Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 marzo 2022, n. 7514

Cartelle esattoriali, Crediti previdenziali, Notifica,
Termine di prescrizione, Omessa integrazione del contraddittorio nei confronti
dell’INPS

 

Fatti di causa

 

1. Con ricorso proposto davanti al Tribunale di
Locri, C.A. ha sostenuto di avere avuto notizia, per mezzo di estratto di ruolo
rilasciato dall’agente della riscossione, di un’iscrizione per crediti
previdenziali portati da cartelle esattoriali mai notificate. Ha citato in giudizio,
quindi, la concessionaria E.S. S.p.A. chiedendo accertarsi l’infondatezza della
pretesa creditoria in mancanza di notifica delle cartelle di pagamento e,
comunque, la prescrizione della stessa essendo decorso, dalla presunta notifica
delle cartelle al momento della conoscenza dell’estratto, il termine di
prescrizione quinquennale.

2. Il Tribunale adito, nella contumacia di E.S.
s.p.a., ha dichiarato i crediti «inesigibili», in parte perché estinti per
prescrizione e in parte per omessa notifica delle cartelle, non essendo stata
prodotta copia degli atti notificati e dei relativi avvisi di ricevimento.

3. Ha proposto appello l’agente per la riscossione
deducendo, preliminarmente, la violazione del principio del contraddittorio
perché il ricorrente, pur avendo contestato il «merito» della pretesa
contributiva, aveva omesso di chiamare in giudizio il titolare del diritto di
credito, avendo promosso l’azione solo nei confronti del soggetto autorizzato
dalla legge a ricevere il pagamento.

4. La Corte di Appello di Reggio Calabria ha
dichiarato la nullità del giudizio di primo grado per omessa integrazione del
contraddittorio nei confronti dell’INPS, rimettendo la causa davanti al primo
giudice. In ordine all’eccezione preliminare relativa all’integrità del
contraddittorio ha ricordato il principio secondo cui, quando venga proposta
un’opposizione a ruolo riguardante il merito della pretesa impositiva, la
legittimazione passiva spetta al titolare del credito, nel caso di specie
all’INPS, mentre l’Ente riscossore è legittimato solo quando vengano sollevate
questioni afferenti alla regolarità formale del procedimento di riscossione. In
tal senso ha richiamato il testo dell’art. 24 d.lgs. n. 46 del 1999, secondo il
quale il ricorso che abbia riguardo al «merito» della pretesa contributiva deve
essere notificato all’ente impositore. Ha rilevato, citando Cass. 16 giugno
2016 n. 12450, che, poiché nel caso in esame si sovrappongono questioni di
merito relative all’efficacia del titolo ed altre relative alla legittimità
della procedura di riscossione, per le quali sono, rispettivamente, legittimati
l’INPS ed E.S. s.p.a. (ora Agenzia delle Entrate Riscossione), ricorre
un’ipotesi di litisconsorzio necessario non rilevato dal giudice di primo
grado.

5. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per
cassazione C.A. articolando due motivi.

6. Ha resistito con controricorso Agenzia delle
Entrate riscossione, subentrata a E.S. s.p.a.

7. Disposta la trattazione davanti alla sesta
Sezione della Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria 22 maggio 2019
n. 13948, la causa è stata rimessa alla Sezione Lavoro per la trattazione in
pubblica udienza.

8. La Sezione Lavoro di questa Corte, a sua volta,
con ordinanza interlocutoria 22 marzo 2021 n. 8003, ha rimesso gli atti al Primo
Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite,
ravvisando riguardo al tema individuato nel primo motivo di ricorso, in
presenza di orientamenti non univoci nella giurisprudenza delle diverse sezioni
della Corte, una questione di massima di particolare importanza.

