Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 aprile 2022, n. 13183
Rapporto di lavoro, Art. 4 Cap. III CCNL chimici,
Superiore inquadramento, Demansionamento, Mobbing, Esclusione
Rilevato che
con sentenza in data 12 aprile 2018, la Corte
d’appello di Roma ha confermato la decisione del Tribunale di VeIletri che
aveva respinto la domanda di superiore inquadramento e risarcimento del danno
da mobbing avanzata da N.D.L. nei confronti della A. S.p.a., sua precedente
datrice di lavoro, e dell’attuale datrice E. S.p.a. presso la quale era
transitato per trasferimento d’azienda;
aveva dichiarato in primo grado il ricorrente di
aver iniziato ad espletare la propria attività lavorativa presso la E. S.p.a. nel
dicembre 1992 e di essere stato assegnato al progetto V., finanziato
dall’A.S.I., finalizzato alla progettazione e alla realizzazione di un vettore
spaziale per il lancio in orbita di satelliti di piccole dimensioni;
era stato, quindi, chiamato ad occuparsi del sistema
GNC del lanciatore (sistema di Guida, Navigazione e Controllo del vettore)
presso il laboratorio avionico HWIL con il molo di Responsabile Tecnico del
laboratorio medesimo;
negli anni 1996/1997 gli era stato affidato il ruolo
di focal point del team avionico costituito nel 1997 nel cui ambito egli aveva
la responsabilità del laboratorio HWIL con attribuzione di compiti non di sua
competenza quali la cronologia e le operazioni di lancio e le specifiche per la
predisposizione dei documenti tecnici;
ha aggiunto di essere stato referente di tutte le
comunicazioni riguardanti il sistema GNC e di aver avuto l’incarico di
acquistare in piena autonomia un calcolatore per il progetto V.;
per il periodo successivo, a decorrere dal 1998,
aveva evidenziato l’intervenuta riorganizzazione societaria, con conseguente
scissione nella V. Spazio e nella Cyclone, partecipata da Ucraini, con
l’obiettivo di rimodernare il vecchio lanciatore russo Cyclone;
egli era stato assegnato, unitamente a tutto il
personale addetto al GNC, al programma Cyclone ma il laboratorio HWIL di cui
era responsabile e che sarebbe stato necessario per lo sviluppo del sistema GNC
era stato inspiegabilmente chiuso e lui stesso era stato trasferito al settore
sperimentazione, ente preposto all’esecuzione di test su componenti nel quale
non era necessaria la figura del progettista;
chiedeva, quindi, per il primo periodo il
riconoscimento della superiore qualifica Al rispetto a quella A3
riconosciutagli lamentando, in ordine al secondo periodo, il demansionamento e
il mobbing ai suoi danni;
la Corte, quanto al richiesto inquadramento
superiore, ha ritenuto l’insufficienza degli elementi probatori offerti
reputando, in particolare, inidonea l’affermazione del ricorrente relativa alla
peculiare rilevanza del lavoro svolto per essere il sistema GNC tra i “prodotti
più complessi”, trattandosi di valutazione di parte in assenza di ulteriori
elementi di specificazione in ordine alla declaratoria richiesta onde provare
l’espletamento di mansioni superiori;
quanto al secondo periodo, la Corte ha escluso che
l’assegnazione al settore sperimentazione, affiancata da altri compiti di
maggiore responsabilità e importanza potesse configurare il lamentato
demansionamento, precisando che la qualifica di partenza doveva reputarsi
comunque quella originaria di inquadramento e non quella superiore invocata ed
ha concluso, quindi, anche per il difetto di prova in ordine al lamentato
mobbing assenza di elementi identificativi dello stesso;
per la cassazione della pronunzia propone ricorso
N.D.L., affidandolo a cinque motivi;
resistono, con controricorso, la A. S.p.A. e la
Spacelab S.p.A. (già E. S.p..), D.L. e A. S.p.A. hanno presentato memorie.
