Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 marzo 2022, n. 7392
Licenziamento, Assenza ingiustificata dal lavoro, Violazione
della procedura di cui all’art. 7 St. lav, Esclusa tardività della
contestazione disciplinare, Legittimità del trasferimento
Fatti di causa
1. La Corte di appello di Roma, con la pronuncia n.
3043/2017, ha confermato la decisione del giudice di prime cure che aveva
respinto l’opposizione proposta da P.G. avverso l’ordinanza con la quale,
all’esito della fase sommaria, aveva ritenuto non fondata l’impugnativa del
licenziamento intimatole, per assenza ingiustificata dal lavoro, dalla P.I. spa
il 15.2.2016.
2. La Corte di Cassazione, con la sentenza n.
32607/2018, in accoglimento del primo, del terzo e dell’ultimo motivo del ricorso,
ritenendo assorbiti gli altri, ha cassato la pronuncia di seconda istanza
demandando alla stessa Corte territoriale, in diversa composizione, un nuovo
esame del caso.
3. Riassunto tempestivamente il giudizio dalla G.,
la Corte di appello di Roma, con la decisione n. 1811/2019, ha dichiarato
risolto il rapporto di lavoro a decorrere dalla data del licenziamento e ha
condannato la società al risarcimento del danno mediante pagamento di una
indennità risarcitoria pari a sei mensilità della retribuzione globale di fatto
quantificata in euro 1897,05 mensili.
4. I giudici di rinvio, premesso che il
licenziamento era stato intimato alla G., previa contestazione disciplinare in
data 29.1.2016 per assenza ingiustificata dal lavoro non avendo la suddetta
lavoratrice preso possesso presso il CMP (Centro Meccanizzazione Postale) di
Torino presso cui era stata trasferita a decorrere dall’8.8.2015, hanno
rilevato, in estrema sintesi, attenendosi ai principi statuiti in sede di
legittimità, che il licenziamento doveva considerarsi illegittimo, con
applicazione della tutela indennitaria di cui al comma 6 dell’art. 18 legge n.
300 del 1970, stante la natura meramente procedurale della violazione, perché
l’avere considerato il datore di lavoro tardive le giustificazioni del
dipendente, scritte in realtà tempestivamente ma pervenute oltre i cinque
giorni, equivaleva in sostanza a negare al lavoratore il suo diritto di difesa
e al contraddittorio, con violazione del procedimento sancito dall’art. 7 della
legge n. 300 del 1970, non dissimile dalla violazione che si verifica quando il
lavoratore stesso abbia chiesto invano di essere ascoltato di persona; hanno
ritenuto assorbita la questione relativa alla erronea individuazione della
fattispecie applicabile (rifiuto del trasferimento anziché assenza
ingiustificata) e hanno considerato non applicabile la maggiore tutela prevista
dai commi 4 e 5 dell’art. 18 legge n. 300 del 1970; hanno reputato coperto da
giudicato interno il profilo della tardività della contestazione e, comunque,
non meritevole di accoglimento, nel merito, la relativa eccezione, nonché
fondato l’addebito disciplinare.
5. Avverso la suddetta decisione ha proposto ricorso
per cassazione P.G. affidato a sei motivi cui ha resistito con controricorso
P.I. spa.
6. La società ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la
violazione e falsa applicazione dell’art. 7 co. 2 e art. 18 co. 1 n. 4 e 6
della legge n. 300 del 1970, per avere la Corte territoriale annullato il
licenziamento disciplinare con risoluzione del rapporto di lavoro, in
applicazione del co. 6 e non con reintegra nel posto, in applicazione del comma
1 o, in subordine, del comma 4, non considerando che la omissione del
contraddittorio in un procedimento disciplinare rendeva la sanzione ed il
procedimento stesso illegittimo, come qualificato dalla Corte di legittimità
nella sentenza di rimessione n. 32607/18, e non inefficace come disciplinato
dal successivo comma 6.
3. Con il secondo motivo si censura la violazione e
falsa applicazione dell’art. 54 co. 5 lett. e) del CCNL del 14.4.2011, per
avere ritenuto la Corte territoriale che la diversità della contestazione
(assenza ingiustificata o rifiuto di trasferimento) comportassero solo il
riconoscimento o meno del preavviso, comunque nella fattispecie riconosciuto, e
non invece la nullità della sanzione espulsiva con conseguente ripristino del
rapporto ex art. 18 co. 4 legge n. 300/1970.