9. Il Primo Presidente ha disposto l’assegnazione
del ricorso alle Sezioni Unite.

10. Agenzia delle Entrate Riscossione ha prodotto
memorie in prossimità dell’udienza.

11. La Procura Generale presso la Corte di
Cassazione ha prodotto memorie recanti le proprie conclusioni.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto, ai
sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., violazione di legge ex
art. 100 cod. proc. civ. e 19 d.lgs. n. 112 del 1999, per non avere la sentenza
impugnata ritenuto la legittimazione esclusiva dell’agente della riscossione in
relazione agli atti successivi alla formazione del ruolo (tra i quali la
notifica della cartella) e la prescrizione maturata successivamente alla
trasmissione a ruolo. L’intervenuta prescrizione della pretesa creditoria,
infatti, era stata eccepita in ragione di un vizio di notifica delle cartelle e
dell’inerzia dell’agente della riscossione, circostanze imputabili
esclusivamente a quest’ultimo ed estranee alla posizione dell’INPS, con
conseguente esclusione della legittimazione passiva dell’Istituto e interesse
dell’agente medesimo a contraddire alla domanda. Ha osservato, a riprova di
ciò, che a tutela dell’ente che si avvale della procedura di riscossione a
mezzo ruolo, soccorre la norma di cui all’art. 19 del D.lgs. n. 112/1999, a
mente della quale costituisce causa di perdita del diritto al discarico la
mancata riscossione delle somme, se imputabile al concessionario.

2. Con il secondo motivo ha dedotto, ai sensi
dell’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., violazione degli artt. 416,
comma secondo e 429, comma nono, cod. proc. civ. per avere la sentenza
impugnata trascurato la tardività della costituzione in giudizio di E.S.
s.p.a., contumace in primo grado, e la conseguente decadenza dall’eccezione
relativa alla violazione del contraddittorio.

3. Il secondo motivo di ricorso, da esaminare
preventivamente per priorità logica, è infondato.

4. La giurisprudenza di questa Corte, infatti, è consolidata
ed univoca nell’affermare che il difetto di legitimatio ad causam (allo stesso
modo del difetto di titolarità passiva del rapporto, cfr. Cass. Sez. U. 16
febbraio 2016 n. 2951), può essere rilevato anche d’ufficio in ogni grado e
stato del giudizio, anche in sede di legittimità (cfr. Cass. 4 aprile 2012 n.
5375), sicché nessuna preclusione può derivare dal rilievo tardivo della
carenza di legittimazione a contraddire, intervenuto solo nel giudizio di
appello ad opera del concessionario contumace in primo grado.

5. Aspetti più problematici pone l’esame del primo
motivo di ricorso, il quale, richiedendo un’indagine finalizzata
all’individuazione dei legittimi contraddittori, impone di soffermarsi, in
primo luogo, sulla natura dell’azione in discussione. In una fattispecie
sostanzialmente sovrapponibile la Sezione Lavoro di questa Corte (Cass. 19
giugno 2019 n. 16425) ha motivatamente affermato (citando Cass. 25 maggio 2007
n. 12239) che nel caso in cui il debitore intenda reagire alla riscossione del
credito contributivo per ottenere l’accertamento negativo del credito iscritto
a ruolo, tanto per infondatezza della pretesa, quanto per intervenuta
prescrizione, opponendosi all’iscrizione a ruolo tardivamente rispetto al
termine previsto dall’art. 24, comma 5, d.lgs. n. 46 del 1999, sul rilievo
della mancata notifica della cartella esattoriale o dell’avviso di addebito,
senza tuttavia far valere vizi dell’azione esecutiva, l’azione partecipa della
natura dell’opposizione all’esecuzione. La stessa decisione (sul punto si veda
anche Cass. 12 novembre 2019 n. 29294) ha evidenziato, inoltre, che
l’opposizione all’esecuzione altro non è che un tipo di azione di accertamento
negativo del credito. A tal proposito, infatti, non deve trarre in inganno il
fatto che il ricorrente lamenti anche la mancata notifica delle cartelle di
pagamento, perché ciò è funzionale esclusivamente al recupero della
tempestività dell’opposizione (come segnala Cass. 8 novembre 2018 n. 28583),
altrimenti tardiva, e a far valere la prescrizione (che è pur sempre questione
inerente al merito della pretesa creditoria, essendo l’interesse ad agire del
ricorrente solo quello di negare di essere debitore), in un ambito, quello
della prescrizione dei contributi previdenziali, in cui, secondo un principio
costantemente affermato (Cass. 10 dicembre 2004 n. 23116), il regime della
prescrizione già maturata, avente efficacia estintiva e non meramente
preclusiva, è sottratto alla disponibilità delle parti, a differenza di quanto
accade nella materia civile.

