Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 marzo 2022, n. 7472

Licenziamento collettivo, Incompletezza informativa della
comunicazione, Difetto di specificità, Accordi sindacali, Efficacia

 

Fatti di causa

 

1. La Corte di appello di Campobasso, in riforma
della sentenza di primo grado, accertata la illegittimità dei licenziamenti
intimati da P. s.p.a. a A. P. e A. I. all’esito di procedura collettiva ex lege
n. 223/1991, ha condannato la società alla reintegra dei suddetti nel posto di
lavoro <<anche presso altro stabilimento della medesima appellata
società», nonché al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata alla
retribuzione globale di fatto dal licenziamento a quello di effettiva
reintegrazione,

con regolarizzazione della relativa posizione
previdenziale e assistenziale.

1.1. Per quel che ancora rileva, la Corte di merito,
respinto l’appello incidentale della società inteso alla declaratoria di
inammissibilità del ricorso ex art. 414 cod. proc. civ. per non essere il
giudizio di primo grado stato introdotto, come prescritto, con il rito cd.
Fornero, ha fondato la declaratoria di illegittimità dei licenziamenti sulla
incompletezza informativa della comunicazione di avvio della procedura di
mobilità di cui all’art. 4, comma 3, I. n. 223 del 1991 rilevando il difetto di
specificità in ordine alle ragioni per le quali la comparazione, ai fini della
individuazione delle unità da collocare in mobilità, era stata limitata al solo
personale dello stabilimento di Pozzilli e di quelle che ne impedivano il
ricollocamento presso altre sedi della P. s.p.a.; ha ritenuto che gli accordi
sindacali raggiunti non potevano avere efficacia sanante della incompletezza
della comunicazione di avvio della procedura in quanto le rilevate carenze non
consentivano alle organizzazioni sindacali di essere adeguatamente informate e
ai lavoratori di avere contezza delle prospettazioni aziendali; la tutela
riconosciuta dal dipendente doveva essere quella dell’art. 18 legge n. 300 del
1970 ratione temporis vigente.

2. Per la cassazione della decisione ha proposto
ricorso P. s.p.a. sulla base di otto motivi; gli intimati hanno resistito con
controricorso.

3. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce
violazione dell’art. 414, cod. proc. civ., dell’art. 1, commi 38 e 47 sgg. I.
n. 92/2012, dell’art. 6 I. n. 604/1966, degli artt. 1175, 1176, 1375, 1223,
1227, e 2041 cod. civ. censurando il rigetto della eccezione di inammissibilità
dell’originario ricorso in quanto proposto secondo il rito ordinario ex artt.
414 e sg. anziché ai sensi dell’art. 1, commi 48 e sgg. I. n. 92/2012,
applicabile, con previsione inderogabile, a tutti i giudizi introdotti
successivamente al 19 luglio 2012. Si duole del pregiudizio derivato dalla
trattazione della causa secondo l’ordinario rito di cognizione ex art. 414 cod.
proc. civ., non improntato alle esigenze di speditezza e celerità proprie del
rito cd. Fornero e deduce che ove il ricorso fosse stato trattato ai sensi
dell’art. 1, comma 48 e sgg. , avrebbe comportato l’applicazione della a sé più
favorevole tutela risarcitoria di cui al novellato testo dell’art. 18 I. n. 300
del 1970. Sotto altro profilo evidenzia che la inammissibilità del ricorso
aveva determinato la decadenza dall’impugnazione ai sensi dell’art. 32 I. n.
183/2010; in via gradata chiede di limitare la misura risarcitoria riconosciuta
in ragione del concorso colposo del creditore nella scelta del rito e per il
pregiudizio patito attraverso la subita violazione dei principi di ordine
pubblico processuale.

2. Con il secondo motivo deduce violazione e/o falsa
applicazione degli artt. 112, 113, 115, 116, 414, 437, 345. 132 cod. proc.
civ., dell’art. 2697 cod. civ., degli artt. 24, 41 e 111 Cost., dell’art. 4 I
n. 223/1991« in relazione alle domande nuove proposte ex adverso in appello».

