Maria Novella Bettini
Secondo la normativa contrattuale non si configura, a favore del dirigente medico, nei confronti della PA, un diritto assoluto né un diritto potestativo all‘aspettativa.
Tale interpretazione discende dall’utilizzo del verbo “possono” (essere concessi periodi di aspettativa), impiegato dall’art. 10, co.1, CCNL 10.2.2004, come integrato dall’art. 24 CCNL 3.11.2005, il quale prevede il potere e non il dovere dell’Amministrazione di dar corso all’aspettativa.
La questione si pone diversamente nell’ipotesi di una richiesta di aspettativa (senza retribuzione e senza decorrenza dell’anzianità) che, secondo l’art. 10, co.8 , CCNL cit. (ai sensi dell’art. 38, co. 8, CCNL area sanità, triennio 2016-2018: “I congedi di cui al presente articolo possono essere cumulati con l’aspettativa per motivi personali o di famiglia di cui all’art. 10 del C.C.N.L. del 10 febbraio 2004 come integrato dall’art. 24, comma 13, del CCNL. del 3 novembre 2005 dell’Area IV e di cui all’art. 10 del C.C.N.L. del 10 febbraio 2004 come integrato dall’art. 24, comma 15, del CCNL del 3 novembre 2005 dell’Area III con riferimento alla sola dirigenza sanitaria e delle professioni sanitarie (Aspettativa) per un periodo di ulteriori trenta giorni. Le aziende ed enti, ove non ostino specifiche esigenze di servizio, agevolano la concessione dell’aspettativa, anche in deroga alle previsioni del comma 2 del medesimo art. 10 Area IV e Area III con riferimento alla sola dirigenza sanitaria e delle professioni sanitarie) “è altresì concessa” al dirigente con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, a domanda, per:
- “un periodo massimo di sei mesi se assunto presso la stessa o altra azienda ovvero ente o amministrazione del comparto, con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed incarico di direzione di struttura complessa, ai sensi degli artt. 15 e segg, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502”;
- “tutta la durata del contratto di lavoro a termine se assunto con rapporto di lavoro ed incarico a tempo determinato presso la stessa o altra azienda o ente del comparto, ovvero in altre pubbliche amministrazioni di diverso comparto” (“l’aspettativa prevista dall’art. 23 bis del d.lgs. 165 del 2001 per attuare la mobilità pubblico – privato si applica esclusivamente nei casi in cui l’incarico sia conferito da Organismi pubblici o privati della Unione Europea o da ospedali pubblici dei paesi dell’Unione stessa o da Organismi internazionali. L’incarico già conferito al dirigente dall’azienda o ente che concede l’aspettativa è sospeso per la durata dell’aspettativa e prosegue al suo rientro a completamento del periodo mancante sino alla valutazione. Durante l’assenza, in rapporto alla durata dell’aspettativa, si applica l’art. 18 comma 1 o 5, del CCNL 8 giugno 2000”).
- “la durata di due anni e per una sola volta nell’arco della vita lavorativa per i gravi e documentati motivi di famiglia individuati – ai sensi dell’art. 4, commi 2 e 4 della legge 53/2000 – dal Regolamento Interministeriale del 21 luglio 2000, n. 278, pubblicato sulla G. U. dell’11 ottobre 2000, serie generale, n. 238. Tale aspettativa può essere fruita anche frazionatamente e può essere cumulata con l’aspettativa di cui al comma 1 (art. 10, CCNL cit.), se utilizzata allo stesso titolo”.
