La clausola pattizia che preveda, per mansioni analoghe, un compenso inferiore a quello garantito da altri CCNL similari e al tasso-soglia di povertà assoluta è nulla per contrarietà al principio costituzionale della giusta retribuzione.

Nota a Trib. Milano 22 marzo 2022, n. 673

Sonia Gioia

In materia di giusto compenso, la clausola di un accordo collettivo che preveda un trattamento retributivo inferiore a quello assicurato da altri ccnl similiari per i corrispondenti livelli di inquadramento e che sia inferiore al tasso-soglia di povertà stimato dall’Istat è illegittima per contrasto ai canoni costituzionali della sufficienza e proporzionalità della retribuzione (art. 36 Cost.).

Lo ha affermato il Tribunale di Milano 22 marzo 2022, n. 673, in relazione ad una fattispecie concernente due lavoratori, addetti ai servizi di portineria, che lamentavano una violazione del principio costituzionale della giusta remunerazione da parte della nuova società appaltatrice del servizio di portierato che, diversamente dalla precedente, applicava il ccnl per i dipendenti degli istituti e imprese di vigilanza privata e servizi fiduciari (1 febbraio 2013 – 31 dicembre 2015).

In particolare, secondo i prestatori, i minimi salariali previsti dagli artt. 23 e 24 dal predetto ccnl, così come a loro in concreto applicati, risultavano “inadeguati” ai sensi dell’art. 36 Cost., poiché nettamente inferiori a quelli garantiti dal ccnl Multiservizi, in precedenza applicato nel medesimo appalto da altri datori di lavoro, e palesemente inferiori al tasso – soglia di povertà assoluta.

Al riguardo,  la valutazione giudiziale della congruità del trattamento economico (inteso come retribuzione base e non comprensivo di altri istituti contrattuali, quali le mensilità aggiuntive) presuppone che la remunerazione del lavoratore, erogata dalla società datrice sulla base delle tariffe individuate dalla contrattazione collettiva, sia “proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro” – e non al numero di immobili o di altri beni eventualmente posseduti –  e sia “in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa”, ex art. 36 Cost.

Ai fini di siffatto accertamento, infatti, non assume alcun rilievo la situazione familiare o patrimoniale del singolo lavoratore poiché il tener conto di fattori diversi dalla retribuzione, come il numero dei componenti del nucleo familiare o l’eventuale esistenza di altri redditi in famiglia, comporta non soltanto una valutazione di parametri del tutto estranei al rapporto di lavoro, non previsti dal precetto costituzionale,  “ma finisce per determinare una disparità di trattamento a parità di condizioni di prestazioni di attività lavorativa, che rivela tutta la sua assurdità, in quanto può comportare trattamenti diseguali per quantità e qualità di lavoro eguali, prestate da lavoratori diversi” (Cass. n. 2835/1990; App. Milano n. 707/2021).

All’esito di tale valutazione, il giudice che ritenga inadeguato il trattamento economico determinato dalle parti può procedere al suo adeguamento e assumere come criterio di riferimento un contratto collettivo nazionale (o aziendale) non vincolante per quel determinato rapporto di lavoro, indicando, nella motivazione della sentenza, “i criteri di valutazione utilizzati in modo da consentire il controllo circa la correttezza e la congruità logico – giuridica della decisione” (Cass. n. 20452/2018; Cass. n. 19467/2007).

In attuazione di tali principi, il giudice ha ritenuto non proporzionata né sufficiente la retribuzione corrisposta dalla società datrice sulla base del ccnl Vigilanza, sez. Servizi Fiduciari, in ragione, per un verso, del consistente scostamento tra il compenso erogato ai lavoratori ricorrenti e quello che avrebbero percepito, a parità di mansioni e orario di lavoro, in forza di altri ccnl similiari e, in particolare, del ccnl Multiservizi, e, per l’altro, della circostanza che il valore netto del salario non consentiva ai prestatori di vivere in condizioni di non povertà, indipendentemente dall’eventuale esistenza di altri redditi nel nucleo familiare.

Sulla base di tali considerazioni, il Tribunale, accogliendo le doglianze dei prestatori, ha dichiarato la nullità degli artt. 23 e 24 ccnl Vigilanza, sez. Servizi Fiduciari, accertando il diritto dei ricorrenti a percepire un trattamento retributivo non inferiore a quello previsto dal ccnl Multiservizi, a parità di condizioni di prestazioni di lavoro, con conseguente condanna della società datrice al pagamento delle differenze retributive medio tempore maturate.

CCNL e giusta retribuzione
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