6. Dalle premesse enunciate nelle richiamate
decisioni (si veda anche Cass. 26 febbraio 2019 n. 5625) queste Sezioni Unite
intendono muovere, ravvisandosi anche nella fattispecie in esame un’azione che
investe il merito della pretesa previdenziale. Non si fa questione, infatti,
della regolarità o della validità degli atti della procedura di riscossione.
Ciò che si chiede al giudice è l’accertamento dell’infondatezza della pretesa
creditoria o, in ogni caso, della prescrizione dell’azione di riscossione in
costanza di omissione della notifica delle cartelle di pagamento, cioè una
pronuncia sul merito della pretesa contributiva. L’omissione della
notificazione, d’altra parte, attiene al merito della controversia, perché,
oltre ad essere rilevante ai fini della prescrizione, ridonda sulla stessa
sussistenza della pretesa, potendone determinare l’eventuale decadenza (Cass.
Sez. U. 25 luglio 2007 n. 16412). Tale omissione, per altro verso, assume
valenza neutra, potendo essere attribuita tanto a inerzia del concessionario
quanto a mancata o ritardata trasmissione del ruolo all’esattore, ancor più in
mancanza della prospettazione di specifiche responsabilità del concessionario,
le quali, in ogni caso, non assumono rilevanza nei rapporti tra destinatario
della pretesa contributiva ed ente titolare del credito, in ragione
dell’estraneità dell’obbligato al rapporto (di responsabilità) tra l’esattore e
l’ente impositore (Cass. Sez. U. da ultimo citata). La fattispecie in disamina,
pertanto, non rientra nelle ipotesi, pure richiamate nell’ordinanza di
rimessione, in cui con unico atto di opposizione sono fatte valere sia ragioni
di merito che di regolarità formale della cartella e della procedura di
riscossione, con la conseguente legittimazione passiva dell’Ente impositore o
dell’agente per la riscossione in relazione a ciascuna di tali azioni.

7. Così precisata la natura dell’azione proposta,
l’ordinanza interlocutoria sollecita, a fronte di una giurisprudenza di
legittimità non univoca, l’intervento nomofilattico delle Sezioni Unite
finalizzato alla individuazione dei soggetti legittimati a contraddire in caso
di impugnazione del ruolo che investa il merito della pretesa contributiva, con
particolare riferimento alla verifica dell’eventuale sussistenza di un litisconsorzio
necessario tra ente titolare della pretesa ed esattore. La questione rimessa
all’esame delle Sezioni Unite si presenta come di massima di particolare
importanza per il rilevato contrasto esistente all’interno della Corte, con
specifico riferimento, per quanto riguarda la materia previdenziale, alla
Sezione Lavoro.

8. L’individuazione della legittimazione a
contraddire, nell’ambito di un’azione tendente a far accertare l’insussistenza
di un credito portato da un ruolo di cui l’interessato abbia avuto conoscenza
al di fuori della notificazione dell’atto di riscossione a ciò destinato, ha
costituito oggetto d’esame da parte di questa Corte di cassazione in varie
sedi, con esiti non conformi in ragione della diversa natura che possono
assumere i crediti vantati dallo Stato nei confronti dei propri debitori, delle
irregolarità formali degli atti della procedura esattoriale eventualmente fatte
valere e delle peculiari regole che disciplinano, in specifici settori, il
processo di opposizione.

