Negare la concessione del congedo in mancanza del requisito anagrafico della convivenza con il familiare portatore di handicap rappresenta una discriminazione diretta.
Nota a Trib. Napoli 26 novembre 2021, n. 5192
Francesco Belmonte
Il requisito della convivenza, richiesto dalla legge (art. 42, co. 5, D.LGS. 26 marzo 2001, n. 151) al fine di beneficiare del congedo straordinario, non deve necessariamente coincidere con la coabitazione, intesa come mera coincidenza dell’indirizzo di residenza, essendo sufficiente la presenza di un legame stabile di assistenza continuativa.
A stabilirlo è il Tribunale di Napoli (26 novembre 2021, n. n. 5192), in relazione ad una fattispecie concernente il diniego da parte di un Comune a concedere il congedo straordinario ad una dipendente, l’unica in grado di prestare assistenza familiare alla nipote portatrice di handicap grave ex L. n. 104/92 (“attualmente in trattamento chemioterapico; vedova; con una figlia minore a carico; priva della madre defunta, senza rapporti da oltre 20 anni con il padre, con un fratello residente in Spagna ed un altro fratello padre di due figlie minori, in stato di disoccupazione volontaria”).
L’Amministrazione aveva però ammesso con riserva la dipendente al congedo straordinario, subordinando la concessione definitiva all’ulteriore allegazione di un cambio di residenza quale unico dato idoneo a dimostrare la convivenza con la nipote disabile.
Il giudice napoletano, operando una lettura costituzionalmente orientata della normativa di riferimento (v. Corte Cost. n. 232/2018, in q. sito con nota di M.N. BETTINI), ha condannato l’Ente al risarcimento del danno da discriminazione, comprensivo anche di una componente sanzionatoria con la funzione di deterrente rispetto ad ulteriori condotte dello stesso tipo.
In particolare, per il Tribunale, il dato della convivenza (in senso giuridico) sussiste in presenza di un legame stabile (di assistenza intrafamiliare) che può prescindere dal requisito della coabitazione.
Nel caso di specie, la lavoratrice aveva fornito negli ultimi anni assistenza in via continuativa alla nipote, “abitando a tre minuiti di automobile dal luogo in cui ella vive, dimorando con la stessa per finalità di assistenza”.
La sussistenza di tali elementi di fatto è idonea, ad avviso del giudice, senza la necessità di procedere ad un cambio di residenza, “a dimostrare l’esistenza di una relazione di continua assistenza e sostegno familiare al soggetto portatore di handicap qualificabile come convivenza, viste le finalità di tutela strettamente connesse agli artt. 2; 29; 30 e 32 della Costituzione”.
Per il Tribunale, il diniego datoriale concretizza una discriminazione di matrice diretta, in ragione del fattore di protezione della disabilità posseduto dalla ricorrente, il quale, come chiarito dai Giudici di Lussemburgo (CGUE, Grande Sez., 17 luglio 2008, causa C-303/06), risulta estendibile anche alla persona che presta assistenza al soggetto disabile.
Circa il danno da discriminazione, esso si configura come un danno-evento, derivante dalla lesione del diritto soggettivo assoluto (cfr. Cass. S.U. n. 7186/2011 e Cass. n. 360/2011) a non essere discriminato in ragione delle caratteristiche di protezione, della nazionalità, handicap, della razza o etnia, religione, convinzioni personali, di genere e orientamento sessuale.
Tale forma di danno, direttamente derivante dall’accertamento della violazione del divieto di discriminazione, obbliga il soggetto discriminante al ristoro dei pregiudizi patrimoniali e non patrimoniali subiti dal soggetto discriminato.