4. Con il terzo motivo la ricorrente si duole: a)
della violazione degli artt. 132 e 324 c.p.c. e 2909 cc, per avere ritenuto la
Corte territoriale essere intervenuto il giudicato interno sulla contestazione
relativa alla tardività della contestazione disciplinare, contrariamente alle risultanze
processuali; b) la violazione dell’art. 132 e 112 c.p.c., per il mancato esame
delle censure avanzate da essa lavoratrice in ordine alla tardività della
contestazione di addebito; c) la violazione dell’art. 54 n. 5 lett. c) del CCNL
del 2011, per avere ritenuto la Corte territoriale comunque non tardiva la
contestazione di addebito con riguardo alla assenza ingiustificata protrattasi
oltre 60 giorni e non invece al rifiuto di trasferimento.
5. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la
violazione dell’art. 132 e dell’art. 360 n. 5 c.p.c., per omesso esame di un
fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, per avere la Corte
territoriale affermato, in relazione alla sentenza del Tribunale che aveva
rigettato il distinto ricorso avverso il trasferimento, che la ricorrente si
era limitata “ad affermare di avere proposto appello avverso la sentenza
n. 18508/2016 non fornendo elementi specifici tali da portare questa Corte a
disattendere le conclusioni della sentenza menzionata”, contrariamente a
quanto diffusamente esposto nel ricorso in riassunzione.
6. Con il quinto motivo si eccepisce la violazione
dell’art. 112 c.p.c.; la nullità dell’accordo sindacale del 14.2.2014 per
violazione dell’art. 39 Cost. e art. 14 della legge n. 300/1970; la violazione
dell’art. 38 del CCNL del 2011; la violazione degli artt. 1175 e 1375 ce e
comunque l’inapplicabilità alla ricorrente dell’accordo sindacale del 14.2.2014
in quanto tenuta fuori, illegittimamente, dal rapporto di lavoro dal 1998 al
2015; la violazione e falsa applicazione di detto accordo in relazione all’art.
38 del CCNL 2011, punto IV nella parte in cui si afferma che esso si applicava
anche alla fattispecie ivi disciplinata del trasferimento della dipendente
ultracinquantenne solo per esigenze eccezionali adeguatamente motivate.
7. Con il sesto motivo si obietta la violazione
degli artt. 91 e 92 c.p.c., per essere stata disposta la compensazione dei due
terzi delle spese di tutti i gradi di giudizio, senza considerare che essa
ricorrente era stata totalmente vittoriosa e che pendeva altro giudizio sul
trasferimento, da considerarsi procedimento principale, in relazione al quale
doveva considerarsi, per il principio di causalità, responsabile la società e
alla quale avrebbero dovuto addebitarsi le spese di lite.
8. Il primo motivo è infondato.
9. La Corte territoriale ha applicato, nella
fattispecie, correttamente il principio statuito in sede di legittimità secondo
cui, in tema di licenziamento disciplinare, la violazione dell’obbligo del
datore di lavoro di sentire preventivamente il lavoratore a discolpa, quale
presupposto dell’eventuale provvedimento di recesso, integra una violazione
della procedura di cui all’art. 7 St. lav. e rende operativa la tutela prevista
dal successivo art. 18 co. 6 quale modificato dalla legge n. 92 del 2012 (Cass.
n. 25189/2016).
10. Le argomentazioni dei giudici di seconde cure
risultano coerenti con il contesto di tutto l’impianto decisorio dell’impugnato
provvedimento ove, poi, è stata esclusa l’applicabilità della maggiore tutela
prevista dai commi 4 e 5 dell’art. 18 legge n. 300 del 1970.
11. Il secondo motivo è inammissibile per carena di
interesse.
12. La questione relativa alla individuazione della
fattispecie applicabile (rifiuto del trasferimento anziché assenza
ingiustificata) è stata ritenuta assorbita dalla Corte di merito (pag. 6, 4°
cpv). In tema di giudizio di cassazione, sono state appunto ritenute
inammissibili, per carenza di interesse, le censure che non sono dirette contro
una statuizione della sentenza di merito bensì su questioni su cui il giudice
di appello non si è pronunciato, ritenendole assorbite, atteso che in relazione
a tali questioni manca la soccombenza che costituisce il presupposto
dell’impugnazione, salva la facoltà di riproporre le questioni medesime al
giudice del rinvio, in caso di annullamento della sentenza (Cass. n.
22095/2017; Cass. n. 23558/2014; Cass. n. 4804/2007).