Sostiene l’errore della Corte di merito nell’avere,
sulla base di un generico riferimento contenuto nel ricorso introduttivo,
negato il carattere di novità della domanda intesa a far valere la mancata
specificazione nella comunicazione di avvio ex art. 4, comma 3 I.n. 223/1991
delle ragioni per le quali non era possibile il ricollocamento dei lavoratori
addetti alla sede di Pozzillo presso altre sedi della società; deduce che la
questione relativa alla possibilità o meno di «trasferimento» presso altri
stabilimenti esulava dalla originarie doglianze; tanto emergeva anche dalla
modifica in appello delle originarie conclusioni nelle quali era stata chiesta
la reintegrazione nel posto di lavoro laddove, in secondo grado, la richiesta
di reintegrazione era stata formulata anche in relazione ad altro stabilimento
della società. Deduce quindi violazione del divieto di novum in appello.

In altra prospettiva assume che l’affermazione circa
la necessità che la lettera di apertura della procedura di mobilità contenesse
anche le ragioni del mancato trasferimento dei lavoratori o parte di essi
presso altre unità produttive non rispettava il dettato dell’art. 4 I. n.
223/1991.

3. Con il terzo motivo deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 1362 e sgg. e 1324 cod. civ, degli artt. 4,5,e 2 I n.
223/1991, dell’art. 41 Cost., degli artt. 113, 115 e 116 cod. proc,. civ. ,
degli artt. 2697, 2727-2729 cod. civ., degli artt. 244 e 115-116 cod. proc.
civ. in relazione ai Verbali di accordo sindacale del 21.5.2009 (cigs periodo
1.6.2009/31.5.2010), del 26.5.2010 (cigs 1.6.2010_31.1.2011), del 31.1.201
(proroga cig in deroga: periodo 1.2.2011-31.1.2012), dell’ 8.2.2011
(licenziamento collettivo) e loro preventive comunicazioni datoriali di avvio
delle rispettive procedure come da allegazioni e produzioni documentali fornite
dalla società.

3.1. Censura la decisione per avere la Corte di
merito, nel rilevare il deficit informativo della comunicazione di avvio,
omesso di considerare che tale comunicazione doveva essere interpretata e
valutata anche in relazione al contenuto di altra fonte negoziale in essa
richiamata costituita dal verbale di accordo con le parti sindacali intervenuto
il 31.1.2011 e dai precedenti accordi sindacali relativi alle cigs e alla cig
in deroga fruite per lo stabilimento di Pozzilli; da tali fonti negoziali si
evinceva infatti che prima della comunicazione di avvio vi era stato un
confronto sindacale serrato ed, in realtà, un accordo di cogestione circa la
situazione di crisi dello stabilimento di Pozzilli; in tali intese si era
affrontata anche la questione relativa alla impossibilità di adottare misure
alternative; l’interpretazione dei singoli accordi ma anche l’esegesi globale,
storica, sistematica e di buona fede dimostrava in via diretta o anche solo
presuntiva che la questione del trasferimento quale misura alternativa al
licenziamento era stata oggetto di attenta gestione ed esame da parte delle
OO.SS;

4. Con il quarto motivo deduce, ai sensi dell’art.
360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. omesso esame in relazione ai verbali di
accordo sindacale del 21.5.2009 (cigs periodo 1.6.2009/31.5.2010) del 26.5.2010
( cigs 1.6.2010_31.1.2011), del 31.1.201( proroga cig in deroga, periodo
1.2.2011-31.1.2012), dell’8.2.2011( licenziamento collettivo ) e delle loro
preventive comunicazioni datoriali di avvio delle rispettive procedure come da
allegazioni e produzioni documentali fornite dalla società. Tali documenti
afferivano al controllo da parte delle organizzazioni sindacali in ordine alla
procedura di riduzione del personale.