9. L’ordinanza interlocutoria richiama la
giurisprudenza formatasi in materia tributaria, che ha fatto applicazione
dell’art. 39 del decreto legislativo 13 aprile 1999 n. 112. Sotto la rubrica
«chiamata in causa dell’ente creditore» la norma dispone che «il concessionario,
nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la
regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l’ente
creditore interessato; in mancanza, risponde delle conseguenze della lite». In
applicazione di tale norma, Cass. Sez. U. 25 luglio 2007 n. 16412, inaugurando
un orientamento in seguito più volte ribadito (Cass. 11 gennaio 2008 n. 476,
Cass. 30 giugno 2009 n. 15310, Cass. 15 giugno 2011 n. 13082), ha affermato
che, nel caso in cui il contribuente impugni la cartella esattoriale
deducendone la nullità per omessa notifica dell’atto presupposto o contestando,
in via alternativa, la pretesa tributaria azionata nei suoi confronti, la
legittimazione passiva spetta all’ente titolare del credito tributario e non al
concessionario, al quale, se destinatario dell’impugnazione, incombe – ai sensi
del citato art. 39 – l’onere di chiamare in giudizio l’ente. La richiamata
decisione precisa che se l’azione del contribuente è svolta direttamente nei
confronti dell’ente creditore, il concessionario è vincolato alla decisione del
giudice nella sua qualità di adiectus solutionis causa, mentre se la medesima
azione è svolta nei confronti del concessionario, questi, se non vuole
rispondere dell’esito eventualmente sfavorevole della lite, deve chiamare in
causa l’ente titolare del diritto di credito: «l’aver il contribuente
individuato nell’uno o nell’altro il legittimato passivo nei cui confronti
dirigere la propria impugnazione non determina l’inammissibilità della domanda,
ma può comportare la chiamata in causa dell’ente creditore nell’ipotesi di
azione svolta avverso il concessionario, onere che, tuttavia, grava su
quest’ultimo, senza che il giudice adito debba ordinare l’integrazione del
contraddittorio … in quanto non sussiste tra ente creditore e concessionario
una fattispecie di litisconsorzio necessario, anche in ragione dell’estraneità
del contribuente al rapporto (di responsabilità) tra l’esattore e l’ente
impositore». Sulla base delle argomentazioni che precedono si è consolidato
l’orientamento secondo il quale nelle controversie tributarie il contribuente
che impugni una cartella esattoriale emessa dal concessionario della
riscossione per motivi che attengono alla mancata notificazione, ovvero anche
all’invalidità degli atti impositivi presupposti, può agire indifferentemente
nei confronti tanto dell’ente impositore quanto del concessionario, senza che
tra i due soggetti sia configurabile un litisconsorzio necessario, sicché il
fatto che il contribuente individui nel concessionario piuttosto che nel
titolare del credito tributario il legittimato passivo non impone al giudice
adito di ordinare l’integrazione del contraddittorio, ammettendosi la chiamata
in causa dell’ente impositore (Cass. n. 14991 del 15/07/2020, Cass. n. 21220
del 28/11/2012).

9.1. Corollario dei richiamati principi è che «nel
processo tributario, il giudicato formatosi tra il contribuente e l’agente
della riscossione spiega in ogni caso effetti anche nei confronti dell’ente
impositore, indipendentemente dalla denuntiatio litis all’Agenzia delle
Entrate, la cui partecipazione alla lite deve essere sollecitata dall’agente e
rileva unicamente nel rapporto interno ex art. 39 del d.lgs. n. 112 del 1999,
senza che costituisca requisito per l’opponibilità delle statuizioni, attesa la
scissione tra titolarità ed esercizio del credito tributario» (Cass. 26 maggio
2021 n. 14566).

10. Sull’operatività dell’art. 39 d. Igs. 13 aprile
1999 n. 112 si fonda anche la giurisprudenza della seconda sezione civile della
Corte di Cassazione in tema di opposizione a sanzioni amministrative ex I. 24
novembre 1981 n. 689, la quale afferma che lo stesso esattore ha una generale
legittimazione passiva nelle controversie aventi ad oggetto la riscossione
delle somme di cui è incaricato, ciò traendosi dalla considerazione che
trattasi del soggetto dal quale proviene l’atto oggetto di opposizione (Cass.
11 luglio 2016 n. 2016 e, in precedenza, Cass. 7 agosto 2003 n. 11926, Cass. 18
giugno 2002 n. 8759) o in ragione dell’incidenza che un’eventuale pronuncia di
annullamento della cartella può avere sul rapporto esattoriale (ex multis Cass.
21 maggio 2013 n. 12385, Cass. 29 gennaio 2014 n. 1985). Nelle sentenze da
ultimo citate, poi, il rapporto processuale è ricostruito in termini di litisconsorzio
necessario (così Cass. 21 maggio 2013 n. 12385: «Nel giudizio di opposizione a
cartella esattoriale, relativa al pagamento di sanzione amministrativa per
violazione del codice della strada, ove il destinatario della stessa deduca la
mancata notifica del verbale di accertamento dell’infrazione, la legittimazione
passiva spetta non soltanto all’ente impositore, quale titolare della pretesa
sostanziale contestata, ma anche, quale litisconsorte necessario, all’esattore
che ha emesso l’atto opposto e ha perciò interesse a resistere, in ragione
dell’incidenza che un’eventuale pronuncia di annullamento della cartella può
avere sul rapporto esattoriale»).