13. Il terzo motivo presenta profili di
inammissibilità e di infondatezza.
14. La Corte territoriale, infatti, oltre ad avere
rilevato la formazione del giudicato interno sulla doglianza relativa alla
tardività della contestazione disciplinare, in ogni caso, valutandola nel
merito, ha ritenuto che il lasso di tempo, inferiore a tre mesi, intercorso tra
la consumazione della condotta contestata e quella della contestazione
disciplinare fosse giustificabile in ragione della grandezza delle dimensioni
della società datrice e della complessità della sua organizzazione, richiamando
correttamente i principi in materia statuiti in sede di legittimità.
15. A fronte, pertanto, di queste due rationes
deciderteli, ciascuna idonea a sorreggere la decisione, deve rilevarsi che le
argomentazioni poste a base della seconda sono corrette in punto di diritto, in
quanto conformi ai precedenti di legittimità (Cass. n. 20719/2013; Cass. n.
1248/2016), e insindacabili, in punto di fatto, perché adeguatamente e
congruamente motivate.
16. Tanto basta per rendere inammissibile ogni
censura su di una asserita erronea sussistenza di un giudicato interno,
rilevato dalla Corte di merito, atteso che, comunque, la doglianza, anche se
fondata, non potrebbe comportare la cassazione della gravata pronuncia.
17. Il quarto ed il quinto motivo, da esaminarsi
congiuntamente per connessione logico-giuridica, non sono meritevoli di
accoglimento.
18. In primo luogo, va osservato che la Corte
territoriale ha valutato il fatto che si assume, dalla ricorrente, omesso e,
cioè, la ritenuta legittimità del trasferimento, facendo proprie le conclusioni
della sentenza del Tribunale di Roma n. 18508/2016, che si era pronunciata sul
punto e che risulta, come specificato dalla società controricorrente, essere
stata pure confermata in sede di appello sebbene sia stato proposto ricorso per
cassazione, attualmente pendente.
19. Inoltre, la Corte territoriale si è espressa
anche sull’avvenuto rispetto della procedura disciplinata dall’Accordo
Sindacale del 14.2.2014, eseguita mediante la riammissione della lavoratrice in
servizio presso il CMP di Fiumicino, la audizione successiva della dipendente e
il susseguente trasferimento di quest’ultima in ragione della mancanza di posti
disponibili.
20. In secondo luogo, deve rilevarsi che le
problematiche riguardanti, invece, la legittimità del trasferimento, con
particolare riguardo alla applicabilità soggettiva del citato Accordo ovvero
alla nullità dello stesso, non si palesano decisive, ai fini del presente
giudizio concernente il disposto licenziamento, perché è orientamento ormai
consolidato quello secondo cui, in ipotesi di trasferimento adottato in
violazione dell’art. 2103 cc, l’inadempimento datoriale non legittima in via
automatica il rifiuto del lavoratore ad eseguire la prestazione, ma dovrà pur
sempre essere valutato in relazione alle circostanze concrete, onde verificare
se risulti contrario a buona fede (Cass. n. 11048/2018; Cass. n. 21391/2019).
21. Tale valutazione, come detto, è stata svolta
dalla Corte di merito con il richiamo alla pronuncia del Tribunale che, nella
competente sede, ha ritenuto legittimo il disposto trasferimento.
22. Infine, anche il sesto motivo non può essere
accolto.
23. Sono infondate le dedotte violazioni sia sotto
il profilo della violazione dell’art. 91 c.p.c. (che sussiste solo se si
pongono, anche parzialmente, le spese di lite a carico della parte totalmente
vittoriosa (Cass. n. 12963 del 2007) e ciò non è ravvisabile nel caso de quo in
cui alcune domande della lavoratrice, riguardanti il riconoscimento di una
maggiore tutela per la illegittimità del licenziamento sotto altri profili,
sono state respinte) sia sotto quello dell’art. 92 c.p.c., perché la parziale
compensazione, disposta in relazione all’esito complessivo della lite,
rappresenta esercizio del potere discrezionale, in quanto espressione di una
valutazione di opportunità del giudice di merito che non è sindacabile in sede
di legittimità (cfr. Cass. n. 30952 del 2017; Cass. n. 24502 del 2017; Cass. n.
17457 del 2006).
24. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve
essere rigettato.
25. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano
come da dispositivo.
26. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR
n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve
provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da
dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al
pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio
di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie
nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 e agli
accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà
atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte
della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari
a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13,
se dovuto.