Nel settore pubblico la durata normale del lavoro notturno non deve essere ridotta rispetto a quella del lavoro diurno e può essere differenziata rispetto a quella prevista per i lavoratori del settore privato.
Nota a Corte di Giustizia UE, Seconda Sezione, 24 febbraio 2022, causa C-262/20
Fabrizio Girolami
Non sussiste un obbligo di parità di trattamento tra lavoratori notturni pubblici e privati.
Questo, il principio espresso dalla Corte di Giustizia UE, Seconda Sezione, 24 febbraio 2022, causa C-262/20, nel pronunciarsi su una controversia promossa da un dipendente pubblico bulgaro del corpo dei vigili del fuoco del Ministero dell’interno, la quale ha rammentato che, nell’ordinamento UE, la Direttiva 2003/88 in materia di orario di lavoro:
- all’art. 2, paragrafo 3, definisce il “periodo notturno” come “qualsiasi periodo di almeno 7 ore, definito dalla legislazione nazionale e che comprenda in ogni caso l’intervallo fra le ore 24 e le ore 5”;
- all’art. 2, paragrafo 4, definisce il “lavoratore notturno” quale qualsiasi lavoratore che durante il “periodo notturno”, come sopra definito, svolga almeno 3 ore del suo tempo di lavoro giornaliero, impiegate in modo normale, ovvero qualsiasi lavoratore che possa svolgere durante il “periodo notturno” una certa parte del suo orario di lavoro annuale, come definita nella legislazione nazionale, previa consultazione delle parti sociali, o nei contratti collettivi o accordi conclusi fra le parti sociali a livello nazionale o regionale;
- all’art. 8 (“Durata del lavoro notturno”) fissa le prescrizioni minime relative alla durata normale del lavoro notturno (“Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché: a) l’orario di lavoro normale dei lavoratori notturni non superi le 8 ore in media per periodo di 24 ore; b) i lavoratori notturni il cui lavoro comporta rischi particolari o rilevanti tensioni fisiche o mentali non lavorino più di 8 ore nel corso di un periodo di 24 ore durante il quale effettuano un lavoro notturno”);
- all’art. 12 (“Protezione in materia di sicurezza e di salute”), lett. a), stabilisce che “Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché: a) i lavoratori notturni e i lavoratori a turni beneficino di un livello di protezione in materia di sicurezza e di salute adattato alla natura del loro lavoro”.
In relazione al quadro normativo sopra esposto, la CGUE, ha stabilito i seguenti principi di diritto:
- gli artt. 8 e 12, lett. a), della Direttiva 2003/88/CE devono essere interpretati nel senso che non impongono l’adozione di una normativa nazionale che preveda che la durata normale del lavoro notturno per i lavoratori del settore pubblico sia inferiore alla durata normale del lavoro diurno prevista per questi ultimi. Tali lavoratori devono, in ogni caso, beneficiare di altre misure di protezione in materia di orario, di salario, di indennità o di simili vantaggi, che consentano di compensare la particolare gravosità del lavoro notturno da essi effettuato;
- inoltre, non sussiste un obbligo di parità di trattamento tra i lavoratori del settore privato (per i quali la normativa nazionale preveda una durata normale del lavoro notturno di 7 ore in una settimana di 5 giorni lavorativi) e i lavoratori pubblici, in particolare, il personale di polizia e i vigili del fuoco (per i quali la normativa preveda una durata normale di 8 ore), qualora una siffatta differenza di trattamento sia fondata su un criterio obiettivo e ragionevole, vale a dire sia rapportata a un legittimo scopo perseguito da detta legislazione e sia proporzionata a tale scopo.