5. Con il quinto motivo deduce violazione e/o falsa
applicazione degli artt. 4, 5 e 24 I n. 223 del 1991, dell’art. 41 Cost, degli
artt. 1362 e sgg. cod. civ. in ordine alla comunicazione di avvio della
procedura di mobilità e al successivo accordo sindacale, degli artt. 113,
115-116 cod. proc. civ., degli artt. 2697 e 2727 cod. civ. Censura la decisione
in punto di ritenuta incompletezza informativa del contenuto della
comunicazione di avvio della procedura in quanto – sostiene- l’art. 4 comma 3
I. n. 223/1991 non prevede affatto che la comunicazione di avvio della
procedura di mobilità debba contenere le misure idonee ad evitare almeno in
parte il licenziamento ivi compreso il trasferimento di tutto o parte del
personale nelle vicine unità produttive; il giudice deve verificare la
effettività e cioè la non pretestuosità delle ragioni addotte e nello specifico
tali ragioni emergevano dai documenti citati ed in particolare sia dai Verbale
di accordo relativi ai vari provvedimenti di cigs sia dal Verbale di accordo
che aveva concluso la procedura di mobilità.

6. Con il sesto motivo di ricorso deduce violazione
e/o falsa applicazione degli artt. 244, 177, 115-116, 132 cod. proc. civ.,
dell’alt 2697 cod. civ. , dell’art. 24 Cost. in relazione alla mancata
ammissione della prova orale ritualmente articolata dalla società.

Premesso che la Corte di merito aveva respinto la
istanza di prova diretta avanzata da essa società e ammesso solo la prova
contraria richiesta sui capitoli formulati da controparte, deduce la
illegittimità della ordinanza che aveva escluso la prova orale diretta
contestando che la stessa, come viceversa ritenuto dalla Corte di merito, non
fosse articolata in capitoli separati e specifici; denunzia a riguardo carenza
di motivazione.

7. Con il settimo motivo in via gradata parte
ricorrente deduce violazione degli artt. 112, 437, 345, 115-116 cod. proc. civ.
degli artt. 1256, 1463 cod. civ., dell’art. 18 I. n. 300 del 1970 in relazione
all’ordine di reintegrazione disposto dalla sentenza di secondo grado e al
risarcimento del danno conseguente; censura la sentenza impugnata per avere
accolto la domanda, irritualmente proposta, di condanna alla reintegrazione
presso altro stabilimento.

8. Con l’ottavo motivo di ricorso deduce in via
gradata omessa pronunzia in ordine all’eccezione di aliunde perceptum e aliunde
percipiendum formulata in prime cure e reiterata nella memoria di costituzione
in appello.

9. Il primo motivo di ricorso è infondato.

9.1. In fatto è pacifico che i licenziamenti in
oggetto sono stati intimati in data 31 gennaio 2012, che il ricorso di primo
grado è stato depositato il 5 dicembre 2012 e trattato in conformità delle
regole di cui agli artt. 414 e sgg. previste per la trattazione delle
controversie di lavoro.

In diritto è corretta l’affermazione della odierna
ricorrente secondo la quale in ragione della data di deposito del ricorso di
primo grado alla impugnativa di licenziamento erano applicabili le disposizioni
di cui all’art.. 1, commi 48 e sgg. della I. n. 92 del 2012 (cd. rito Fornero)
e non l’ordinario rito del processo del lavoro di cui agli artt. 414 e sgg.
cod. proc. civ..

L’art. 1, comma 67, I. cit. stabilisce, infatti, che
<<I commi da 47 a 66 si applicano alle controversie instaurate
successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge>>. La
giurisprudenza della SC ha escluso la facoltà per il lavoratore licenziato di
rinunziare al procedimento specifico introdotto dall’art. 1 comma 47 I. n. 92
del 2012, che ha carattere obbligatorio, non essendo prevista la specialità nel
suo esclusivo interesse ma anche per finalità di carattere pubblicistico,
sicché rientra nei poteri esclusivi del giudice qualificare la domanda e
individuare il rito applicabile (Cass. n. 23073/2015).