11. Un panorama piuttosto disomogeneo si registra
nella materia previdenziale. In tema di opposizione allo stato passivo
fallimentare, secondo l’orientamento maggioritario della sezione lavoro, deve
escludersi la sussistenza di un litisconsorzio necessario tra l’ente creditore
e il concessionario del servizio di riscossione qualora il giudizio sia
promosso da o nei confronti di quest’ultimo, poiché non assume rilievo a tal
fine che la domanda abbia ad oggetto non la regolarità o la ritualità degli
atti esecutivi ma l’esistenza stessa del credito, posto che l’eventuale difetto
del potere di agire o resistere in giudizio comporta solo una questione di
legittimazione, la cui soluzione non impone la partecipazione al giudizio
dell’ente impositore, talché la chiamata in causa di quest’ultimo ai sensi del
citato art. 39, rimessa alla valutazione discrezionale del giudice di merito,
deve essere ricondotta all’art. 106 c.p.c. (Cass. 5 maggio 2016 n. 9016 e, più
di recente, Cass. 22 maggio 2019 n. 13929, Cass. 2 ottobre 2019 n. 2458, Cass.
12 agosto 2020 n. 17100). Altro orientamento (Cass. 16 giugno 2016 n. 12450,
citata nella sentenza impugnata, Cass. 12 dicembre 2017 n. 29806) ritiene,
invece, la configurabilità di un litisconsorzio necessario tra l’ente creditore
e il concessionario del servizio di riscossione qualora il debitore deduca
circostanze che incidono sul merito della pretesa creditoria o eccepisca in
compensazione un proprio controcredito, e ciò ancorché l’ente impositore sia
l’unico legittimato a stare in giudizio, atteggiandosi quella del
concessionario come legittimazione meramente processuale. Le decisioni
richiamate rinviano all’art. 39 d.lgs. 13 aprile 1999 n. 112, norma
interpretata nel senso di imporre al concessionario, nelle liti promosse contro
di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o validità degli atti
esecutivi, di chiamare in causa l’ente impositore, rispondendo diversamente in
proprio delle conseguenze della lite.

11.1. In controversie assimilabili a quella oggetto
del presente giudizio, specificamente in tema di opposizione a cartella
esattoriale relativa a contributi previdenziali proposta ai sensi dell’art. 615
cod.proc. civ., si evidenzia un primo orientamento secondo il quale sussiste la
legittimazione passiva del concessionario allorché si deduca un vizio di
notifica degli atti, quale l’omessa tempestiva notifica della cartella
determinante la prescrizione del credito (Cass. 15 gennaio 2016 n. 594), con la
precisazione che in tal caso lo stesso concessionario è litisconsorte
necessario, anche per gli innegabili riflessi che un eventuale accoglimento
dell’opposizione potrebbe comportare nei rapporti con l’ente. In linea con
l’orientamento richiamato anche Cass. 21 maggio 2013 n. 12385, che ha ribadito
la qualità di litisconsorte necessario del riscossore nel giudizio di
opposizione all’esecuzione con il quale sia stata fatta valere la prescrizione
del credito contributivo per l’omessa effettuazione da parte dello stesso di
atti propri della sequenza procedimentale, fra cui la tempestiva notifica della
cartella.

