L’ente pubblico è tenuto a comunicare la riammissione al lavoro al lavoratore che sia stato oggetto della sanzione disciplinare di sospensione dal servizio e dalla retribuzione.
Nota a Cass. 22 febbraio 2022, n. 5813
Valerio Di Bello
All’esito della assoluzione (in seguito a procedimento penale per delitto di peculato), “è a carico della amministrazione l’obbligo di assumere le determinazioni conseguenziali ovvero di disporre la riammissione in servizio del dipendente, con atto ricognitivo del venir meno della causa di sospensione (o, alternativamente, la sospensione facoltativa dal servizio, ove ne ricorrano i presupposti). In mancanza di una disposizione di riammissione del dipendente in servizio, non può configurarsi a carico di quest’ultimo un addebito di assenza ingiustificata; la riattivazione della funzionalità del rapporto di lavoro presuppone, a tutela di una fondamentale esigenza di certezza giuridica, oltre che in applicazione dei principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, il previo formale invito a riprendere servizio, diretto dalla amministrazione datrice di lavoro al dipendente”.
Lo afferma la Corte di Cassazione (22 febbraio 2022, n. 2813, diff. da App. Brescia 1 ottobre 2019) in relazione ad un procedimento disciplinare (rimasto sospeso in pendenza del giudizio penale ex art. 4, L. n. 97/2001), nel cui ambito era stata disposta la sospensione obbligatoria della dipendente dal servizio, in quanto condannata in primo grado per il reato di peculato. Il procedimento era stato riattivato dopo la comunicazione della assoluzione e si era concluso con una sanzione conservativa. Successivamente, era stato aperto un secondo procedimento avente ad oggetto la assenza ingiustificata della dipendente dal servizio dal giorno del dispositivo di assoluzione penale (12 marzo 2014) al 25 aprile 2016. Tale procedimento si era concluso con l’irrogazione della sanzione del licenziamento.