Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 maggio 2022, n. 16592

Impresa edile artigiana, Obblighi contributivi ed
assicurativi, Omesso versamento del minimale contributivo, Contratti part
time stipulati oltre il limite previsto dal ccnl, Principio di autonomia del
rapporto contributivo rispetto all’obbligazione retributiva

Rilevato che

 

la Corte di appello di Napoli ha rigettato
l’impugnazione proposta dall’INPS e da S.C.C.I. s.p.a. avverso la sentenza del
Tribunale della stessa sede che aveva accolto la domanda di C. V. volta ad
accertare l’insussistenza di obblighi contributivi ed assicurativi

nei confronti dell’INPS;

per quanto solo rileva in questa sede, la Corte di
appello ha ritenuto che il datore di lavoro non fosse tenuto al versamento del
cd. “minimale contributivo” con riferimento ai contratti part time
stipulati oltre il limite previsto dal ccnl;

avverso la decisione ha proposto ricorso per
cassazione INPS con un unico ed articolato motivo;

C. V. ha resistito con controricorso e successiva
memoria;

la proposta del relatore è stata comunicata alle
parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza non partecipata;

 

Considerato che

 

con l’unico motivo di ricorso, si deduce la
violazione del D.L. n. 244 del 1995, art. 29, conv. in L. n. 341 del 1995 e
dell’art. 97 del ceni delle imprese artigiane stipulato in data 23 luglio 2008
e falsa applicazione del D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 61, comma 3, artt. 8 e 9 ,
violazione del D.L. n. 338 del 1989, art. 1, per avere la Corte di merito ritenuto
che la violazione del limite massimo previsto dal contratto collettivo per il
ricorso al part-time, non riverberandosi in alcuna ipotesi di nullità dei
relativi contratti, non potesse far sì che i premi dovuti fossero rapportati
alla corrispondente disciplina della retribuzione imponibile: ad avviso
dell’Istituto ricorrente, infatti, la causa petendi della propria pretesa
risiederebbe esclusivamente nella corretta interpretazione del combinato
disposto del cit. D.L. n. 244 del 1995, art. 29 e della norma contrattuale
collettiva che fa divieto alle imprese di assumere operai a tempo parziale per
una percentuale superiore al 3% del totale dei lavoratori occupati a tempo
indeterminato, senza che all’uopo assuma rilievo la validità o meno dei
contratti part-time stipulati dall’azienda;

il motivo è fondato come da numerosi precedent di
questa Corte di legittimità ( ex plurimis Cass. 8794 del 2020; n. 16859, 16860,
16861 del 2020);

questa Corte, statuendo in fattispecie analoghe, ha
già avuto modo di chiarire che, nell’ambito del settore edile, l’istituto del
minimale contributivo, previsto dal D.L. n. 244 del 1995, art. 29 (conv. con L.
n. 341 del 1995), trova applicazione anche nell’ipotesi in cui siano stati
conclusi contratti part-time in eccedenza rispetto al limite previsto da una
disposizione del contratto collettivo applicabile, poiché la funzione della
predetta disposizione è quella di individuare il complessivo valore economico
delle retribuzioni imponibili di una data impresa, che, in caso di violazione
del divieto di assunzioni a tempo parziale in misura superiore ad una
determinata percentuale del totale dei lavoratori occupati a tempo
indeterminato, va commisurato alla retribuzione dovuta per l’orario normale di
lavoro anche per i lavoratori assunti part-time in violazione del predetto
divieto, a prescindere dalla circostanza che tali compensi siano stati
effettivamente corrisposti (Cass. nn. 8794 e 16859 del 2020): è infatti
evidente che, facendo divieto alle imprese di assumere operai a tempo parziale
per una percentuale superiore al 3% del totale dei lavoratori occupati a tempo
indeterminato, il contratto collettivo individua ad un tempo nella retribuzione
dovuta per l’orario normale di lavoro la misura del compenso spettante ai
lavoratori assunti a part-time oltre tale limite e dunque incrementa pro tanto
il valore complessivo delle retribuzioni imponibili ai fini del calcolo del
minimale contributivo, che è calcolo che prescinde dalla circostanza che esse
siano effettivamente corrisposte ai lavoratori occupati e fa salvi i soli casi
di (legittima) sospensione dell’attività lavorativa, non già quelli di
riduzione della medesima, in cui, permanendo il sinallagma funzionale del
rapporto e sussistendo una retribuzione, sia pur parziale, la regola del
minimale e della tassatività delle ipotesi di esclusione riprende appieno il
suo vigore (così espressamente Cass. n. 16859 del 2020, cit.);