11.2. Alcuni più recenti sviluppi della
giurisprudenza della sezione lavoro (si vedano, in particolare, Cass. n. 16425
del 2019, Cass. 12 novembre 2019 e Cass. 26 febbraio 2019 n. 5625, citate),
muovendo dal rilievo della specificità del sistema della riscossione dei
crediti previdenziali, hanno condotto a esiti interpretativi differenti. Come è
stato osservato nelle richiamate decisioni, detta specificità si coglie, in
primo luogo, ove si consideri che la materia è regolata da una disciplina
apposita, che si rinviene negli artt. 24 e ss. del d.lgs. 26 febbraio n. 46 del
1999. In virtù di tale disciplina, in difetto di espresse previsioni normative
che condizionino la validità della riscossione ad atti prodromici, a differenza
di quanto avviene nella materia tributaria e in quella attinente alle sanzioni
amministrative (art. 14 I. 24 novembre 1981 n. 689), la notifica al debitore di
un avviso di accertamento non costituisce atto presupposto necessario del
procedimento, la cui omissione invalidi il successivo atto di riscossione, ben
potendo l’iscrizione a ruolo avvenire in assenza di un atto di accertamento da
parte dell’Istituto previdenziale (v. Cass. 21 febbraio 2018 n. 4225; 10
febbraio 2009 n. 3269). Ciò implica che la cartella o avviso di addebito debba
contenere una motivazione redatta secondo precise indicazioni ministeriali che,
ai sensi degli artt. 1 e 6 del d.m. n. 321 del 1999, richiede l’indicazione
“sintetica” degli elementi di iscrizione a ruolo. Le stesse decisioni
hanno poi evidenziato la specificità della disposizione di cui all’art. 24
comma 5 d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46 anche con riferimento alle regole
attinenti al contraddittorio nelle controversie di opposizione a cartella
esattoriale.

12. La peculiarità del sistema della riscossione
previdenziale va tenuta in considerazione in vista della ricostruzione
sistematica delle tutele. Le indicazioni emergenti dal nuovo orientamento
giurisprudenziale formatosi all’interno della giurisprudenza della sezione
lavoro impongono una rimeditazione che tenga conto della rilevata peculiarità,
già in precedenza enunciata da queste Sezioni Unite in un passaggio della
decisione 25 ottobre 2016 n. 23397, laddove si afferma che «dalla complessiva
lettura del d.lgs. n. 112 del 1999 …. si trae conferma del fatto che si
tratta di decreto principalmente rivolto alla riscossione dei tributi».

12.2. Con specifico riguardo al processo di
opposizione all’iscrizione a ruolo di crediti previdenziali, l’art. 24, comma
5, del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46 – emanato, come l’art. 39 del d.lgs. 26
febbraio 1999 n. 112, in attuazione della legge delega 28 settembre 1998 n. 337
– disponeva, nel testo originario, che «contro l’iscrizione a ruolo il
contribuente può proporre opposizione al giudice del lavoro entro il termine di
quaranta giorni dalla notifica della cartella di pagamento. Il ricorso va
notificato all’ente impositore ed al concessionario». L’art. 4, comma 2 –
quater del d.l. 24 settembre 2002, n. 209, convertito con legge n. 265 del 22
novembre 2002, ha modificato il testo dell’art. 24 comma 5, prevedendo che il
ricorso contro l’iscrizione a ruolo debba notificarsi “all’ente
impositore” ed espungendo, quindi, l’obbligo di notifica al
concessionario. Nel testo oggi vigente, e vigente ratione temporis, l’art. 24
del d.lgs. 26 febbraio 1999 n. 46 dispone, dunque, che nel giudizio contro
l’iscrizione a ruolo la legittimazione spetta all’ente impositore. Poiché la
disposizione del comma 5 dell’art. 24 del d.lgs. 26 febbraio 1999 n. 46 non è
stata modificata nella parte concernente la legittimazione dell’ente
impositore, anche quando il legislatore ha deciso di mettervi mano espungendo
l’obbligo di notifica del ricorso al concessionario, si deve escludere che
questa disposizione sia stata implicitamente superata dall’art. 39 d.lgs. 13
aprile 1999 n. 112, emanato successivamente all’art. 24 citato. Ne consegue
che, limitatamente al processo attinente alle opposizioni a iscrizione a ruolo
dei crediti previdenziali e alle opposizioni (come quella oggetto della
presente decisione), concernenti l’accertamento negativo del debito per fatti
successivi aH’iscrizione a ruolo, entrambe accomunate dall’attinenza al merito
della pretesa contributiva, la legittimazione passiva resta regolata dal citato
art. 24, senza che possa trovare applicazione l’art. 39 d.lgs. 13 aprile 1999
n. 112 e le conseguenze che da esso ha tratto la giurisprudenza in materia
tributaria.