9.2. Dalla mancata conversione del rito non è
possibile trarre tuttavia le conseguenze che la odierna ricorrente pretende sul
piano dell’ammissibilità del ricorso, anche con effetti sulla idoneità dello
stesso ad escludere la decadenza ex art. 32 I. n. 183 del 2010. Occorre
premettere in linea di principio che l’erronea applicazione delle regole del
codice di rito non può pregiudicare o aggravare in modo non proporzionato
l’accertamento del diritto, in quanto la pronuncia di merito è garanzia di
effettività della tutela ex art. 24 Cost.; inoltre l’art. 111 Cost. assegna
rilievo costituzionale al principio di ragionevole durata del processo al pari
di quello del diritto di difesa, sicché il contemperamento dei due principi
porta ad escludere la correttezza di interpretazioni che prevedano la
regressione del processo per il mero rilievo della mancata realizzazione di
determinate formalità, la cui omissione non abbia in concreto comportato limitazioni
delle garanzie difensive (Cass. 8422 del 2018).

In tema di mancata conversione del rito costituisce
ius receptum l’affermazione secondo la quale la violazione della disciplina sul
rito assume rilevanza invalidante soltanto nell’ipotesi in cui, in sede di
impugnazione, la parte indichi lo specifico pregiudizio processuale
concretamente derivatole dalla mancata adozione del rito diverso, quali una
precisa e apprezzabile lesione del diritto di difesa, del contraddittorio e, in
generale, delle prerogative processuali protette della parte (Cass. n. 19942/
2008, Cass. SS.UU. n. 3758/ 2009; Cass. n. 22325/2014; Cass. n. 1448/2015);
perché essa assuma rilevanza invalidante occorre infatti che la parte che se ne
dolga in sede di impugnazione indichi il suo fondato interesse alla rimozione
di uno specifico pregiudizio processuale da essa concretamente subito per
effetto della mancata adozione del rito diverso (in termini, avuto riguardo al
cd. “rito Fornero”, v. Cass. n. 12094/ 2016).

In coerenza con tale principio e con specifico
riferimento alla violazione della disciplina relativa all’introduzione della
causa mediante il rito c.d. Fornero è stato chiarito che tale violazione può
essere dedotta come motivo di impugnazione solo se la parte indichi il concreto
pregiudizio alle prerogative processuali derivatole dalla mancata adozione del
predetto rito, con conseguente interesse alla relativa rimozione, non potendosi
ravvisarsi tale pregiudizio nella privazione di “una fase
processuale”, considerato che il rito ordinario (nella specie seguito)
rappresenta la massima espansione della cognizione integrale, idonea a
consentire il migliore esercizio del diritto di difesa (Cass. n. 6754/ 2020).

9.3. In base ai richiamati principi deve escludersi
il pregiudizio denunziato dalla odierna ricorrente sotto il duplice profilo
della mancata possibilità di avvalersi delle finalità acceleratorie proprie del
ricorso ex art. 1 I. n. 92/2012 e di avvalersi della parametrazione della
condanna risarcitoria nei limiti, a sé più favorevoli, delineati dall’art. 18 I
n. 300/1970 nel testo risultante dalle modifiche introdotte dalla I. n. 92/2012
.

Il primo pregiudizio viene prospettato in termini
generici dovendo rilevarsi che la mancata fruizione degli effetti acceleratori
propri del cd. rito Fornero nella realtà della controversia non determina un
pregiudizio soltanto nei confronti della ricorrente ma per entrambe le parti e,
comunque, non è stato specificato in che modo abbia determinato, per la odierna
ricorrente, in concreto, una lesione tangibile del suo diritto di difesa o del
contraddittorio.

