Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 maggio 2022, n. 13895

Licenziamento disciplinare, Trasferimento a diversa sede,
Rifiuto opposto dal lavoratore, Inadempimento del datore ex art. 1460 c.c.

 

Rilevato che

 

1. la Corte d’Appello di Firenze, con la sentenza
impugnata, ha confermato – per quanto qui rileva – la pronuncia di primo grado
con cui, nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012 – era stata
respinta l’opposizione proposta da U.A. Spa avverso l’ordinanza del Tribunale
che aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento disciplinare intimato a
V.F. in data 21 settembre 2018;

2. la Corte, premesso che la F. era stata assunta
dalla società a Firenze il 3 agosto 2018 in seguito a contenzioso giudiziale,
ha evidenziato che il 10 agosto successivo era stato comunicato alla
lavoratrice il “trasferimento/assegnazione alla diversa sede di Torino” e che
la medesima aveva opposto l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c.,
“mettendosi comunque a disposizione della società nell’originaria sede
fiorentina”; ha constatato poi che, in seguito alla mancata presentazione della
F. a Forino, le era stato intimato il licenziamento disciplinare;

3. la Corte ha innanzitutto considerato
l’inadempimento della società, essendo “incontrovertibile l’illegittimità del
mancato rispetto del preavviso per non essere sussistenti le condizioni di cui
al quinto comma dell’articolo 64 del CCNL”; in base alla disciplina collettiva
richiamata “qualora particolari ragioni di urgenza non consentano di rispettare
i termini di preavviso di cui al comma che precede (riguardante il
trasferimento), il dipendente viene considerato in missione sino alla scadenza
dei suddetti termini”; la Corte ha condiviso l’assunto del Tribunale secondo
cui “delle condizioni presupposte di quella specifica eccezione negoziale il
datore di lavoro non avesse affatto reso dimostrazione: il posto nell’ufficio
di Torino era scoperto da oltre 12 mesi, senza che alcuno fosse stato chiamato
nel frattempo a coprirlo e tale rimase nonostante la mancata presa di servizio
della F.”; a fronte di tale inadempimento della società, la Corte ha
argomentato che, “come già osservato dal Tribunale in primo grado, la
lontananza della nuova sede ben giustifica a mente del principio di correttezza
e buona fede l’astensione (quanto meno temporanea) della dipendente,
soprattutto, si osserva in questa sede, se si tiene conto del contrapposto
totale silenzio serbato dal datore di lavoro sulle ragioni _

del così repentino imposto spostamento”; “del resto
– aggiunge la — Corte – la lavoratrice ha assicurato comunque la sua
disponibilità a prestare servizio a Firenze”;

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto
ricorso la società con 2 motivi; ha resistito con controricorso l’intimata;

4. la proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c. è
stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza
camerale;

 

Considerato che

 

1. il primo motivo di ricorso denuncia: “in
relazione all’art. 360 n. 3 n. 5 c.p.c.: violazione e falsa applicazione dell’art.
1460 c.c., co. 1, c.c., dell’art. 2103 c.c. e dell’art. 64 c.c.n.l. Ania e
omesso esame di un punto decisivo della controversia che è stato oggetto di
discussione delle parti”; si sostiene che non ci sarebbe stato inadempimento
della società, in quanto nella specie ricorrevano le “particolari ragioni di
urgenza” previste dall’art. 6 del contratto collettivo applicabile; si
eccepisce che la conclusione cui è giunta la Corte territoriale sarebbe “priva
di qualunque supporto probatorio”;

la censura è inammissibile sia perché invoca il n. 5
dell’art. 360 c.p.c. in una ipotesi preclusa dalla ricorrenza di una cd.
“doppia conforme” ex art. 438 ter u.c., sia perché non denuncia un errore di
diritto, quanto piuttosto mette in discussione un accertamento di fatto qual è
sicuramente la ricorrenza o meno dell’inadempimento datoriale e delle “ragioni
d’urgenza” nella fattispecie concreta;

2. con il secondo motivo, subordinatamente, si
denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 1460, comma 1, c.c.”; si
sostiene che il rifiuto apprestato dalla lavoratrice di recarsi a Torino
sarebbe contrario a buona fede perché “sproporzionato” rispetto al preteso
inadempimento datoriale”; la censura non può trovare accoglimento;

la Corte territoriale ha operato la verifica
richiesta dalla giurisprudenza di legittimità in ordine all’eccezione ex art.
1460 c.c. con un apprezzamento delle circostanze di fatto riservato ai giudici
del merito;

invero questa Corte ha sancito che l’inottemperanza
del lavoratore al provvedimento di trasferimento illegittimo deve essere
valutata, sotto il profilo sanzionatorio, alla luce del disposto dell’art.
1460, comma 2, c.c. secondo il quale, nei contratti a prestazioni
corrispettive, la parte non inadempiente non può rifiutare l’esecuzione se, avuto
riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario a buona fede; la relativa
verifica, in coerenza con le caratteristiche del rapporto di lavoro
riconducibile all’alveo dei contratti a prestazioni corrispettive, deve essere
condotta sulla base delle concrete circostanze che connotano la specifica
fattispecie nell’ambito delle quali si potrà tenere conto, in via
esemplificativa e non esaustiva, della entità dell’inadempimento datoriale in
relazione al complessivo assetto di interessi regolato dal contratto, della
concreta incidenza del detto inadempimento datoriale su fondamentali esigenze
di vita e familiari del lavoratore, della puntuale, formale esplicitazione
delle ragioni tecniche, organizzative e produttive alla base del provvedimento
di trasferimento, della incidenza del comportamento del lavoratore sulla
organizzazione datoriale e più in generale sulla realizzazione degli interessi
aziendali, elementi questi che dovranno essere considerati nell’ottica del
bilanciamento degli opposti interessi in gioco anche alla luce dei parametri
costituzionali di cui agli artt. 35, 36 e 41 Cost.; tale verifica è rimessa
all’esame del giudice di merito ed è incensurabile in cassazione se la relativa
motivazione risulti immune da vizi logici o giuridici (ex multis, in
particolare, v. Cass. n. 11408 del 2018; conf. Cass. n. 434 del 2019; Cass. n.
11180 del 2019; Cass. n. 21391 del 2019; in precedenza v. Cass. n. 4709 del
2012; Cass. n. 11118 del 2002); nella specie, rispetto al convincimento
concordemente espresso dai giudici di merito ai quali compete, l’assunto di
parte ricorrente esprime solo un’opinione dissenziente che non può condurre
alla cassazione della sentenza impugnata;

3. conclusivamente il ricorso va respinto; le spese
seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;

occorre dare atto della sussistenza dei presupposti
processuali di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come
modificato dall’art. 1, co. 17,1. n. 228 del 2012 (Cass. SS.UU. n. 4315 del
2020);

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente
al pagamento delle spese liquidate in euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per
esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115
del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello
stesso art. 13, se dovuto.

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