proponendo quattro motivi di censura cui resisteva con
controricorso G.V.

Entrambe le parti depositavano successive memorie.

Le cause erano riunite e decise all’odierna udienza.

 

Ragioni della decisione

 

Preliminarmente va ricordato il consolidato e
condiviso indirizzo di questa Corte secondo cui il principio dell’unicità del
processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta
avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono
essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di
ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso, fermo restando
che tale modalità non é essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si
converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a
sé stante, in ricorso incidentale (Cass. 17 febbraio 2004, n. 3004; Cass. 13
dicembre 2011, n. 26723; Cass. 4 dicembre 2014, n. 25662).

Nella specie deve, pertanto, essere considerato
principale il ricorso di V. ed incidentale quello di DFAS perché il ricorso di
V. è temporalmente antecedente, nella notificazione, a quello della società.

Ricorso principale:

1) – Con iniziale rilievo si osserva che ciascun motivo
contiene al suo interno più profili di censura, con ciò contravvenendo al
principio di specificità e chiarezza degli atti processuali. Questa Corte ha
chiarito che “nel ricorso per cassazione, i motivi di impugnazione che
prospettino una pluralità di questioni precedute unitariamente dalla
elencazione delle norme asseritamente violate sono inammissibili in quanto, da
un lato, costituiscono una negazione della regola della chiarezza e,
dall’altro, richiedono un intervento della Corte volto ad enucleare dalla
mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure” (Cass. n.
18021/2016). Tali principi possono inficiare la ammissibilità di quelle singole
censure o profili di esse non perfettamente individuabili nella esposizione del
motivo. La enunciazione di violazioni se non accompagnata dalla esplicitazione
delle ragioni specifiche a sostegno, impedisce un corretto esame e certamente
non persegue il principio di chiarezza degli atti. Nel caso di specie,
pertanto, si esaminano le censure il cui contenuto è coerente e conseguente al
vizio denunciato e di cui sono esplicitate, in modo chiaro, le ragioni.

2) – Con il primo motivo è denunciata la violazione
degli artt. 2909 c.c.,e 324 c.p.c.; art. 12 disp. legge gen.; art. 429, 430 e
431 c.p.c.;99 e 112 c.p.c.; omessa/gravemente carente motivazione, in
violazione degli artt. 111, co.6, cost. e 132 n. 4 c.p.c (in relazione all’art.
360 co. 1 n. 3 c.p.c..). Parte
ricorrente, in sostanza, denuncia la errata lettura della corte territoriale
del disposto della sentenza n.941/10, con riguardo al contenuto della stessa ed
alla statuizione, passata in giudicato, sulle domande in origine poste, sia
relative al rapporto di lavoro ritenuto subordinato che, in ipotesi
alternativa, al rapporto di lavoro autonomo. In particolare ha sottolineato
l’erroneità della decisione con riguardo alla ritenuta prevalenza del
dispositivo sulla motivazione.

3) – Con il secondo motivo è dedotta la violazione
degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c., art. 12 disp legge gen., artt 429, 430 e
431 c.p.c., 99 e 112 c.p.c. ; omessa o carente motivazione , in violazione
degli artt. 111,co.6,cost. e 132 n. 4 c.p.c (in relazione all’art. 360 co. 1 n.
3 c.p.c..); il motivo censura la errata applicazione del principio di
prevalenza del dispositivo sulla motivazione, in quanto la corte,
nell’interpretare la precedente sentenza n. 941/10, non avrebbe tenuto conto
della motivazione della stessa ai fini della interpretazione del giudicato.

4) – Con il terzo motivo è denunciato il vizio di
ultrapetizione, in violazione degli artt. 99 e 112 nonché 161 c.p.c. , per
l’errata applicazione d’ufficio dell’eventuale divergenza tra dispositivo e
motivazione della sentenza n. 941/10, in assenza di istanza di parte.

I primi tre motivi, sotto vari profili, riguardano la
statuizione della corte territoriale circa l’eventuale contrasto tra
dispositivo e motivazione della sentenza n. 941/2010. Parte ricorrente
principale rileva che nella predetta sentenza ( n. 941/2010) la corte aveva
qualificato le domande relative al rapporto di lavoro autonomo, come domande
nuove, così dichiarandole, in motivazione, inammissibili; nella parte
dispositiva, si era limitata a confermare la decisione del primo giudice, così
contrastando ( e ignorando) quanto detto in motivazione circa la inammissibilità
delle domande nuove.

