Lo spostamento temporaneo del dipendente pubblico in altra sede situata nella medesima Regione o Provincia in cui lavora l’altro genitore riguarda ciascun figlio di età inferiore a tre anni e non è intesa in senso cumulativo.
Nota a Trib. Napoli 14 febbraio 2022
Maria Novella Bettini
Il periodo di assegnazione temporanea – previsto (ex art. 42-bis, D.LGS. n. 151/2001) per il genitore con figli minori fino a tre anni di età dipendente di amministrazioni pubbliche (di cui all’art. 1, co. 2, D.LGS. n. 165/2001) – presso una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa, è riconosciuto per ciascun figlio e non va inteso in senso cumulativo. Pertanto, l’avvenuta fruizione dell’assegnazione temporanea per un figlio non può costituire, per l’Amministrazione, valido motivo per respingere l’istanza, ex art. 42 bis cit., proposta con riferimento ad un secondo figlio, anch’esso presente nel nucleo familiare e in età inferiore a tre anni.
Questo, il principio sancito dal Tribunale di Napoli (14 febbraio 2022) in linea con il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa (v. TAR Lombardia, n. 2748/2021, n. 1042/2021 e n. 962/2018).
La Corte muove dall’interpretazione dell’art. 42-bis, D.LGS. n. 151/2001, rilevando come la disposizione non configuri, a favore del dipendente-genitore, nei confronti della PA né un diritto assoluto né un diritto potestativo all‘assegnazione ad una sede di servizio diversa da quella di appartenenza e dislocata nella Regione o Provincia ove ha la sede di servizio l’altro genitore.
Tale interpretazione discende sia dall’utilizzo del verbo “può”, impiegato dalla norma in questione, al fine di individuare la natura del potere e non del dovere dell’Amministrazione, sia dalla previsione di un previo assenso da parte della sede di servizio. Tale assenso, infatti, implica la possibilità di un dissenso.
La legge impone altresì che l’eventuale diniego di tale assegnazione da parte della PA sia “motivato”, senza, tuttavia, specificare “in ordine a quali fatti o circostanze devono segnatamente formare oggetto di una tale motivazione ovvero essere nella stessa contenuti”.
L’art. 14, co.7, L. n. 124/2015 ha poi aggiunto alla previsione dell’obbligo di motivazione l’ulteriore condizione che il rigetto sia “limitato a casi ed esigenze eccezionali”.
L’obbligo di motivazione e le condizioni eccezionali del diniego riflettono la tutela di valori costituzionali di rango primario, legati alla promozione della famiglia ed al diritto-dovere di provvedere alla cura dei figli (v. artt. 29, 30, 31 e 37 Cost.; v. anche art. 24 Carta di Nizza; art. 3, Conv. ONU 5 settembre 1991; artt. 9, 21 e 23, Carta dei Diritti fondamentali UE; art. 5, co. 1, lett. b) e art. 16, co.1, lett. d), Conv. sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, New York, 1979, rat. con L. n. 132/1985; nonché D.LGS. n. 198/2006 e la normativa contenuta nella L. n. 53/2000 – in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, nel contesto della c.d. legge sui congedi parentali -, volta a garantire il diritto del figlio sia naturale che adottivo a godere dell’assistenza materiale e affettiva di entrambi i genitori durante i primi anni di vita).
Resta così escluso, secondo i giudici, “che la peculiare qualificazione del dipendente, quand’anche effettivamente rilevante, sia ex sè sufficiente a validamente supportare il diniego, laddove non formino oggetto di congrua emersione non soltanto la specifica infungibilità del lavoratore stesso (in ragione, appunto, delle funzioni e/o dell’incarico rivestiti presso la sede di servizio a qua), ma anche le concrete esigenze organizzative dell’Amministrazione che rischiano di essere compromesse per effetto della diversa adibizione operativa del dipendente”.
Tali esigenze “non possono essere allegate in modo generico, ma necessitano dell’immanente conforto di dimostrabili ed oggettivi elementi di valutazione, suscettibili di consentirne la sindacabilità della sede giurisdizionale sotto i profili del corretto apprezzamento delle circostanze fattuali, nonché della congruità e della ragionevolezza del percorso logico seguito dall’Amministrazione”.
In particolare, per giustificare il provvedimento di diniego, l’Amministrazione è tenuta ad opporre una reale difficoltà discendente dallo spostamento dell’istante, dando immediata contezza della prevalenza degli interessi pubblici rispetto a quelli posti in bilanciamento. La sola scopertura della posizione lavorativa non può giustificare l’adozione di un provvedimento di diniego, anche se può costituire “l’argomento principale che l’Amministrazione nell’ambito di una complessiva valutazione può opporre ad una richiesta come quella di cui qui si controverte” (Tar Lazio n. 1516/2022).
Essa deve cioè esprimere esigenze realmente eccezionali, tali da giustificare il sacrificio della tutela del nucleo familiare e non può limitarsi a segnalare disagi o inconvenienti che sono sempre conseguenti al trasferimento di un dipendente, in quanto tale spostamento inevitabilmente aumenta di una unità la scopertura dell’organico (in tal senso, Tar Trento, n. 27/2019 e Tar Lazio n. 423/2018). Le ragioni addotte dall’Amministrazione per paralizzare la pretesa del lavoratore non possono inoltre esaurirsi in espressioni assertive generiche ovvero nel “nell’echeggiare luoghi comuni circa l’emergenza sanitaria”, senza comprovare l’indispensabilità e/o insostituibilità del dipendente.
Le circostanze eccezionali devono riguardare, insomma, la specifica posizione lavorativa del prestatore. E’ pertanto necessario “che venga comprovata l’indispensabilità e/o insostituibilità del dipendente medesimo il cui trasferimento potrebbe arrecare irrimediabile pregiudizio all’amministrazione (Tar Bolzano 19 dicembre 2018, n. 358; Cons. Stato, sez. III, 1 aprile 2016, n. 1317; Tar Lombardia, Milano, sez. III, 4 maggio 2018, n. 1208; v. anche per la casistica più dettagliata, con riferimento alle percentuali di scopertura e alle condizioni di emergenza ovvero di insostituibilità per peculiarità della qualifica o della professionalità, Cons. Stato 11 febbraio 2022, n. 1025; Cons. Stato, Sez. IV, 15 febbraio 2021, n. 1368; id. Sez. IV, 16 febbraio 2021, n. 1418; id. Sez. IV, 7 febbraio 2020, n. 961; id. 24 gennaio 2022 n. 475)”.
Legenda:
L’art. 42 bis, D.LGS. n. 151/2001 (Assegnazione temporanea dei lavoratori dipendenti alle amministrazioni pubbliche (inserito dall’art. 3, co. 105, della L. 24 dicembre 2003, n. 350) recita:
“1. Il genitore con figli minori fino a tre anni di età dipendente di amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, può essere assegnato, a richiesta, anche in modo frazionato e per un periodo complessivamente non superiore a tre anni, ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa, subordinatamente alla sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva e previo assenso delle amministrazioni di provenienza e destinazione. L’eventuale dissenso deve essere motivato e limitato a casi o esigenze eccezionali. L’assenso o il dissenso devono essere comunicati all’interessato entro trenta giorni dalla domanda (co. modificato dall’art. 14, co. 7, L. 7 agosto 2015, n. 124.).
2. Il posto temporaneamente lasciato libero non si renderà disponibile ai fini di una nuova assunzione”.