La tutela ex art. 18 St lav. attiene al piano
sostanziale e non è connessa all’adozione di uno specifico rito processuale nel
senso che l’ordinamento, a fronte della illegittima condotta datoriale
concretatasi nella risoluzione del rapporto di lavoro, ha previsto uno
specifico strumento destinato ad assicurare il pieno ed effettivo ristoro della
lesione prodottasi nella sfera del lavoratore mediante l’ordine di
reintegrazione ed il risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni
maturate dal licenziamento alla effettiva reintegrazione.

Nella fattispecie in esame, quindi, il regime
risarcitorio applicabile non poteva che essere quello proprio del momento in
cui si è verificata la lesione in relazione alla illegittima condotta datoriale
per cui, a prescindere dal rito, trovava applicazione l’art. 18 st. lav. Nel
testo previgente alla modifica introdotta dalla I. n. 92 del 2012.

Conferma indiretta della correttezza di tale assunto
è lo stesso comma 67 dell’art. 1 cit. I. n. 92 del 2012 che non ricomprende il
comma 42 (che introduce le modifiche all’art. 18 St lav.) tra quelli che si
applicano alle controversie instaurate successivamente alla data di entrata in
vigore della presente legge.

Quanto ora osservato in tema dì idoneità del ricorso
presentato secondo l’ordinario rito di cognizione previsto per le controversie
di lavoro a pervenire ad una pronunzia di merito, esclude che la presentazione
di un ricorso ex art. 414 cod. proc. civ. in luogo di un ricorso ai sensi
dell’art. 1, commi 48 e sgg. I n. 92 del 2021 comporti la decadenza
dall’impugnazione del licenziamento.

10. Il secondo motivo di ricorso presenta profili di
inammissibilità e di infondatezza.

10.1. La Corte di appello ha ritenuto l’incompletezza
della comunicazione di avvio della procedura per mancata indicazione della
limitazione alla sede di Pozzilli delle unità da licenziare e delle ragioni che
impedivano la ricollocazione dei lavoratori in altra sede delle società. In
relazione a quest’ultimo profilo ha ritenuto infondata la deduzione
dell’appellante incidentale sul carattere di novità della detta questione
richiamando nella nota n. 4 della sentenza le deduzioni sviluppate dagli
originari ricorrenti a pag. 9 del ricorso di primo grado.

Le doglianze articolate dalla società ricorrente
sono inidonee alla valida censura della decisione sul punto in quanto in
concreto intese a contestare la interpretazione del ricorso di primo grado da
parte della Corte di appello , interpretazione che costituisce accertamento di
fatto rimesso al giudice di merito, sindacabile solo per vizio di motivazione,
(v., tra le altre, Cass. n. 16596/ 2005, Cass. n. 12259/2002, Cass. n. 6066/
2001, Cass. n. 3016/2001, Cass. n. 9314/1997 e Cass. n. 2113/1995), vizio
neppure prospettato dalla odierna ricorrente.

10.2. Parimenti inammissibile la denunzia di vizio
di attività del giudice di appello per l’omesso rilievo del carattere di novità
della questione relativa alla mancata indicazione nella comunicazione di avvio
delle ragioni della non collocabilità dei lavoratori addetti all’unità di
Pozzilli presso altre sedi della società; ciò per la dirimente considerazione
che la deduzione di error in procedendo, la quale implica che il giudice di
legittimità abbia il potere diretto di esame degli atti, richiedeva la
trascrizione del contenuto del ricorso di primo grado, onere non adempiuto
dalla odierna ricorrente; la tecnica di redazione utilizzata dalla ricorrente
si connota, infatti, per la trascrizione solo parziale di alcuni passi del
ricorso introduttivo dei  lavoratori,
alternata a considerazione delle parte medesima ed a valutazioni riferite al
giudice di merito secondo una modalità, quindi, intrinsecamente inidonea a
consentire la verifica di fondatezza delle doglianze articolate sulla base del
solo ricorso per cassazione, senza ricorrere a fonti integrative, come
prescritto (Cass. n. 12761/ 2004, Cass. Sez. Un. n. 2602/2003, Cass. n. 4743/
2001).