Nelle tre censure attualmente in esame è
sottolineata la erronea decisione della sentenza impugnata che, nel rigettare
l’eccezione di insussistenza del giudicato, ha statuito circa la prevalenza del
dispositivo sulla motivazione validando comunque la esistenza del giudicato
sulle domande da ultimo azionate.

Giova richiamare il percorso argomentativo della
sentenza in esame.

La corte milanese, nel confermare la statuizione del
tribunale, ha espressamente valutato ( pg 14) le domande svolte nelle
precedenti sedi processuali ribadendone la perfetta sovrapposizione con quelle
innanzi a lei azionate . Inoltre, nello svolgere tale esame valutativo, ha
ritenuto come la precedente sentenza n. 941/10, nell’accertare e statuire sulle
domande nuove, avesse fatto riferimento alla sola domanda sul preavviso. Solo
quest’ultima era stata giudicata domanda nuova.

A tali valutazioni la corte milanese ha aggiunto, ma
come ulteriore ratio decidendi rafforzativa del proprio convincimento, che se
pur ipotizzabile una discrasia tra motivazione e dispositivo, era quest’ultimo
a doversi ritenere prevalente.

La sentenza in esame ha dunque avallato la propria
decisione di conferma della sentenza del primo giudice, argomentando con tre
differenti ragioni: ha esaminato le domande poste nelle diverse sedi
processuali e ne ha statuito la identità, ha chiarito che la precedente
sentenza n. 941/10 ha definito nuova solo la domanda sul preavviso e, da
ultimo, in ipotesi di discrasia tra motivazione e dispositivo, ha affermato la
prevalenza di quest’ultimo.

Si è di fronte ad un quadro di valutazioni, plurime
ed articolate, espressive di un tipico giudizio di merito non sindacabile in
questa sede di legittimità.

Questa Corte ha chiarito che “la violazione
della cosa giudicata, in quanto importa disapplicazione dell’art. 2909 c.c., è
denunciabile in Cassazione, ma il controllo di legittimità deve limitarsi
all’accertamento degli estremi legali per la efficienza del giudicato esterno
nel processo in corso, senza potersi sindacare l’interpretazione che del
giudicato stesso abbia dato il giudice di merito, perché essa rientra nella
sfera del libero apprezzamento di quest’ultimo e, quindi, è incensurabile in
sede di legittimità, quando l’interpretazione stessa sia immune da errori
giuridici o da vizi di logica” (Cass. – n. 14297/2017; Cass. n.
17482/2007).

I motivi devono essere pertanto dichiarati
inammissibili.

5) – Il quarto motivo denuncia la violazione di
legge con riferimento agli artt. 2909 c.c., 324 c.p.c.,1361 e segg. nella
interpretazione della scrittura inter partes 27.6.2001 e nell’appendice 2 del
Regolamento Partners ; art 36 Cost. e art. 2909 c.c.,; Omessa e contraddittoria
motivazione in violazione degli artt. 111 Cost., 132 c.p.c. art. 12 disp. legge gen. ( in relazione
all’art. 360 n. 3 c.p.c.); violazione delle norme sulla giurisdizione e sulla
competenza; (artt. 360 co.l. nn 1 e 2); omesso esame di fatti decisivi per il
giudizio (art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c.). Con tale motivo il ricorrente assume
come la sentenza in esame abbia esorbitato dai suoi poteri nel valutare
erroneamente il dictum della sentenza n. 941/10 con riguardo alle domande nuove
in quella sede esaminate.

Il motivo è inammissibile, intanto per la mescolanza
delle violazioni indicate ma non tutte spiegate, ma comunque assorbito dalle
valutazioni dei primi tre motivi di censura e dalla dichiarazione di
inammissibilità degli stessi con riferimento alle valutazioni di merito svolte
dalla sentenza in esame sulla esistenza del giudicato.

6) – Il quinto motivo riguarda, sotto il profilo
della violazione di legge e dell’omesso esame di fatti decisivi, l’erronea
statuizione della corte d’appello circa la base di calcolo per l’indennità
risarcitoria riconosciuta al ricorrente calcolata. Assume il ricorrente che, in
ragione della valutazione del giudicato, erano state precluse le ulteriori
somme da considerare ai fini della indennità in questione. Anche tale motivo è
assorbito dalla inammissibilità dei primi tre motivi.