12.3. Ricostruita nei termini che precedono la
disciplina peculiare della riscossione mediante ruolo dei crediti previdenziali
e delle implicazioni applicative, ne discende che le soluzioni sulla
legittimazione passiva concorrente e disgiunta tra ente impositore ed agente
per la riscossione, adottate dalla giurisprudenza tributaria, o quelle sulla
legittimazione necessariamente congiunta, fatta propria dal giudice
dell’opposizione ad ordinanza-ingiunzione derivata da illecito amministrativo,
risultano non applicabili alle fattispecie in esame. Deve ritenersi, invece,
per un verso, sussistente la legittimazione a contraddire esclusivamente in
capo all’ente impositore, avendo l’azione ad oggetto la sussistenza del debito
contributivo iscritto a ruolo, cioè il merito della pretesa contributiva,
rispetto al quale l’agente della riscossione resta estraneo, e ciò in
conformità al disposto del citato art. 24, il quale declina per il caso di
opposizione tempestiva a cartella che la legittimazione passiva è dell’ente
impositore. Al contempo non può ritenersi ricorrere un’ipotesi di
litisconsorzio necessario: considerato che nel giudizio non si fa questione
della legittimità degli atti esecutivi imputabili al concessionario, la
sentenza deve ritenersi utiliter data anche senza la partecipazione di
quest’ultimo al processo, mentre l’eventuale annullamento della cartella e del
ruolo per vizi sostanziali produce comunque effetti nei confronti del medesimo,
mero destinatario del pagamento o, più precisamente, avuto riguardo allo schema
dell’art. 1188 cod. civ., comma 1, soggetto (incaricato dal creditore e)
autorizzato dalla legge a ricevere il pagamento, vincolato alla decisione del
giudice nella sua qualità di adiectus solutionis causa (Cass. 25 luglio 2007 n.
16412). La ricorrenza del litisconsorzio necessario, infatti, è funzionale alla
tutela dell’integrità del contraddittorio, alla necessità di una decisione
unitaria che abbia effetto nei confronti di più soggetti, sicché per il
principio del contraddittorio tutti costoro devono essere posti in grado di
partecipare al processo. Essa è finalizzata ad attuare la partecipazione di più
parti nel processo, anche attraverso l’impulso del giudice, affinché si eviti che
lo stesso si concluda con una sentenza inutile, intendendosi il concetto di
utilità non come riferito all’esito (positivo per il debitore) del giudizio ma
all’idoneità della statuizione a definire il rapporto tra le parti in giudizio
in termini satisfattivi del petitum. La rappresentata esigenza non ricorre nel
caso in esame, in cui (Cass. 26 febbraio 2019 n. 5625) l’eventuale annullamento
della cartella per vizi sostanziali produce comunque effetti “ultra
partes” verso l’esattore (adiectus), senza la necessità della
partecipazione dello stesso al processo.

13. Ricondotta la questione oggetto di esame delle
Sezioni Unite all’ambito circoscritto alla riscossione dei crediti
previdenziali, deve affermarsi, quindi, in forza della disciplina dell’art. 24
d.lgs. 26 febbraio 1999 n. 46, che la legittimazione a contraddire compete al
solo ente impositore, sicché la proposizione nei confronti del concessionario
dell’opposizione tardiva recuperatola avverso l’iscrizione a ruolo, al fine di
far valere l’inesistenza del credito portato dalle cartelle delle quali è stata
omessa la notificazione, anche per maturarsi del termine prescrizionale (come
nella specie, in cui l’interesse del ricorrente è solo quello, in pratica, di
negare di essere debitore per sopravvenuta prescrizione, a suo dire, del
credito» Cass. 19 giugno 2019 n. 16425), lungi dal dar luogo ai meccanismi di
cui all’art. 107 o 102 c.p.c., determina il rigetto del ricorso per carenza di
legittimazione in capo al concessionario medesimo. La parte che introduce il
giudizio, infatti, al fine di ottenere una pronuncia nel merito in astratto
satisfattiva delle sue ragioni, deve radicarlo correttamente nei confronti del
soggetto legittimato a contraddirvi, quale titolare della situazione
sostanziale dedotta in giudizio. Poiché l’unico soggetto convenuto in giudizio,
nel caso in disamina, è l’agente della riscossione e costui non è titolare del
diritto di credito, quanto, piuttosto, mero destinatario del pagamento (Cass.
24 giugno 2004 n. 11746) o, più precisamente, soggetto autorizzato dalla legge
a ricevere il pagamento ex 1188, I c.c. (cfr. Cass. 26 settembre 2006 n. 21222,
Cass. 15 luglio 2007 n. 16412), si evidenzia il difetto di legittimazione
passiva in capo all’agente per la riscossione ed il difettoso radicamento del
contraddittorio da parte di chi ha agito in giudizio nei confronti
esclusivamente del medesimo.