10.3. La deduzione di violazione degli artt. 115 e
116 e 414 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ, è inammissibile per
difetto di specificità non essendo sorretta dalla adeguata esposizione dei
fatti di causa.

10.4. Infine è infondata nel merito, alla luce della
consolidata giurisprudenza di questa Corte, la censura intesa a contestare la
necessità che la comunicazione di avvio della procedura di mobilità contenga
anche le ragioni che escludevano la possibilità di ricollocazione degli addetti
all’unità interessata presso altre sedi della società (Cass. n. 880/2013, Cass.
n. 6959/2013).

11. Il terzo motivo di ricorso è infondato in
ragione del fatto che le documentazioni in merito agli accordi sindacali
precedenti alla messa in mobilità non possono essere considerate come atto
equipollente rispetto alla nota di avvio della procedura ex art. 4 I n.
223/1991, la quale di per sé avrebbe dovuto contenere, in modo chiaro ed
esaustivo, le informazioni necessarie ai fini della comprensione delle ragioni
per cui il licenziamento fosse limitato soltanto al personale dell’unità produttiva
di Pozzilli.

12. Le considerazioni alla base del rigetto del
motivo precedente determinano l’infondatezza anche del quarto motivo per
difetto di decisività dei fatti dei quali si assume omesso esame (tutti esterni
alla procedura di mobilità)

13. Il quinto motivo di ricorso è infondato.

13.1. Occorre in primo luogo evidenziare che la
censura di parte ricorrente per la quale la Corte di merito avrebbe ancorato la
valutazione di incompletezza informativa a un requisito non richiesto dalla
norma di legge (indicazione delle ragioni della mancata adibizione ad altra
sede) non considera da un lato che tale profilo rientra in quello più vasto
della indicazione delle ragioni per le quali non è stato possibile adottare
misure alternative al licenziamento e dall’altro che nel caso specifico la
incompletezza informativa è collegata anche alla mancata indicazione delle
ragioni di limitazione della platea dei licenziandi, difetto che di per sé solo
è idoneo a sorreggere l’affermazione di illegittimità della procedura (Cass. n.
2429/2012).

Invero, la comunicazione preventiva con cui il
datore di lavoro dà inizio alla procedura di licenziamento deve compiutamente
adempiere l’obbligo di fornire le informazioni specificate dall’art. 4 co. 3
della legge n. 223/91, in maniera tale da consentire all’interlocutore
sindacale di esercitare in maniera trasparente e consapevole un effettivo
controllo sulla programmata riduzione di personale, valutando anche la
possibilità di misure alternative al programma di esubero. La inadeguatezza
delle informazioni, che abbia potuto condizionare la conclusione dell’accordo
tra impresa e organizzazioni sindacali secondo le previsioni del medesimo art.
4 determina l’inefficacia dei licenziamenti per irregolarità della procedura, a
norma dell’art. 4 co. 12 (cfr.
Cass. n. 880/ 2013 cit. , Cass. n. 22825/2009).

Nel caso in esame, correttamente la Corte
territoriale ha ritenuto che la mancata comparazione dei lavoratori di Pozzilli
con quella dei lavoratori addetti ad altri stabilimenti, al fine di individuare
chi dovesse essere licenziato in applicazione dei criteri di scelta di cui
all’art. 5 co. 1 della legge n. 223/91, assumeva rilievo in relazione ad una
compiuta, trasparente e consapevole consultazione sindacale, tanto da
compromettere il corretto svolgimento dell’esame congiunto.

