L’obbligo di provvedere alla fornitura e alla manutenzione dei dispositivi di protezione individuale, ivi comprese le tute con barre catarifrangenti indossate dagli addetti alla raccolta dei rifiuti, grava anche sul datore di lavoro di fatto.
Nota a Cass. (ord.) 11 marzo 2022, n. 8042
Sonia Gioia
In materia di prevenzione degli infortuni sul luogo di impiego, l’obbligo del datore di lavoro di apprestare adeguate tutele antinfortunistiche in favore dei lavoratori subordinati sussiste indipendentemente dalla conclusione di un formale contratto di lavoro e si estende, pertanto, nei confronti di tutti gli addetti, anche solo di fatto, ad una determinata attività lavorativa.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione (ord., 11 marzo 2022, n. 8042, difforme da App. Napoli n. 3934/2016), in relazione ad una fattispecie concernente un lavoratore, dipendente di fatto di un Comune, con mansioni di addetto alla raccolta dei rifiuti differenziati (ccnl per i dipendenti di aziende municipalizzate di igiene urbana), che lamentava l’inadempimento, da parte dell’ente locale, dell’obbligo di provvedere alla manutenzione e al lavaggio del vestiario fornitogli (tute con barre catarifrangenti).
Nello specifico, la Corte distrettuale aveva respinto la richiesta di risarcimento del danno per violazione degli obblighi di sicurezza sul presupposto che il Comune, in quanto datore di lavoro di mero fatto, poteva essere ritenuto responsabile, nei confronti del dipendente, soltanto per gli eventuali crediti retributivi e contributivi ma non anche per le pretese risarcitorie, in forza dell’art. 2126 c.c., e che le divise con strisce luminose, indossate dagli addetti al prelievo dei rifiuti urbani, non erano qualificabili come dispositivi di protezione individuale (c.d. D.P.I.), con conseguente esclusione dell’obbligo datoriale di fornirle e mantenerle in efficienza.
Al riguardo, la Cassazione ha precisato che il soggetto che di fatto esercita i poteri decisionali e di spesa ed ha la responsabilità dell’organizzazione del lavoro deve predisporre ogni presidio atto a tutelare la salute e la sicurezza delle maestranze rispetto ai rischi connessi all’espletamento della prestazione di impiego, avuto riguardo al contenuto dell’attività lavorativa stessa e alle modalità di tempo e di luogo in cui viene resa (art. 2087 c.c.; artt. 2, lett. b) e 299, D. LGS. 9 aprile 2008, n. 81 e s.m.i., c.d. “Testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”).
L’obbligo datoriale di apprestare ogni tutela antinfortunistica sussiste indipendentemente dalla conclusione di un valido contratto di lavoro e si estende, perciò, sia ai prestatori che siano parte formale di un contratto di impiego che a coloro che svolgano prestazioni di lavoro di mero fatto, ai sensi dell’art. 2126 c.c. (secondo cui “La nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto e della causa. Se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione”), anche quando l’attività lavorativa sia resa senza alcun compenso o per mero spirito religioso (Cass. n. 23372/2013).
Pertanto, ove siano svolte di prestazioni di fatto, il datore di lavoro sostanziale è tenuto non solo ad erogare la retribuzione e a versare i contributi previdenziali maturati in relazione all’attività prestata ma anche ad ottemperare agli obblighi prevenzionistici, con conseguente diritto del prestatore, in caso di inadempimento, al risarcimento del danno subìto, considerato che la ratio dell’art. 2126 c.c. è quella di garantire al lavoratore “gli stessi diritti – anche ulteriori rispetto a quelli meramente retributivi e previdenziali – che egli avrebbe avuto se il rapporto fosse stato validamente instaurato”.
Con riguardo, poi, alla configurabilità a carico del datore di lavoro dell’obbligo di fornire e mantenere in efficienza le divise degli operatori ecologici, la Corte ha ribadito che devono qualificarsi dispositivi di protezione individuale non soltanto le attrezzature appositamente create e commercializzate per la protezione di specifici rischi alla salute in base a caratteristiche certificate ma anche “qualsiasi attrezzatura, complemento o accessorio che possa in concreto costituire una barriera protettiva rispetto a qualsiasi rischio per la salute e la sicurezza del lavoratore”, in conformità con la previsione di cui all’art. 2087 c.c. (art. 74, D. LGS. n. 81 cit.).
Diversamente, non costituiscono dispostivi di protezione individuale gli indumenti di lavoro non specificamente correlati alla finalità di protezione da un rischio per la salute e che assolvono esclusivamente alla funzione di uniforme aziendale o di preservare gli abiti civili del dipendente dalla ordinaria usura connessa allo svolgimento dell’attività di impiego.
Di conseguenza, le divise con barre catarifrangenti indossate dagli operatori ecologici vanno configurate come D.P.I. poiché sono volte a “proteggere i lavoratori dai pericoli connessi alla raccolta dei rifiuti in strada in concomitanza con la normale circolazione dei veicoli”, con la conseguenza che il soggetto che eserciti, anche in via di mero fatto, i poteri di direzione e controllo della prestazione di impiego è tenuto a fornire e mantenere in efficienza siffatti indumenti e ad assicurarne le condizioni di igiene, mediante la manutenzione, le riparazioni e le sostituzioni necessarie (Cass. ord. 16749/2019, in q. sito con nota di F. GIROLAMI).
In attuazione di tali principi, la Corte ha cassato la pronuncia di merito, con rinvio ad altro giudice in diversa composizione, per aver erroneamente escluso la sussistenza di obblighi risarcitori in capo al datore di lavoro sostanziale per violazione delle disposizioni antinfortunistiche e per aver ritenuto non configurabili come D.P.I. le divise degli operatori ecologici, benché finalizzate a tutelare il dipendente dai rischi connessi all’espletamento delle proprie mansioni.