Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 aprile 2022, n. 13185
Avvisi di addebito, Differenze contributive, Opposizione,
CCNL del 6.7.2006 per gli operai agricoli e florovivaisti, Base di calcolo
dell’imponibile contributivo
Rilevato in fatto
che, con sentenza depositata il 14.4.2016, la Corte
d’appello di Firenze, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato
l’opposizione proposta da A. M. avverso gli avvisi di addebito con cui l’INPS
le aveva ingiunto il pagamento di differenze contributive e sanzioni civili in
relazione agli operai agricoli a tempo determinato occupati nel primo e nel
secondo trimestre dell’anno 2007;
che avverso tale pronuncia A. M. ha proposto ricorso
per cassazione, deducendo sei motivi di censura, successivamente illustrati con
memoria;
che l’INPS ha resistito con controricorso;
Considerato in diritto
che, con il primo motivo, la ricorrente denuncia
violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 1, d.l. n. 338/1989 (conv.
con I. 389/1989), e dell’art. 40, comma 1, CCNL 6.7.2006 per gli operai
agricoli e florovivaisti, nonché dell’avviso comune di interpretazione
autentica di tale contratto del 14.1.2013, per avere la Corte di merito
ritenuto che, ai fini del calcolo dell’imponibile contributivo, la retribuzione
degli operai agricoli a tempo determinato dovesse essere rapportata ad un
orario normale di 6,30 ore settimanali e non anche alle ore effettivamente
lavorate da costoro, anche se di numero inferiore;
che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta
violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, comma 1°, 1363 e 1367 c.c., in relazione al contratto
collettivo provinciale di lavoro del 20.7.2004 per la provincia di Grosseto e
al verbale d’interpretazione autentica del medesimo del 20.11.2012, per non
avere la Corte territoriale attribuito rilevanza, nell’interpretazione delle
sue disposizioni, ai canoni ermeneutici prescritti dalle norme invocate;
che, con il terzo motivo, la ricorrente si duole di
violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 16, comma 1, lett. g), d.lgs.
n. 66/2003, anche in relazione alla direttiva n. 2000/34/CE, per avere la Corte
di merito ritenuto che la necessità di rapportare all’orario normale di lavoro
la retribuzione imponibile per il calcolo dei contributi dovuti per l’impiego
di operai agricoli a tempo determinato discendesse dall’obbligo di
interpretazione comunitariamente conforme;
che, con il quarto motivo, la ricorrente deduce
violazione e falsa applicazione della direttiva 99/70/CE e comunque del d.lgs.
n. 368/2001, per avere la Corte territoriale ritenuto che nello stesso senso
militasse il divieto di non discriminazione dei lavoratori a termine di cui
alla clausola 4 della direttiva cit.;
che, con il quinto motivo, la ricorrente si duole
che la Corte di merito abbia reputato inammissibile, siccome nuova, la domanda
volta all’applicazione delle agevolazioni contributive, ancorché la stessa
fosse stata proposta fin dal primo grado di giudizio e ritualmente riproposta
in grado di appello;
che, con il sesto motivo, la ricorrente lamenta
violazione e falsa applicazione dell’art. 116, I. n. 388/2000, per non avere la
Corte territoriale disposto la riduzione delle sanzioni applicate dall’INPS,
nonostante l’obiettiva difficoltà d’interpretazione della normativa di settore;
che il primo, il terzo e il quarto motivo possono
essere esaminati congiuntamente, in considerazione dell’intima connessione
delle censure;
che, al riguardo, va premesso che l’art. 30, comma
1, CCNL 6.7.2006 per gli operai agricoli e florovivaisti, nel prevedere che
“l’orario di lavoro è stabilito in 39 ore settimanali pari ad ore 6,30
giornaliere”, si limita ad individuare il limite massimo dell’orario
normale settimanale e, specularmente, di quello giornaliero, calcolato come
parte aliquota di quello settimanale, senza tuttavia dettare alcuna previsione
circa l’orario minimo giornaliero esigibile dal prestatore di lavoro;
che il successivo art. 40, nel prevedere, al comma
1, che “l’operaio a tempo determinato ha diritto al pagamento delle ore di
lavoro effettivamente prestate nella giornata”, detta una norma
logicamente incompatibile con il concetto di orario di lavoro settimanale e di
orario giornaliero, atteso che svincola la retribuzione dovuta dal riferimento
ad un tempo di lavoro precostituito ed individuabile in termini generali e
astratti;
che tale ultima previsione, ispirata alle
specificità e peculiarità proprie del lavoro agricolo a tempo determinato,
risulta affatto coerente con la norma di cui all’art. 16, comma 1, lett. g),
d.lgs. n. 66/2003, il quale, nel dare attuazione alle direttive 93/104/CE e
2000/34/CE, stabilisce che gli operai agricoli a tempo determinato sono esclusi
dall’ambito di applicazione della disciplina della durata settimanale
dell’orario normale di lavoro di cui al precedente art. 3, a sua volta fissata
in 40 ore settimanali (salva la previsione di maggior favore dei contratti
collettivi);
che a diverse conclusioni non può giungersi nemmeno
considerando il successivo comma 2 dell’art. 40 CCNL cit., che stabilisce che
