Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 marzo 2022, n. 7860
Rapporto di lavoro agricolo, Indici di condizioni di lavoro
degradanti, Mancata fruizione di ferie e riposi, Approfittamento dello stato
di bisogno, Sussistenza, Accertamento
Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale del riesame di Cosenza con ordinanza
in data 1^ luglio 2020, in accoglimento dell’istanza formulata da C. E.,
amministratore della società F. Società Agricola s.r.I., ha annullato il
provvedimento del G.I.P. del Tribunale di Castrovillari, con cui -ravvisato il
fumus commissi delicti del reato di cui all’art. 603 bis, comma 1 n. 2), comma
2 nn. 1, 2, 3, e comma 3) nn. 1 e 3) cod. pen.- era stato disposto il sequestro
preventivo del complesso aziendale della F. Agricola s.r.l. disponendone il
dissequestro.
2. Avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame
propone ricorso per cassazione il Pubblico ministero presso il Tribunale di
Cosenza, formulando tre motivi di impugnazione.
3. Con il primo fa valere la violazione della legge
penale, con riferimento al disposto dell’art. 603 bis cod. pen., ed il vizio di
motivazione. Richiamato il testo normativo, osserva che il Tribunale, da un
lato, contravvenendo al disposto normativo, ritiene necessaria per
l’integrazione del reato la sussistenza di più indici di sfruttamento,
dall’altro, opera una commistione fra autonomi elementi costitutivi del reato,
ritenendo non integrato l’approfittamento dello stato di bisogno, in assenza
degli indici di sfruttamento e ciò senza affrontare il vaglio degli indizi
valorizzati dal G.I.P., che si limita ad elencare, operando una sintesi non
consentita (sostiene, in particolare, che il giudice del riesame non valuta le
conversazioni intercettate nn. 4792, 3545, 726, 4242, 2779, 2854, 3271, 3358,
3746, 4777, 4792, 1582, 3771, 2060, 2062, 1355 e 1594; le sommarie informazioni
rese in data 11 aprile 2018 dai lavoratori P. G., D. D., G. D., M. I. D.,
G.N.M., R.V., M.L., I.R., P.A., P.L.). Osserva che i lavoratori hanno
dichiarato di essere stati impiegati per un orario di lavoro che dalle ore 6,45
giornaliere alle 7 ore giornaliere, laddove il contratto Provinciale della
Provincia di Cosenza per gli operai agricoli prevede un orario giornaliero di
ore 6,30. Sottolinea che dal dialogo intercettato fra il lavoratore P. L. ed il
caporale L. G., di cui al n. 4792, emerge con chiarezza che il tempo di lavoro
giornaliero era pari a 7 ore lavorative. Rileva che i braccianti escussi in
sede di sommarie informazioni hanno chiarito di avere percepito una
retribuzione giornaliera pari ad euro 35,00, laddove l’accordo collettivo
applicabile prevede la retribuzione minima giornaliera in euro 44,00 lordi.
Ricorda che dalla conversazione n. 4207 del 17 aprile 2018 si evince che la
retribuzione giornaliera effettivamente corrisposta ai lavoratori era pari ed
euro 28,00/29,00. Mentre nel corso della conversazione n. 340 del 27 marzo 2018
fra L. G. e B. A., il primo comunica alla seconda che la retribuzione
giornaliera di raccolta delle olive è pari ad euro 22,00. Sicché debbono ritenersi
integrate le violazioni di cui all’art. 603 bis comma 3 nn. 1) e 2) cod. pen.,
stante la reiterata corresponsione di retribuzioni difformi a quelle previste
dalla contrattazione nazionale e territoriale e la reiterata violazione
dell’orario di lavoro, ivi stabilita.
Rileva che anche gli ulteriori indici di
sfruttamento, quali non avere assicurato la contribuzione previdenziale (lavoro
in nero) ed il non avere assicurato la fruizione del riposo settimanale e delle
ferie, pur messi in luce dal G.I.P. sono stati ignorati dal Tribunale per il
riesame. Assume che l’ordinanza impugnata omette, al fine di vagliare la
sussistenza delle condizioni di cui all’art. 603 bis, comma 3 n. 4) di
considerare la sussistenza di indici di condizioni di lavoro degradanti, fra i
quali spicca la mancata fruizione delle ferie e dei riposi, emersa
dall’intercettazione n. 3947 fra P. G. e L. G.. Né considera quale sintomo
dello stato di bisogno dei lavoratori reclutati dal caporale L. G., che T.Q.
gli aveva riferito di essere privo di abitazione e che P.A. e P. G. gli avevano
comunicato di esser in condizioni di grave disagio economico .
4. Con il secondo motivo si duole della violazione
dell’art. 125, comma 3 cod. pen.. Sostiene che la motivazione dell’ordinanza
impugnata si rivela del tutto apparente, omettendo l’esame di elementi decisivi
per l’accertamento del fatto.
