Il parametro per la quantificazione del risarcimento va individuato nell’art. 32, co. 5, L. n. 183/2010.

Nota a Cass. (ord.) 28 febbraio 2022, n. 6493

Fabrizio Girolami

Nel regime del lavoro pubblico alle dipendenze delle Aziende Sanitarie Locali, in caso di abusiva reiterazione di contratti a tempo determinato, il dipendente ha diritto – fermo restando il divieto di conversione del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato (art. 36, co. 5, D.Lgs. n. 165/2001) – al risarcimento del danno, configurabile di norma come perdita di chance di un’occupazione alternativa migliore, con onere probatorio agevolato (anche per mere presunzioni) e nella misura e nei limiti di cui all’art. 32, co. 5, L. n. 183/2010, ora confluita nell’art. 28, co. 2, D.Lgs. n. 81/2015 (indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del T.F.R., avuto riguardo ai criteri di cui all’art. 8, L. n. 604/1966: numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’azienda, anzianità di servizio del lavoratore, comportamento e condizioni delle parti).

È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, Sez. lav., con l’ordinanza n. 6493 del 28 febbraio 2022, in relazione alla richiesta di risarcimento del danno presentata da una lavoratrice dell’Azienda Unità Sanitaria Locale di Pescara, la quale aveva prestato servizio presso il Dipartimento di Salute Mentale di Penne per circa 9 anni di cui 4 in modo discontinuo e dall’1.3.2005 fino al 28.2.2009 senza soluzione di continuità.

Perso il primo grado, la lavoratrice aveva ottenuto il risarcimento del danno (per l’illegittimità dei contratti a termine e delle relative proroghe) dalla Corte d’Appello di L’Aquila, la quale, con sentenza n. 942/2013, aveva ritenuto illegittimi (per genericità delle causali e per violazione del regime della proroga) i contratti, affermandone l’insuscettibilità di conversione, stante la natura pubblica del datore, ma “tali da legittimare la pretesa al risarcimento del danno, parametrato sul regime sanzionatorio di cui all’art. 18 Stat. Lav.”.

L’AUSL di Pescara aveva impugnato la sentenza d’appello, lamentando la non conformità a diritto della statuizione con cui la Corte territoriale, ritenuto provato il danno, aveva proceduto alla determinazione equitativa del medesimo, assumendo a parametro la disposizione dell’art. 18 Stat. Lav., con sommatoria dell’importo della sanzione minima pari a cinque mensilità e dell’indennità sostitutiva della reintegrazione.

La Cassazione ha accolto il ricorso dell’AUSL di Pescara e, cassando la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’Appello di L’Aquila in diversa composizione, ha precisato che:

  • nell’ambito del pubblico impiego, il lavoratore danneggiato dal ricorso abusivo al contratto a termine va risarcito ai sensi dell’art. 36, co. 5, D.Lgs. n. 165/2001 (“il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative”);
  • il danno patito dal lavoratore, in caso di illegittimità del contratto a termine, deve considerarsi correlato non tanto alla mancata conversione del rapporto da tempo determinato a tempo indeterminato (che, come noto, non è possibile nel settore pubblico, a differenza del settore privato, stante il disposto dell’art. 97, co. 4, Cost. che stabilisce l’accesso agli impieghi nelle P.A. mediante concorso) quanto, invece, alla perdita di chance di altre occasioni di lavoro stabile, con onere della prova a carico del lavoratore ai sensi dell’art. 1223 c.c. (trattasi di prova peraltro semplificata, assolvibile anche mediante mere presunzioni);
  • secondo il consolidato orientamento della Corte di giustizia UE (cfr., tra le altre, CGUE 7 marzo 2018, C-494/16, in q. sito, con nota di F. DURVAL; CGUE 12 dicembre 2013, C-50/13), è legittima la normativa nazionale (in specie, l’art. 36, co. 5, D.Lgs. n. 165/2001) che esclude, in caso di utilizzo abusivo di successivi contratti a termine da parte della P.A., la conversione automatica del rapporto a tempo indeterminato, purché la stessa preveda altre misure sanzionatorie – alternative alla tutela conservativa del rapporto di lavoro – che siano idonee a soddisfare la “dissuasività” e la “effettività” delle prescrizioni stabilite dal legislatore eurounitario;
  • come già a suo tempo affermato dalla Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza 15 marzo 2016, n. 5072, stante l’impossibilità di identificare il pregiudizio subìto dal dipendente pubblico nella perdita del posto, il parametro di riferimento per il risarcimento del danno va identificato non sulla base dell’art. 18 Stat. Lav. (come, erroneamente, ha fatto la Corte d’Appello di L’Aquila), ma sulla base dell’art. 32, co. 5, L. n. 183/2010 (disposizione espressamente riferita al risarcimento del danno in caso di illegittima apposizione del termine), atteso che “l’entità del ristoro e l’inversione dell’onere della prova ivi previste sono parametri idonei a garantire equivalenza, effettività e dissuasività della sanzione, così come richiesto dall’ordinamento europeo”.
Ricorso abusivo al contratto a termine nel settore sanitario e risarcimento del danno da perdita di chance (Cass. n. 6493/2022)
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