“in caso di interruzioni dovute a causa di forza maggiore, le ore di
lavoro non prestate saranno retribuite solo ed in quanto il datore di lavoro
abbia disposto che l’operaio rimanga nell’azienda a sua disposizione”, dal
momento che, lungi dal generalizzare anche a beneficio dell’operaio agricolo a
tempo determinato una previsione di orario normale, esso attesta semplicemente
l’obbligo di remunerare non solo il lavoro effettivamente svolto, ma altresì (e
soltanto) le ore in cui il datore di lavoro, nonostante l’incombere di cause di
forza maggiore ostative all’esecuzione della prestazione, abbia nondimeno
disposto che l’operaio agricolo a tempo determinato rimanga a sua disposizione;
che l’art. 1, comma 1, d.l. n. 338/1989 (conv. con
I. n. 389/1989), stabilisce che la retribuzione da assumere come base per il
calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere
inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti,
contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più
rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti
individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello
previsto dal contratto collettivo;
che, nell’interpretare tale disposizione, questa
Corte, oltre a chiarire che essa ha aggiunto al previgente principio secondo
cui l’imponibile si determina sul “dovuto” (e non su quanto “di
fatto erogato”) il nuovo ed ulteriore criterio del “minimale
contributivo”, ha precisato che la norma da essa desumibile opera
esclusivamente nell’ambito del rapporto contributivo, che è affatto autonomo
rispetto al rapporto di lavoro, di talché la fissazione del “dovuto”
sul piano previdenziale non esplica alcuna influenza sul diverso problema della
determinazione del “dovuto” sul piano del rapporto di lavoro (così
Cass. n. 12122 del 1999 e numerose succ. conf.);
che, nel caso di specie, è affatto incontroverso che
l’odierna parte ricorrente abbia corrisposto i contributi calcolati sulle ore
“effettivamente prestate” dai lavoratori agricoli a tempo
determinato;
che un diverso “dovuto”, in termini di
“minimale contributivo”, non è nemmeno desumibile dall’art. 30, comma
1, CCNL cit., dal momento che un’ovvia applicazione del canone ermeneutico di
cui all’art. 1363 c.c. impone di ritenere che la previsione ivi contenuta
dell’orario normale di lavoro, benché formulata in termini generali e dunque
apparentemente riferibile anche agli operai agricoli a tempo determinato, sia
comunque incompatibile con il diverso regime che per costoro detta
specificamente il successivo art. 40, comma 1, CCNL cit., che – come s’è detto
– non è logicamente compatibile con alcuna nozione di orario normale di lavoro;
che a contrarie conclusioni non è dato pervenire
nemmeno considerando la giurisprudenza comunitaria citata nella sentenza
impugnata in tema di divieto di non discriminazione dei lavoratori a termine di
cui alla clausola 4 della direttiva 99/70/CE, dal momento che – in disparte le
considerazioni sviluppate nel ricorso per cassazione circa la rilevanza della
previsione della clausola 4.3 della direttiva cit., secondo cui “le
disposizioni per l’applicazione di questa clausola saranno definite dagli Stati
membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o dalle parti sociali
stesse, viste le norme comunitarie e nazionali, i contratti collettivi e le
prassi nazionali” – detto divieto attiene al rapporto di lavoro inter
partes e può, a tutto concedere, legittimare eventuali pretese del lavoratore
di ottenere più di quanto in concreto corrispostogli, ma non certo l’ente
previdenziale ad una diversa e maggiore pretesa in termini di contributi
previdenziali, esulando la materia del rapporto contributivo dalle previsioni
del diritto dell’Unione;
che analogamente deve dirsi in riferimento alle
previsioni delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE, che peraltro – come
correttamente rilevato nel ricorso per cassazione – disciplinano esclusivamente
l’orario massimo di lavoro esigibile, ma nulla dicono né in ordine all’orario
normale né tampoco in termini di orario minimo garantito al prestatore di
lavoro;
che, dovendo concludersi nel senso che i contributi
previdenziali dovuti dal datore di lavoro agricolo sui corrispettivi
corrisposti agli operai agricoli a tempo determinato vanno calcolati, ai sensi
del combinato disposto dell’art. 1, comma 1, d.l. n. 338/1989 (conv. con I. n.
389/1989), e dell’art. 40 CCNL 6.7.2006, esclusivamente sulle ore
effettivamente lavorate, salvo che in concreto risulti che, in occasione di
interruzioni dovute a causa di forza maggiore, il datore di lavoro abbia
disposto che l’operaio rimanga nell’azienda a sua disposizione, la sentenza
impugnata, assorbiti il secondo, il quinto e il sesto motivo, va cassata e la
causa rinviata alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, che
provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione;
P.Q.M.
accoglie il primo, il terzo e il quarto motivo di
ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa
alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, che provvederà anche
sulle spese del giudizio di cassazione.