Sottolinea che il Tribunale nell’affermare
l’inconferenza del contenuto della
conversazione n. 4207 fra L.B., sulla base della considerazione che la
retribuzione di euro 22,00 giornaliere, di cui si fa menzione, costituisce la
paga per la raccolta delle olive, mentre la società amministrata dall’indagato
si occupa di coltivazione di pomacee e frutta da nocciolo, si limita a
riportarne una parte.
Nella seconda parte, infatti, si afferma che la
retribuzione per la raccolta di altri frutti è pari ad euro 28,00/29,00
giornaliere e che i contributi previdenziali sono versati solo in parte.
Parimenti il giudice del riesame non si confronta adeguatamente con il contenuto
della intercettazione n. 4792, valorizzata dal G.I.P., in relazione alle
violazioni sull’orario di lavoro, nel corso della quale P. L. chiarisce che nel
blocchettario di cui le forze dell’ordine hanno fatto copia, l’orario è
indicato in ore 7, laddove gli indagati avevano riferito di avere impiegato i
lavoratori per ore 6,40. Del pari, il Tribunale omette, con riferimento al
mancato godimento delle ferie, di spiegare per quale ragione i lavoratori
impiegati da aprile a luglio, non debbano goderne. Né spiega quale credibilità
possa attribuirsi alle dichiarazioni di F.R., rese in sede di investigazioni
difensive, secondo cui gli unici dispositivi di protezione da assicurare ai
lavoratori sono i guanti, che nondimeno non possono essere usati per la
raccolta. Ancora il Collegio, accontentandosi di osservare che C. non è
coinvolto nelle intercettazioni, tralascia di considerare che il quadro
probatorio a suo carico non è formato solo sul compendio intercettativo, ma
anche sulle dichiarazioni dei braccianti e sui controlli effettuati dalla
Guardia di Finanza. Ed altresì, non si confronta con la ricostruzione del
G.I.P. in relazione ai rapporti fra C. ed il reclutatore G.G., suo punto di
riferimento, benché non sia possibile che il secondo di occupasse di trovare la
manodopera necessaria all’indagato, senza un accordo con lui. Assume che
dall’insieme di tutti questi elementi, correttamente valorizzati dal G.I.P.,
emerge con chiarezza il fumus del reato contestato.
5. Con il terzo motivo fa valere l’inosservanza
degli artt. 321 e 322 cod. proc. pen. e dell’art. 603 bis.2 cod. pen.. Si duole
che il Tribunale del riesame, anziché limitarsi al controllo di compatibilità
fra la fattispecie concreta e quella legale, abbia trasmodato nella valutazione
del merito delle accuse, ponendosi in contrasto con i principi enunciati dalle
Sezioni Unite (Sez. U, Sentenza n. 7 del 23/02/2000, Mariano, Rv. 215840).
Conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
6. Con requisitoria ex art. 23, comma 8 d.l.
137/2020 il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha chiesto
dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
7. Con memoria del 21 settembre 2021 la difesa di E.
C. ha allegando la sentenza del G.U.P. del Tribunale di Castrovillari resa in
data 7 dicembre 2020 con cui E. C. è stato assolto dal reato di cui all’art.
603 bis cod. pen. contestatogli, con la formula ‘per non avere commesso il
fatto.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile per sopravvenuta
carenza di interesse.
2. Come supra premesso la difesa di E. C. ha
prodotto, in uno con la memoria depositata, la sentenza con cui il medesimo è
stato assolto dal reato contestatogli con il capo 35) della rubrica per non
avere commesso il fatto.
3. Ciò rende insindacabile, in sede di legittimità,
l’ordinanza del Tribunale per il riesame con la quale è stato disposto, in
riforma dell’ordinanza del G.I.P., il dissequestro dei beni, posto che, ai
sensi dell’art. 323 cod. proc. pen., anche qualora la decisione cautelare fosse
stata di diverso segno il giudice di merito, assolvendo l’imputato, avrebbe
comunque dovuto ordinare il dissequestro e restituire i beni sequestrati,
indipendentemente dall’assoggettabilità della sentenza ad impugnazione (cfr.
“In tema di misure cautelari reali, la pronuncia in appello di una sentenza
non irrevocabile di assoluzione, che riformi una precedente sentenza di
condanna, determina l’immediata perdita di efficacia del sequestro preventivo
finalizzato alla confisca a condizione che il bene in sequestro non sia
soggetto a confisca obbligatoria ai sensi dell’art.240, comma secondo, n. 2
cod. proc. pen. (In motivazione, la Corte ha ritenuto che il principio previsto
dall’art.323, comma primo, cod. proc. pen., deroghi alla regola generale di cui
all’art. 588 cod. proc. pen., in base al quale l’esecuzione del provvedimento
impugnato è sospesa fino all’esito del giudizio). (Sez. 6, Sentenza n. 44961
del 15/09/2016, Consorzio San Raffaele ed altro, Rv. 268569).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.