Le somme corrisposte a titolo di risarcimento della perdita di chance lavorative sono qualificabili come risarcimento da danno emergente e, in quanto tali, non sono fiscalmente rilevanti.
Nota a AdE Risposta 8 aprile 2022, n. 185
Francesco Palladino
In tema di demansionamento e di risarcimento del danno da perdita di chance, è stato chiarito che le somme liquidate in via equitativa dal Tribunale per risarcire il lavoratore di una lesione della sua capacità professionale sono da considerarsi non imponibili ai fini IRPEF, in quanto configurabili come danno emergente e, quindi, volte a risarcire una mera perdita economica subita dal patrimonio. Non sono, pertanto, assoggettabili a ritenuta alla fonte ai sensi dell’art. 23 del d.P.R. n. 600/1973.
Lo ha chiarito l’Agenzia delle Entrate con la Risposta ad interpello n. 185/2022. Nel dettaglio, la società istante, quale sostituto d’imposta, chiedeva all’Agenzia delle entrate se l’importo versato a favore di un suo ex dipendente a titolo di risarcimento per demansionamento, prudenzialmente assoggettato a ritenuta, dovesse considerarsi quale indennità volta a reintegrare il c.d. danno emergente e, pertanto, priva di rilevanza reddituale (ed impropriamente, quindi, assoggettato a ritenuta); o se, diversamente, dovesse ritenersi quale indennità volta a reintegrare il c.d. lucro cessante, con piena rilevanza reddituale (e, pertanto, correttamente assoggettato a ritenuta). La società riteneva che detto importo dovesse qualificarsi come danno emergente e, pertanto, la relativa ritenuta, prudenzialmente applicata dalla società, poteva essere recuperata dalla stessa attraverso la presentazione di un modello 770 integrativo.
L’Agenzia delle Entrate, investita della questione, ha ricordato in primo luogo come, ai sensi dell’art. 6, co. 2, TUIR, siano in generale imponibili le somme corrisposte al fine di sostituire mancati guadagni (cd. lucro cessante), tanto presenti, quanto futuri, del soggetto che le percepisce. Diversamente, non assumono rilevanza reddituale le indennità risarcitorie erogate al fine di reintegrare il patrimonio del soggetto, ovvero al fine di risarcire una perdita economica subita dal patrimonio (cd. danno emergente).
In tema di demansionamento, occorre tuttavia distinguere il danno patrimoniale (derivante dall’impoverimento della capacità professionale del lavoratore o dalla mancata acquisizione di maggiori capacità) con la connessa perdita di chance (ovverosia di ulteriori possibilità di guadagno), da quello non patrimoniale. Quest’ultimo comprende: sia l’eventuale lesione dell’integrità psico-fisica del lavoratore, accertabile medicalmente; sia il danno esistenziale, da intendersi come ogni pregiudizio di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno; sia infine la lesione arrecata all’immagine professionale ed alla dignità personale del lavoratore.
Secondo l’Agenzia delle Entrate, le somme che trovino titolo nella necessità di ristorare la perdita delle cosiddette “chance professionali” connesse alla privazione della possibilità di sviluppi o progressioni nell’attività lavorativa, non sono imponibili ai fini IRPEF. In base alla costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, infatti, «posto che la chance è un’entità patrimoniale, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione, la sua perdita configura un danno attuale e risarcibile (consistente non in un lucro cessante, bensì nel danno emergente da perdita di possibilità attuale), a condizione che il soggetto che agisce per il risarcimento ne provi, anche secondo un calcolo di probabilità o per presunzioni, la sussistenza» (Cass. civ. Sez. III, 21 luglio 2003, n. 11322; Cass. civ. Sez. III, 7 luglio 2006, n. 15522; Cass. civ. Sez. III Sent. 25 maggio 2007, n. 12243).
Nel caso di specie, la sentenza di condanna della società istante al pagamento delle somme in esame all’ex dipendente aveva giudizialmente accertato non solo che le mansioni di archivista svolte dal dipendente erano inferiori rispetto a quelle a lui spettanti, ma anche che esse erano state mantenute dalla società datrice per tutto il resto del rapporto di lavoro, circostanza sostanzialmente riconosciuta dalla stessa società istante.
Ciò, ad avviso del giudice, ha quindi rappresentato indubbiamente una lesione della capacità professionale del lavoratore, sicché, a parere dell’Agenzia delle entrate, le somme liquidate in via equitativa dal Tribunale adito, per la lesione della capacità professionale del lavoratore, essendo volte a risarcire la perdita economica subita dal patrimonio, non sono imponibili ai fini IRPEF e non sono altresì assoggettabili a ritenuta alla fonte ai sensi dell’art. 23, d.P.R. n. 600/1973. L’Agenzia delle Entrate ha chiarito, infine, che la società istante potrà recuperare le ritenute prudenzialmente versate all’erario attraverso la presentazione di una dichiarazione integrativa del modello 770.