Quando sussista una intenzione risolutiva espressa ab origine e con un effetto immediato di recedere dal rapporto, reiterata dopo il fallimento della procedura di conciliazione, l’impugnazione del primo licenziamento è valida.
Nota a Cass. (ord.) 24 marzo 2022, n. 9639
Daniele Magris
Anche se “usualmente e correttamente l’avvio della procedura di licenziamento con la comunicazione alla DTL riveste un ruolo prodromico rispetto alla successiva irrogazione della sanzione all’esito dell’infruttuoso espletamento della procedura conciliativa…: nondimeno, la complessiva valutazione dell’atteggiamento delle parti ed in particolare la stessa interpretazione letterale del contenuto della comunicazione possono indurre a conclusioni diverse sino a far ipotizzare la sussistenza di una intenzione risolutiva espressa ab origine e con un effetto illico et immediate”.
Questo, il principio espresso dalla Corte di Cassazione (ord. 24 marzo 2022, n. 9639) relativamente al ricorso di un lavoratore volto ad ottenere la declaratoria di illegittimità dei licenziamenti subiti in data 6 novembre 2014, per giustificato motivo ed impossibilità sopravvenuta ed in data 13 novembre 2014, per superamento del periodo di comporto; tale ricorso muoveva dalla comunicazione (in data 6 novembre 2014), inviata da una società alla DTL con una missiva contenente l’indicazione della propria intenzione di licenziare il dipendente per giustificato motivo oggettivo, con contestuale indicazione dei motivi.
Tale comunicazione era stata tempestivamente impugnata dal lavoratore (in data 9 dicembre 2014) con raccomandata con avviso di ricevimento. Successivamente all’esito negativo del tentativo di conciliazione, la società aveva “nuovamente” comunicato al lavoratore (in data 12 dicembre 2014) il licenziamento. Ciò, ribadendo la propria volontà interruttiva del rapporto ed affermando testualmente: “Con la presente, essendosi conclusa in data 10 dicembre 2014, con il mancato accordo, la procedura ex art. 7, L. 604/1966 come novellata dall’art. 1, co. 40 L. 92/2012, avviata con nota del 6/11/2014, le confermiamo il licenziamento irrogatole con la medesima nota, che qui si intende integralmente riportata anche per quel che riguarda le giustificazioni del recesso, con decorrenza dalla data di invio della nota del 5/11/2014, imputando il periodo intercorso a preavviso”.
Il suddetto licenziamento, secondo la Corte d’appello di Bari (29 marzo 2019), era stato “irrogato con efficacia retroattiva a decorrere dal 6 novembre (data della missiva) in ossequio al disposto dell’art. 7, L. n. 604/66 a mente del quale il licenziamento produce effetto dal giorno della comunicazione con cui il licenziamento medesimo è stato avviato”.
Per la Cassazione, invece, dalla lettura del contenuto della missiva si evince la idoneità della prima impugnativa soprattutto laddove si consideri che “l’avvio della procedura non contrasta con l’intenzione che ben poteva essere espressa già ab initio di procedere al licenziamento (ben potendo la comunicazione implicare entrambi i contenuti) ed è suffragata dalla comunicazione successiva, del 13 novembre del 2014 nella quale, procedendosi all’intimazione di un nuovo licenziamento, la società testualmente affermava: si evidenzia che il presente licenziamento non sostituisce quello precedentemente irrogatole con nota del 6/11/2014 ed innanzi richiamato, che pertanto conserva pienamente la sua validità ed efficacia, trattandosi il presente di un provvedimento espulsivo fondato su circostanze diverse e sopravvenute”.
Più specificamente, secondo i giudici, il contenuto della prima comunicazione e della successiva evidenziano un effetto risolutivo già fin dalla prima comunicazione. Risulta pertanto corretta la relativa impugnativa da parte del ricorrente “al punto che, in via del tutto ipotetica, avrebbe potuto considerarsi tardiva una successiva impugnativa, proprio alla luce della volontà così chiaramente espressa sin dall’inizio”.