14. Il difetto di “legitimatio ad causam”,
come più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, è rilevabile
d’ufficio anche in sede di legittimità, essendo la Corte di Cassazione dotata
di poteri officiosi in tutte le ipotesi in cui il processo non poteva essere
iniziato o proseguito (in tal senso Cass. S.U. 9 febbraio 2012 n. 1912:
«l’istituto della legittimazione ad agire o a contraddire in giudizio
(legittimazione attiva o passiva) – invero – si ricollega al principio dettato
dall’art. 81 cod. proc. civ., secondo cui nessuno può far valere nel processo
un diritto altrui in nome proprio fuori dei casi espressamente previsti dalla
legge, e comporta – trattandosi di materia attinente al contraddittorio e
mirandosi a prevenire una sentenza inutiliter data – la verifica, anche
d’ufficio, in ogni stato e grado del processo (salvo che sulla questione sia
intervenuto il giudicato interno) e in via preliminare al merito (con eventuale
pronuncia di rigetto della domanda per difetto di una condizione dell’azione),
circa la coincidenza dell’attore e del convenuto con i soggetti che, secondo la
legge che regola il rapporto dedotto in giudizio, sono destinatari degli
effetti della pronuncia richiesta (Cass. n. 11190 del 1995; Cass. n. 6160 del
2000; Cass. n. 11284 del 2010) … da tale accertamento discende la cassazione
senza rinvio della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3,
atteso che la causa non poteva essere proposta,» Il principio è enunciato anche
da Cass. 20 giugno 2006 n. 14266: «L’accertamento del difetto di
“legitimatio ad causam”, eliminando in radice ogni possibilità di
prosecuzione dell’azione, comporta, a norma dell’art. 382, ultimo comma, cod.
proc. civ., l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per
cassazione» (nello stesso senso anche Cass. 4 aprile 2012 n. 5375 e Cass. 8
agosto 2012 n. 14243).

14.1. Autorevole dottrina ha evidenziato come
l’istituto della cassazione senza rinvio, nelle ipotesi previste dalla legge, è
sempre correlato alla accertata impossibilità di giungere ad una sentenza di
merito, anche, come nel caso in disamina, in ragione della improponibilità
della domanda per ragioni di ordine soggettivo, ravvisabili in presenza di un
vizio, insanabile con efficacia retroattiva, di un requisito processuale
attinente alle parti (difetto di legittimazione), con la conseguenza che, se la
Corte di Cassazione riscontra l’impossibilità del processo di giungere ad una
pronuncia di merito con salvezza degli effetti sostanziali della domanda
originaria, il processo è chiuso con sentenza di cassazione senza rinvio.

15. In base alle svolte argomentazioni, in ragione
della constatata carenza di legittimazione a contraddire dell’Agente della
Riscossione convenuto in giudizio, la sentenza va cassata senza rinvio perché
la causa non poteva essere proposta.

16. Le incertezze giurisprudenziali finora
riscontrate sulla questione sottoposta all’attenzione delle Sezioni Unite
giustificano la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

17. Stante l’esito della lite non si ravvisano i
presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, deH’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato ai senti dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r.
115 del 2002.

 

P.Q.M.

 

Decidendo sul ricorso, cassa senza rinvio la
sentenza impugnata perché la causa non poteva essere proposta. Compensa le
spese dell’intero giudizio.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 marzo 2022, n. 7514
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