risulta affatto irrilevante richiamare la disciplina
e l’interpretazione giurisprudenziale adottata in tema di part-time irregolare,
secondo il quale solo in caso di contratto di part-time nullo, ma che abbia
avuto nondimeno esecuzione, dovrebbe applicarsi il regime ordinario di
contribuzione che prevede anche i minimali giornalieri di retribuzione
imponibile ai fini contributivi (così Cass. S.U. n. 12269 del 2004), giacché la
commisurazione dell’imponibile contributivo alla retribuzione normale non
deriva qui da (né necessita di) una fattispecie di nullità del contratto di
lavoro part-time stipulato inter partes, ma costituisce semplicemente la
conseguenza della previsione contrattuale collettiva circa il valore economico
complessivo delle retribuzioni imponibili dell’impresa edile, che – a termini
del D.L. n. 244 del 1995, art. 29 – può essere suscettibile di abbattimento
solo nei casi di (legittima) sospensione e non già in quelli di riduzione
dell’attività lavorativa, in cui, permanendo il sinallagma funzionale del
rapporto e sussistendo una retribuzione, sia pur parziale, la regola del
minimale e della tassatività delle ipotesi di esclusione riprende appieno il
suo vigore;

una diversa interpretazione incrinerebbe la portata
del principio di autonomia del rapporto contributivo rispetto all’obbligazione
retributiva (che, come si è dianzi ricordato, concerne non soltanto l’ammontare
della retribuzione c.d. contributiva, ma altresì l’orario di lavoro da prendere
a parametro, che dev’essere l’orario di lavoro normale stabilito dalla
contrattazione collettiva o quello superiore previsto dal contratto
individuale), ma soprattutto scambierebbe per un’ipotesi di sospensione del
sinallagma funzionale del contratto quella che, a tutti gli effetti, è soltanto
un’ipotesi di riduzione dell’attività lavorativa normalmente dovuta per
contratto, la quale – giusta la previsione del cit. D.L. n. 244 del 1995, art.
29 – in tanto può modificare la misura delle obbligazioni contributive
dell’impresa in quanto sia contenuta nel limite previsto dalla contrattazione
collettiva; le considerazioni svolte, che interpretano il disposto dell’art. 29
dl. cit. secondo una logica del tutto interna al sistema previdenziale ( vd.
Cass. n. 19284 del 2017), determinano al tempo stesso la irrilevanza delle
difese addotte dal controricorrente e ribadite in memoria, che presuppongono
una rilevanza negoziale diretta del c.c.n.l di categoria;

il c.c.n.l. non trova applicazione quale
regolamentazione pattizia del rapporti di lavoro (rispetto alla quale l’INPS
sarebbe terzo) ma in quanto parametro indicato dalla legge per rappresentare il
valore del lavoro impiegato dalle imprese edili artigiane ai fini del calcolo
dell’imponibile contributivo minimo;

dunque, non assurge ad autonoma ratio deadendi
l’affermato, e discutibile, rilievo di illegittimità dell’art. 78 del contratto
collettivo nazionale di categoria del 18 giugno 2008, in quanto non riferibile
all’ambito affidato alla contrattazione collettiva dall’art. 1, co. 3, d.lgs.
n. 61/2000, (limitato alla possibilità di “determinare condizioni e
modalità della prestazione lavorativa), tale rilievo fornisce solo una diversa,
rispetto a quella prospettata dal ricorrente, ricostruzione interpretativa
della normativa applicabile alla concreta fattispecie, del tutto incompatibile
ed alternativa con quella illustrata in ricorso e, per tale ragione, è dal
medesimo pienamente attinta con consequenziale effetto impeditivo del formarsi
di un giudicato interno;

allo stesso modo è infondato il rilievo di
improcedibilità ( ex art. 366 c.p.c.), del ricorso per l’omessa riproduzione ed
allegazione del c.c.n.l. indicato, posto che il medesimo ricorso non è fondato
sulla richiesta applicazione del c.c.n.l., ma bensì delle disposizioni di legge
sul minimale contributivo, che vengono integrate dalla disposizione dell’art.
78 del c.c.n.l. il cui contenuto è stato riportato in sentenza e non è
contestato tra le parti; in definitiva, il ricorso va accolto e, non essendosi
i giudici di merito attenuti all’anzidetto principio di diritto, la sentenza
impugnata va cassata e la causa rinviata per nuovo esame alla Corte d’appello
dì Napoli, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del
giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

 

accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e
rinvia la causa alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, che
provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 maggio 2022, n. 16592
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