14. Il sesto motivo di ricorso è inammissibile in
quanto la sentenza impugnata fonda la illegittimità del licenziamento sulla
incompletezza della comunicazione di avvio per cui esulano dalla stessa i
profili attinenti al piano della effettività delle ragioni alla base della
chiusura della sede di Pozzilli che sembrano essere quelli oggetto della prova
orale; quanto all’assenza di esperienza pregressa in P. ove ritenuta
sufficiente ad evocare il difetto di fungibilità è una questione nuova della
quale non è allegata la rituale deduzione nelle fasi di merito; le circostanze
articolate con la prova testimoniale non sono in ogni caso decisive in quanto
la questione della <fungibilità/infungibilità> dei lavoratori, che
avrebbe legittimato la riduzione dell’ambito di scelta dei licenziandi ai soli
addetti allo stabilimento di Pozzilli, non incide sui rilevati vizi formali e
sostanziali della comunicazione di avvio della procedura; in secondo luogo,
deve osservarsi che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per
sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico,
rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice,
ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie:
con la conseguente preclusione nel giudizio di cassazione dell’accertamento dei
fatti ovvero della loro valutazione ai fini istruttori (Cass. n. 8053 del 2014;
Cass. n. 2498 del 2015; Cass. n. 21439 del 2015).

15. Il settimo motivo di ricorso è infondato

15.1. Per consolidata giurisprudenza della S.C.
l’ordine di reintegrazione del lavoratore subordinato illegittimamente
licenziato, emesso dal giudice ex art. 18 dello Stat. lav., costituisce una
condanna (generica) del datore di lavoro all’adempimento degli obblighi
derivanti dal rapporto di lavoro e quindi ad adeguare la situazione di fatto a
quella di diritto rappresentata, senza identificarsi con essa, dalla
riattivazione del normale presupposto dell’esecuzione del rapporto (Cass. n.
27767/ 2021, Cass. n. 11130/2020, Cass. n. 10515/1997). Da tanto deriva che
nessuna modifica della originaria domanda con conseguente violazione dell’art.
112 cod. proc. civ. è configurabile in relazione alle conclusioni spiegate in
secondo grado che si limitano a puntualizzare il contenuto di una richiesta che
è già intrinseca alla originaria domanda di reintegrazione  stante la necessità di adeguare la situazione
di fatto a quella di diritto con riferimento al momento della reintegrazione.

16. La censura articolata con l’ottavo motivo di
ricorso è fondata nel senso che effettivamente la Corte di merito ha omesso di
pronunziare sulla eccezione di aliunde perceptum e percipiendum che parte
ricorrente dimostra essere stata ritualmente formulata in primo grado e
reiterate in seconde cure (v. ricorso per cassazione , pag. 72). Tanto
premesso, occorre rilevare che le allegazioni in fatto, per come concretamente
formulate, non appaiono idonee per la loro genericità a fondare l’accoglimento
della eccezione medesima stante gli oneri di allegazione a riguardo a carico
dell’eccipiente (Cass. n. 17776/ 2016 ) – oneri in concreto non assolti- e la
ulteriore considerazione, in relazione alla istanza della società di acquisire
informazioni scritte presso l’INPS e da ITL ex art. 213 cod. proc. civ., della
inammissibilità di richieste a fini meramente esplorativi allorquando neppure
la parte istante deduce elementi sulla effettiva esistenza del documento e del
suo contenuto per verificarne la rilevanza in giudizio (Cass. n. 24971/12019,
Cass. 31575/ 2018).

Da tutto quanto sopra scaturisce che pur in presenza
dell’accertata omessa pronunzia su un motivo di gravame ritualmente dedotto non
si dispone la cassazione con rinvio della decisione sul punto avendo questa Corte
chiarito che alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole
durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma secondo,
Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384
cod. proc. civ. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa
pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può omettere la
cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito
allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti
infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il
dispositivo della sentenza di appello (v. tra le altre, Cass. Sez. Un. n. 2731/
2017„ Cass. n. 2168/2015 ).

17. Alla stregua di quanto sopra esposto il ricorso
va rigettato e le spese di lite regolate secondo soccombenza.

18. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R.
n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla
rifusione delle spese di lite che liquida in € 5.000,00 per compensi
professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del
15% e accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento,
da  parte della ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto
per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 marzo 2022, n. 7472
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