7) – Con il sesto motivo e denunciata la violazione
di legge nonché l’omesso esame di fatto decisivo con riferimento al compenso di
euro 25.822,00 erogato dal 1/3/2005 al 28/12/2005 al ricorrente. Assume
quest’ultimo che tali compensi non erano da qualificare come definitivi e
invariabili ma quali acconti corrisposti in attesa del conguaglio successivo;
ciò in ragione di quanto stabilito nella scrittura Inter partes del 27/06/2001.

8) -Con il settimo motivo il ricorrente censura,
sotto il profilo della violazione di legge e dell’omesso esame di fatto
decisivo, la erroneità della sentenza allorché ha valutato che gli importi
corrisposti dal 1° giugno 2004 al 28 dicembre 2005 erano compensi fissi
definitivi e invariabili anziché acconti sul compenso variabile da determinarsi
in virtù di quanto stabilito dalla scrittura del 2001, già richiamata.

9) – L’ottavo motivo denuncia l’erroneità della
sentenza ove la stessa ha omesso di rilevare e dichiarare la nullità per
assenza della forma convenzionale pattuita dall’articolo 9 della scrittura
bella 27 giugno 2001, dei presunti accordi con cui le parti avrebbero
tacitamente concordato compensi fissi a decorrere dalla 01/06/2004 in tal modo
sostituendo e novando la pattuizione precedente.

I tre motivi possono essere trattati congiuntamente
in quanto relativi a valutazione di merito già svolta nei precedenti giudizi
che la sentenza attualmente impugnata ha valutato come coperta da giudicato.
Invero si tratta di censure relative a differenze retributive, asseritamente
non rispondenti a quanto dovuto al ricorrente, sulle quali la sentenza in esame
ha ben chiarito che non era possibile alcuna pronuncia trattandosi di materia
coperta da giudicato. Anche a tal riguardo deve richiamarsi quanto già rilevato
con riguardo alla insindacabilità dell’interpretazione che del giudicato abbia
dato il giudice di merito, trattandosi di espressione del suo libero
apprezzamento.

10) – Con il nono motivo il ricorrente denuncia,
sotto il profilo della violazione di legge, del diritto di difesa e della
omessa motivazione, l’erroneità della sentenza ove ha rilevato la mancata prova
circa l’esistenza di utili aziendali, ai fini del compenso variabile, pur non
ammettendo sul punto le istanze istruttorie proposte. Anche tale censura deve
ritenersi inammissibile poiché fa riferimento a richieste istruttorie già
formulate nei diversi giudizi di merito precedenti alla sentenza in esame e
comunque riferite a domande che la Corte milanese ha ritenuto, come già
specificato, coperte da giudicato.

11) – Il decimo motivo è relativo (con denuncia di
violazione di legge e omessa e/o omessa e perplessa motivazione) al mancato
riconoscimento di una diversa base di calcolo (e diversa retribuzione
spettante) ai fini delle indennità risarcitorie riconosciute. Anche tale
censura non considera la statuizione sul giudicato espressa dalla corte
territoriale. Essa è assorbita da quanto sopra detto con riguardo li primi tre
motivi di ricorso.

12) -Con l’ultimo motivo è censurata la decisione,
per violazione di legge, con riguardo al danno non patrimoniale asseritamente
subito dal ricorrente.

Deduce a riguardo il ricorrente di aver proposto la
domanda di risarcimento del danno subito, in correlazione al rapporto di lavoro
di natura autonoma, consistente nella lesione della sua immagine,
professionalità e reputazione.

Nella decisione impugnata la corte d’appello, per
quel che qui rileva, aveva ritenuto infondata la domanda risarcitoria
valutandola collegata ad una denuncia di dequalificazione non compatibile con
la natura autonoma del rapporto in esame.

Nella attuale censura il ricorrente specifica di
aver azionato la domanda risarcitoria con riferimento al danno reputazionale e
di immagine che erroneamente il giudice d’appello aveva ritenuto incompatibile
con la prestazione di lavoro autonomo.

Pur con la necessaria specificazione che, in linea
di principio, il diritto all’immagine e reputazione professionale, in quanto
rientrante tra quelli fondamentali tutelati dall’art. 2 Cost. ( Cass.
n.8709/2016), in caso di lesione determini sempre un danno risarcibile in ogni
forma di prestazione di lavoro, nel caso di specie la relativa domanda deve
essere disattesa. Il motivo di censura in questa sede processuale è infatti
privo di ogni indicazione qualificativa in concreto del danno nonché del suo
rapporto causale con la società controricorrente.