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso si denunzia la violazione
degli artt. 112, 115
e 421 cod. proc. civ., per l’omessa
applicazione del potere – dovere istruttorio da parte della Corte, nonché degli
artt. 416 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ.. in relazione all’omessa presa di
posizione nelle memorie difensive sui fatti dedotti in ricorso;
con il secondo motivo si censura la decisione
impugnata sui punti del demansionamento e del mobbing allegandosi la violazione
degli artt. 1218, 1175,
1176 cod. civ., 113
cod. proc. civ., in relazione agli artt. 2103
comma 1, 2087 cod. civ. e 41 Cost. deducendosi, in particolare, non essere
stato provato dal datore l’esatto adempimento dei propri obblighi ai sensi
dell’art. 2103 cod. civ.;
con il terzo motivo si allega, con riguardo al
richiesto superiore inquadramento, la violazione- dell’art. 4 Cap. III CCNL chimici,
nonché – degli artt. 1362 e 1375 cod. civ., deducendosi, altresì, l’omesso
esame di fatti decisivi con particolare riferimento al ritenuto carattere
soggettivo delle valutazioni svolte con riguardo alle mansioni espletate;
con il quarto motivo si allega ancora la violazione
dell’art. 4 Cap. III CCNL
chimici, nonché dell’art. 2103 cod. civ.,
allegandosi, altresì, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 comma 4 cod. proc. civ. sempre con
riguardo al diverso e superiore inquadramento richiesto;
con il quinto motivo si deduce la violazione degli artt. 41 Cost., 2104
cod. civ., nonché 112 allegandosi, altresì
la violazione degli artt. 88-89 cod. proc. civ. e 331
cod. proc. pen. (whistleblowing e obbligatorietà dell’azione penale);
il primo motivo non può trovare accoglimento;
va premesso, con riguardo alla prima censura,
concernente la violazione dell’art. 112 cod. proc.
civ., che, perché possa parlarsi di omessa pronuncia, secondo la
giurisprudenza dà legittimità (Cfr., explurims, fra le più recenti, Cass. n. 5730 del 03/03/2020) occorre che sia
stato completamente omesso il provvedimento indispensabile per la soluzione del
caso concreto, ciò che si verifica quando il giudice non decide su alcuni capi
della domanda, che siano autonomamente apprezzabili, o sulle eccezioni
proposte, ovvero quando pronuncia solo nei confronti di alcune parti;
con riguardo al denunziato mancato esercizio dei
poteri istruttori officiosi con riguarda alla ritenuta assenza di contestazione
di quanto allegato in ricorso circa lo svolgimento di mansioni superiori, va
rilevato in primo luogo che l’attivazione dei poteri istruttori d’ufficio del
giudice non può mai essere volta a superare gli effetti derivanti da una
tardiva richiesta istruttoria delle parti o a supplire ad una carenza
probatoria in funzione sostitutiva degli oneri di parte, in quanto l’art. 421 c.p.c., in chiave di contemperamento del
principio dispositivo con le esigenze di ricerca della verità materiale – quale
caratteristica precipua del rito speciale – consente l’esercizio dei poteri
ufficiosi allorquando le risultanze di causa offrano già significativi dati di
indagine, al fine di superare lo stato di incertezza dei fatti costitutivi dei
diritti di cui si controverte (sul punto, Cass. n. 23605 del 2020);
si aggiunga a ciò che i poteri istruttori non
possono essere attivati per colmare le lacune inerenti ai fatti costitutivi del
diritto, in quanto oggetto di onere probatorio gravante precipuamente sulla
parte e non possibile oggetto di attività suppletiva per mezzo dell’utilizzo dei
poteri officiosi del giudice, mentre la stessa mancata ammissione di un mezzo
istruttorio – non censurata nella specie – può tradursi in un vizio della
sentenza soltanto qualora il giudice ponga a fondamento della propria decisione
l’inosservanza dell’onere probatorio ex art. 2697
c.c., benché la parte abbia offerto di adempierlo;
si duole, – d’altro canto, parte ricorrente di una
erronea valutazione delle dichiarazioni testimoniali, giudicate a suo avviso
apoditticamente inattendibili, senza considerare, tuttavia, che in sede di
ricorso per cassazione, una questione di violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod.
proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale
istruttorio compiuta dal.giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché
si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non
dedotte dalle parti, ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali,
o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle,
prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli
senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione
(cfr. Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014
n. 13960; Cass, Sez. Un. 30.09.2020 n. 20867);
anche il secondo motivo non può essere accolto;
quanto al lamentato mobbing, parte ricorrente allega
l’erroneità dell’iter motivazionale della decisione di secondo grado, assumendo
che incomba sul datore di lavoro l’onere di dimostrare l’esatto adempimento
degli obblighi di natura datoriale ai sensi dell’art.
2103 cod. civ.. ma, come noto, ai fini della configurabilità di una ipotesi
di mobbing, non è condizione sufficiente l’accertata esistenza di una,
dequalificazione o di plurime condotte datoriali illegittime, essendo a tal
fine necessario che il lavoratore alleghi e provi, con ulteriori e concreti elementi,
che i comportamenti datoriali siano il frutto di un disegno persecutorio
unificante, preordinato alla prevaricazione (ex plurimis, Cass. n. 10992 del
2020) e tale disegno è stato escluso, in fatto, dalla Corte d’appello con
valutazione che, esente da vizi logici, non può essere rivisitata in sede di
legittimità;
con riguardo à tutte le deduzioni inerenti
all’asserita violazione degli artt. 1218, 1173, 1176, 2087, 2103, 2104 cod. civ. 41
Cost., 88-89
cod. proc. civ., e 331 cod. proc. pen.,
sebbene parte ricorrente lamenti una violazione di legge, in realtà le
argomentazioni da essa sostenute si limitano a criticare sotto vari profili la
valutazione compiuta dalla Corte d’appello, con doglianze intrise di
circostanze fattuali, mediante un pervasivo rinvio ad aspetti rientranti
pienamente nel vizio di motivazione atteso che per costante giurisprudenza di
legittimità, (cfr, fra le più recenti, Cass. n. 20335
del 2017, con particolare riguardo alla duplice prospettazione del difetto
di motivazione e della violazione di legge) il vizio relativo all’incongruità
della motivazione di cui all’art. 360, n. 5, cod.
