I lavoratori che, al rientro in Italia, vengono assunti dalla società italiana per la quale hanno collaborato durante il periodo di residenza all’estero possono fruire del regime speciale previsto per i lavoratori impatriati.
Nota AdE Risp., 19 gennaio 2022, n. 32
Marialuisa De Vita
L’Agenzia delle Entrate, con la risposta ad interpello n. 32 del 19 gennaio 2022, ha fornito alcuni chiarimenti in merito al regime speciale per i lavoratori c.d. “impatriati” che, al rientro in Italia, sono assunti dalla stessa società per la quale hanno collaborato nel periodo di residenza all’estero.
Nel caso di specie, una cittadina italiana si rivolgeva all’Agenzia delle Entrate rappresentando di:
– essersi trasferita all’estero nel 2007 per frequentare un corso di formazione fino al 2008;
– essere stata co-fondatrice di un canale web operante nella comunicazione digitale del settore cosmesi nel 2008;
– aver avviato dal 2014 una collaborazione di natura libero-professionale con alcune società italiane facenti parte di un gruppo operante nel settore dell’editoria digitale e della cosmetica, prestando attività di consulenza da remoto dall’estero;
– aver contratto matrimonio all’estero e di essere madre di due figlie minorenni;
– essere rientrata in Italia, insieme alla famiglia, da gennaio 2021 per essere assunta come dipendente di una delle società italiane per le quali aveva collaborato da remoto durante il periodo di residenza all’estero.
L’istante chiedeva all’Agenzia delle Entrate se la circostanza di lavorare, al rientro in Italia, per un datore di lavoro con cui aveva già collaborato durante il periodo di residenza all’estero fosse ostativa al regime di favore ex art. 16, D.Lgs. n.147/ 2015.
Come noto, ai sensi dell’art. 16 del D.Lgs n. 147/2015 i redditi di lavoro autonomo, i redditi di lavoro dipendente, quelli assimilati ai redditi di lavoro dipendente e i redditi di impresa, prodotti in Italia da lavoratori (cittadini italiani o esteri) che vi trasferiscono la residenza fiscale, concorrono alla formazione del reddito complessivo nei limiti del 30% del loro ammontare, ovvero nei limiti del 10% se si trasferiscono nelle regioni meridionali (Calabria, Sicilia, Sardegna, Molise, Puglia, Campania, Basilicata e Abruzzo). Tale regime trova attuazione a decorrere dal periodo d’imposta in cui è avvenuto il trasferimento della residenza fiscale in Italia e per i 4 periodi d’imposta successivi.
Per poter beneficiare della agevolazione in esame i soggetti che rientrano in Italia devono essere in possesso dei requisiti previsti, in via alternativa, dal co. 1 e dal co. 2 dell’art. 16 summenzionato.
In particolare, possono accedere al regime agevolativo solo i lavoratori che (art. 16, co. 1, D.Lgs. n. 147/2015):
- non sono stati residenti in Italia nei 2 periodi di imposta precedenti il trasferimento e si impegnano a permanervi per almeno 2 anni;
- prestano l’attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano.
Il regime in questione vale anche per i cittadini UE e, dal 2017, per quelli di Stati extra UE (con i quali è in vigore una convenzione per evitare le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale), che soddisfano uno dei seguenti requisiti (art. 16, co. 2, D.Lgs. n. 147/2015):
- sono in possesso di un titolo di laurea e hanno svolto continuativamente un’attività di lavoro dipendente, ovvero autonomo oppure d’impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più;
- hanno svolto continuativamente un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea ovvero una specializzazione post lauream.
Si poneva il dubbio se, tra i requisiti in questione, vi fosse anche quello di non aver prestato servizio per il medesimo datore di lavoro. Per l’Agenzia delle Entrate non è così. Questa ha ammesso l’istante ad accedere al regime speciale in esame a decorrere dal periodo di imposta 2021, anno in cui ha trasferito la residenza fiscale in Italia e per i 4 periodi di imposta successivi anche se, dal 2014, ha intrattenuto un rapporto di collaborazione professionale con alcune società italiane, tra cui la ditta che poi lo ha assunto, sempreché risultino soddisfatti tutti i requisiti richiesti dall’art. 16, D.Lgs. n. 147/2015 (residenza all’estero per almeno 2 periodi di imposta e svolgimento della prestazione lavorativa prevalentemente nel territorio italiano).
In definitiva, la circostanza di aver già lavorato per il medesimo datore di lavoro non viene considerata ostativa dall’Amministrazione finanziaria che, dunque, dimostra di valorizzare il fatto oggettivo del mero svolgimento della prestazione lavorativa in Italia.