Questa Corte, anche da ultimo ha statuito che
“il danno all’immagine ed alla reputazione, inteso come “danno
conseguenza”, non sussiste “in re ipsa”, dovendo essere allegato
e provato da chi ne domanda il risarcimento” (Cass.n. 4005/2020). La
censura proposta non contiene nessun riferimento a dette allegazioni, restando
confinata in un ambito che non supera la genericità. Il motivo è inammissibile.

Il ricorso principale deve essere rigettato.

Ricorso incidentale

1) – Con il primo motivo del ricorso incidentale la
società deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 2909 codice
civile e 324 del codice di procedura civile nella parte in cui la sentenza di
appello non ha considerato che la domanda relativa alla richiesta di pagamento
delle indennità sostitutiva del preavviso pari a 10 mensilità fosse coperta da
giudicato.

Giova ribadire che nella sentenza impugnata la Corte
territoriale, confermando sul punto il primo giudice, aveva ritenuto di
escludere dal giudicato la domanda relativa alla indennità sostitutiva del
preavviso, dando peraltro, rispetto al primo giudice, una differente lettura
della clausola 11.3 del contratto stipulato tra le parti. Tale disposizione,
letta congiuntamente alla clausola 11.1 dello stesso contratto evidenziava come
le parti avessero stabilito una durata della prima fase del contratto per 5
anni, senza facoltà di recesso, un automatico rinnovo alla prima scadenza con
trasformazione in contratto a tempo indeterminato e la possibilità di recesso con
preavviso ( e relativa indennità) di 10 mesi. Poiché la D. aveva inteso
recedere anticipatamente prima della scadenza dei cinque anni, e prima della
trasformazione automatica del contratto, per tali ragioni era da riconoscere al
V. un risarcimento pari a 10 mensilità.

La decisione assunta è il frutto di una
interpretazione della corte territoriale espressa nell’ambito dei suoi poteri
di determinazione e giudizio del merito della controversia non suscettibile di
ri-esame in sede di legittimità.

Pertanto il vizio di violazione di legge, mirando,
in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, rende la
censura inammissibile (Cass.n. 8758/017- Cass.n.18721/2018).

2) Con il secondo motivo è denunciata la violazione
degli artt. 1362, 1363, 1374, 2237 c.c. La società lamenta la condanna al
pagamento di 10 mensilità, a titolo di indennità sostitutiva del preavviso, pur
non essendosi mai realizzato il presupposto della trasformazione in rapporto a
tempo indeterminato a seguito del legittimo recesso da parte della società dal
contratto di opera professionale.

Anche questa censura ha ad oggetto una valutazione
di merito da parte della Corte di appello. La stessa ha infatti valutato il
contenuto delle clausole sopra richiamate concludendo per il riconoscimento
delle 10 mensilità. Il motivo è dunque inammissibile.

3) La società con ulteriore censura denuncia la
violazione degli articoli 2947 e 2948, nn. 4 e 5 codice civile, nella parte in
cui la sentenza della Corte di appello ha ritenuto dovuta la corresponsione di
7 mensilità non rilevando che la relativa domanda era definitivamente
prescritta. Assume la ricorrente società di aver spiegato appello incidentale
chiedendo la restituzione dell’importo in quanto prescritta la pretesa. Il
motivo è inammissibile in quanto non contiene la specificazione dell’atto con
la indicazione delle precise richieste ivi contenute, così non consentendo
l’esame delle ragioni poste. Peraltro la sentenza in esame ha statuito, con
giudizio di merito,sulla eccezione in questione.

4) Con ultimo motivo è dedotta la violazione degli
articoli 2237 e 2697 codice civile nella parte in cui la Corte di appello ha
condannato la società a corrispondere l’indennità di preavviso, pur essendo
intervenuto un legittimo recesso. Anche tale ultimo motivo è da disattendere
poiché la corte di appello ha espresso una valutazione ponendo a base della
stessa l’interpretazione della norma contrattuale. Anche in tal caso II
giudizio di merito, espresso coerentemente ai poteri del giudice, non può essere
rivisitato in questa sede.

Il ricorso incidentale deve pertanto essere
rigettato.

La reciproca soccombenza determina la compensazione
integrale delle spese di questo giudizio.

Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115
del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale
dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto
per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale; rigetta il ricorso
incidentale.

Compensa le spese.

Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115
del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento,
da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore
importo, a titolo di contributo unificato pari a quello pari per il ricorso, a
norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 febbraio 2022, n. 6496
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