proc. civ., comporta un giudizio sulla ricostruzione del fatto
giuridicamente rilevante e sussiste qualora il percorso argomentativo adottato
nella sentenza di merito presenti lacune ed incoerenze tali da impedire
l’individuazione del criterio logico posto a fondamento della decisione, o
comunque, qualora si addebiti alla ricostruzione di essere stata effettuata in
un sistema la cui incongruità emerge appunto dall’insufficiente,
contraddittoria o omessa motivazione della sentenza, mentre, invece, attiene
alla violazione di legge la deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del
provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di
legge implicando necessariamente una attività interpretativa della stessa,
circostanza non ricorrente nel caso di specie;
con particolare riferimento, poi, alle censure
prospettate nel terzo e nel quarto motivo, da esaminarsi congiuntamente per
ragioni logico – sistematiche ed afferenti al superiore inquadramento
richiesto, giova evidenziare quanto segue;
la Corte territoriale, con motivazione ampia ed
esaustiva ed effettuato il noto accertamento trifasico (cfr., tra le tante,
Cass. n. 30580 del 2019) inerente alle mansioni, ha escluso, reputando frutto
di mera “valutazione”, soggettiva del ricorrente la riconducibilità delle
stesse, per il periodo ante 1998, nell’ambito del livello A1, confermandone,
invece, la configurabilità in termini di livello A3;
in particolare, il giudice di secondo grado ha
correttamente compiuto il procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione
dell’inquadramento del ricorrente, sviluppandolo nelle tre fasi successive,
consistenti nell’accertamento in fatto delle attività lavorative concretamente
svolte, nell’individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto
collettivo di categoria e nel raffronto tra i risultati di tali due indagini;
ogni diversa valutazione si tradurrebbe in una
valutazione del fatto non consentita in sede di legittimità;
quanto al periodo successivo, (IV motivo di
censura), va rilevato che correttamente il raffronto è stato effettuato con
l’inquadramento già riconosciuto (A3) e non con quello preteso (A1) mentre deve
escludersi qualsivoglia violazione dell’art. 132,
comma 4, cod. proc. Civ., atteso che, in caso di censura per motivazione
mancante, apparente o perplessa, spetta al ricorrente allegare in modo non
generico il “fatto storico” non valutato, il “dato” testuale o extratestuale
dal quale esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato
oggetto di discussione processuale e la sua “decisività” per la definizione
della vertenza (Cass. n. 13578 del 02/02/2020);
d’altra parte, per aversi motivazione apparente
occorre che la stessa, pur se graficamente esistente ed eventualmente
sovrabbondante nella descrizione astratta della norma che regola la fattispecie
dedotta in giudizio, non consenta alcun controllo sull’esattezza e la logicità
del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo
costituzionale” richiesto dall’art. 111 comma
6 Cost. (sul punto, fra le altre, Cass. n. 13248 del 30/06/2020);
deve, infine, essere reputato non oggetto di
possibile accoglimento in quinto motivo di ricorso atteso che non si sottrae
alle valutazioni dinanzi rilevate quanto affermato da parte ricorrente con
riguardo alla ipotetica configurazione di una ipotesi di whistleblowing, atteso
che anche con specifico riguardo alla dedotta finalità del datore di lavoro di
screditare l’immagine del ricorrente per le sue denunzie sarebbe stato
necessario il raggiungimento di prova adeguata, invece del tutto difettante;
deve, quindi, concludersi che parte ricorrente non
si è conformata a quanto statuito dal Supremo Collegio in ordine alla apparente
deduzione di vizi ex artt. 360 co. 1 nn. 3 e 5
e, cioè, che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente
deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza
assoluta di motivazione e di, omesso esame circa un fatto decisivo per il
giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal
giudice di merito (cfr., SU n. 14476 del 2021);
alla luce delle suesposte argomentazioni il ricorso
deve essere respinto;
le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate
come in dispositivo;
sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.
1-bis dell’articolo 13 comma 1
quater del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
Respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente
alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite,
che liquida in complessivi euro 10.000,00 per compensi e 200,00 per esborsi,
oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002 – da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.
1 – bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.