Le causali alla base di tale aspettativa sono: “gravi motivi, relativi alla situazione personale, della propria famiglia anagrafica, dei soggetti di cui all’articolo 433 del codice civile anche se non conviventi, nonché dei portatori di handicap, parenti o affini entro il terzo grado, anche se non conviventi. Per gravi motivi si intendono: a) le necessità familiari derivanti dal decesso di una delle persone di cui al presente comma; b) le situazioni che comportano un impegno particolare del dipendente o della propria famiglia nella cura o nell’assistenza delle persone di cui al presente comma; c) le situazioni di grave disagio personale, ad esclusione della malattia, nelle quali incorra il dipendente medesimo; d) le situazioni, riferite ai soggetti di cui al presente comma ad esclusione del richiedente, derivanti dalle seguenti patologie: 1) patologie acute o croniche che determinano temporanea o permanente riduzione o perdita dell’autonomia personale, ivi incluse le affezioni croniche di natura congenita, reumatica, neoplastica, infettiva, dismetabolica, post-traumatica, neurologica, neuromuscolare, psichiatrica, derivanti da dipendenze, a carattere evolutivo o soggette a riacutizzazioni periodiche; 2) patologie acute o croniche che richiedono assistenza continuativa o frequenti monitoraggi clinici, ematochimici e strumentali; 3) patologie acute o croniche che richiedono la partecipazione attiva del familiare nel trattamento sanitario; 4) patologie dell’infanzia e dell’ età evolutiva aventi le caratteristiche di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 o per le quali il programma terapeutico e riabilitativo richiede il coinvolgimento dei genitori o del soggetto che esercita la potestà ” (art. 2, co.1, Regolamento Interministeriale 21 luglio 2000, n. 278).
In questi casi, infatti, stante la locuzione “è altresì concessa” l’Amministrazione è tenuta a concedere l’aspettativa. L’eventuale diniego deve perciò essere motivato in quanto la speciale previsione normativa riflette la tutela di valori costituzionali di rango primario, legati alla promozione della famiglia ed al diritto-dovere di provvedere alla cura dei figli (v. artt. 29, 30, 31 e 37 Cost.; v. anche art. 24 Carta di Nizza; art. 3, Conv. ONU 5 settembre 1991; artt. 9, 21 e 23, Carta dei Diritti fondamentali UE; art. 5, co. 1, lett. b) e art. 16, co.1, lett. d), Conv. sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, New York, 1979, rat. con L. n. 132/1985; nonché d.lgs. n. 198/2006 e la normativa contenuta nel L. n. 53/2000 – in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, nel contesto della c.d. legge sui congedi parentali -, volta a garantire il diritto del figlio sia naturale che adottivo a godere dell’assistenza materiale e affettiva di entrambi i genitori durante i primi anni di vita).
Non sembra pertanto che la peculiare qualificazione del dipendente, quand’anche effettivamente rilevante, sia di per sé sufficiente a supportare validamente il diniego, laddove non emergano, oltre alla specifica infungibilità del lavoratore stesso (in ragione delle funzioni e/o dell’incarico rivestiti presso la sede di servizio), le concrete esigenze organizzative dell’Amministrazione che rischierebbero di essere compromesse per effetto della diversa adibizione operativa del dipendente.
Tali esigenze non possono quindi essere allegate in modo generico, in quanto necessitano dell’immanente conforto di elementi di valutazione, dimostrabili, oggettivi e suscettibili di consentirne la sindacabilità in sede giurisdizionale sotto i profili del corretto apprezzamento delle circostanze fattuali, nonché della congruità e della ragionevolezza del percorso logico seguito dall’Amministrazione.
In particolare, per giustificare il suo rifiuto, l’Amministrazione è tenuta ad opporre una reale difficoltà discendente dallo spostamento dell’istante, dando immediata contezza della prevalenza degli interessi pubblici rispetto a quelli posti in bilanciamento. La sola scopertura della posizione lavorativa non può giustificare l’adozione di un provvedimento di diniego. Essa deve invece esprimere esigenze tali da giustificare il sacrificio della tutela del nucleo familiare e non può limitarsi a segnalare disagi o inconvenienti che sono sempre conseguenti al trasferimento di un dipendente, in quanto tale spostamento inevitabilmente aumenta di una unità la scopertura dell’organico. Né, le ragioni addotte dall’Amministrazione per paralizzare la pretesa del lavoratore possono esaurirsi in espressioni assertive generiche ovvero nel “nell’echeggiare luoghi comuni circa l’emergenza sanitaria”, senza comprovare l’indispensabilità e/o insostituibilità del dipendente.
Per l’adozione di un provvedimento di diniego alla richiesta di aspettativa, occorre pertanto che venga comprovata l’indispensabilità e/o insostituibilità del dipendente medesimo il cui trasferimento potrebbe arrecare irrimediabile pregiudizio all’Amministrazione.