L’utilizzo abusivo per un arco di tempo limitato dei permessi previsti dalla L. n. 104/1992 comporta la tutela indennitaria e non la sanzione espulsiva
Nota a Cass. 2 marzo 2022, n. 6796
Paolo Pizzuti
Nell’ipotesi di “licenziamento disciplinare intimato per una pluralità di distinti ed autonomi comportamenti, solo alcuni dei quali risultino dimostrati, la ‘insussistenza del fatto’ si configura qualora possa escludersi la realizzazione di un nucleo minimo di condotte che siano astrattamente idonee a giustificare la sanzione espulsiva”, o qualora si tratti di fatti sussistenti ma privi del carattere di illiceità. Resta ferma in ogni caso, la necessità di operare “una valutazione di proporzionalità tra la sanzione ed i comportamenti dimostrati, con la conseguenza che, nell’ipotesi di sproporzione tra sanzione e infrazione, va riconosciuta la tutela risarcitoria se la condotta dimostrata non coincida con alcuna delle fattispecie per le quali i contratti collettivi o i codici disciplinari applicabili prevedono una sanzione conservativa, ricadendo la proporzionalità tra le “altre ipotesi” di cui all’art. 18, comma 5, della I. n. 300 del 1970, come modificato dall’art. 1, comma 42, della I. n. 92 del 2012, per le quali è prevista la tutela indennitaria cd. forte”.
Questo, il principio ribadito dalla Corte di Cassazione (2 marzo 2022, n. 6796, conf. ad App. Perugia n. 66/2019; nella stessa linea, v. Cass. n. 31529/2019) in relazione ad un licenziamento irrogato in base a tre addebiti, con i quali l’azienda aveva contestato al dipendente di avere fruito di tre permessi, corrispondenti all’intero turno lavorativo di otto ore, concessi ai sensi della legge n. 104/1992 per dedicarsi ad attività estranee alla assistenza della madre, soggetto portatore di handicap grave. Il Tribunale di Spoleto n. 163/2018, in sede di opposizione al provvedimento sommario, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato, con reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro e con condanna al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Secondo La Corte di appello di Perugia, invece, l’abuso del diritto, seppure sussistente, non era tale da giustificare la misura disciplinare adottata (dal momento che la fruizione dei permessi per finalità diverse da quelle contemplate dal legislatore era avvenuta per un arco di tempo limitato, ossia per il 18.75% del tempo) e, quindi, per mancanza di proporzionalità, il fatto non integrava una giusta causa e non era passibile di alcuna sanzione conservativa, per cui andava applicata la sanzione prevista dall’art. 18 co. 5, Stat. Lav., (indennità risarcitoria), piuttosto che quello reintegratorio stabilito dal precedente co. 4.
Nello specifico, la Cassazione ha considerato rilevante “il mero accertamento dello svolgimento di attività diverse rispetto a quelle originariamente contestate e poste alla base del licenziamento, perché anche lo svolgimento di tali attività incide sulla sostanza fattuale del fatto addebitato in relazione al quale il lavoratore si è difeso”.