La previsione di un’insussistenza “manifesta” del motivo addotto a fondamento del licenziamento è incostituzionale.
Nota a Corte Cost. 19 maggio 2022, n. 125
Francesco Belmonte
Ai fini dell’applicazione della tutela reale, di cui all’art.18, co. 7, secondo periodo, L n. 300/70 – come modificato dalla L. 28 giugno 2012, n. 92 (c.d. Riforma Fornero) – il giudice non deve accertare che l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo sia “manifesta”, in quanto una simile locuzione contrasta con l’art. 3 Cost.
Così si è pronunciata la Consulta (19 maggio 2022, n. 125), nell’ambito di una questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Ravenna (ord. n. 97/2021, annotata in q. sito da F. BELMONTE), in relazione ad un giudizio di opposizione avverso un’ordinanza di reintegrazione di un lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo.
In particolare, il Tribunale dubita della conformità al dettato costituzionale della previsione statutaria «nella parte in cui prevede che, in caso di insussistenza del fatto, per disporre la reintegra occorra un quid pluris rappresentato dalla dimostrazione della “manifesta” insussistenza del fatto stesso», fondante il recesso economico.
La Corte ha accolto le eccezioni sollevate dal giudice rimettente, evidenziando come Il criterio prescelto dal legislatore – per accedere al rimedio in forma specifica nel caso di licenziamento illegittimo – si presta ad incertezze applicative (v. Cass. n. 14021/2016), suscettibili di condurre a soluzioni difformi, con conseguenti ingiustificate disparità di trattamento.
La Consulta fonda le sue argomentazioni richiamando suoi precedenti in materia, recentemente ribaditi dalla pronuncia n. 59 del 2021 (annotata in q. sito da F. BELMONTE), con cui i Giudici hanno reso “certa” la reintegrazione c.d. debole per i licenziamenti economici, ai sensi dalla medesima disposizione statutaria (art. 18, co. 7, secondo per., Stat. Lav.) vagliata dalla sentenza in commento.
Nella sentenza n. 59 del 2021, la Corte ha affermato “che il diritto del lavoratore di non essere ingiustamente licenziato si fonda sui principi enunciati dagli artt. 4 e 35 Cost. e sulla speciale tutela riconosciuta al lavoro in tutte le sue forme e applicazioni, in quanto fondamento dell’ordinamento repubblicano (art. 1 Cost.).”
“L’attuazione di tali principi è demandata alle valutazioni discrezionali del legislatore … chiamato ad apprestare un equilibrato sistema di tutele.”
Tuttavia, «il legislatore, pur nell’ampio margine di apprezzamento di cui dispone, è vincolato al rispetto dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza (sentenza n. 59 del 2021). La diversità dei rimedi previsti dalla legge deve sempre essere sorretta da una giustificazione plausibile e deve assicurare l’adeguatezza delle tutele riservate al lavoratore illegittimamente espulso, nelle quali la reintegrazione non costituisce “l’unico possibile paradigma attuativo” dei principi costituzionali (sentenza n. 59 del 2021).»
“Nell’attuazione dei principi sanciti dagli artt. 4 e 35 Cost., essenziale è il compito del giudice, chiamato a ponderare la particolarità di ogni vicenda e a individuare di volta in volta la tutela più efficace, sulla base delle indispensabili indicazioni fornite dalla legge.”
Per la Consulta, la disciplina censurata si pone in contrasto con i principi richiamati, in quanto il requisito del carattere manifesto di una insussistenza del fatto risulta, anzitutto, indeterminato.
“È problematico, nella prassi, il discrimine tra l’evidenza conclamata del vizio e l’insussistenza pura e semplice del fatto (sentenza n. 59 del 2021, punto 10.1. del Considerato in diritto). Il criterio prescelto dal legislatore si presta, infatti, a incertezze applicative (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 8 luglio 2016, n. 14021) e può condurre a soluzioni difformi, con conseguenti ingiustificate disparità di trattamento.”
“Si rivela labile la definizione di un elemento di fattispecie, che richiede un apprezzamento imprevedibile e mutevole, senza alcuna indicazione utile a orientarne gli esiti. La scelta tra due forme di tutela profondamente diverse (n.d.r. tutela reale e tutela indennitaria) è rimessa a una valutazione non ancorata a precisi punti di riferimento, tanto più necessari quando vi sono fondamentali esigenze di certezza, legate alle conseguenze che la scelta stessa determina.”
Il Giudice delle Leggi ritiene poi che “Il requisito della manifesta insussistenza demanda al giudice una valutazione sfornita di ogni criterio direttivo e per di più priva di un plausibile fondamento empirico.”
“Non solo il riferimento alla manifesta insussistenza non racchiude alcun criterio idoneo a chiarirne il senso; esso entra anche in tensione con un assetto normativo che conferisce rilievo al fatto e si prefigge in tal modo di valorizzare elementi oggettivi, in una prospettiva di immediato e agevole riscontro.”
“La sussistenza di un fatto non si presta a controvertibili graduazioni in chiave di evidenza fenomenica, ma evoca piuttosto una alternativa netta, che l’accertamento del giudice è chiamato a sciogliere in termini positivi o negativi.”
L’irragionevolezza del parametro enunciato dal legislatore si coglie anche da un’altra angolazione: esso “non ha alcuna attinenza con il disvalore del licenziamento intimato, che non è più grave, solo perché l’insussistenza del fatto può essere agevolmente accertata in giudizio.”
Il criterio in questione è poi “eccentrico nell’apparato dei rimedi, usualmente incentrato sulla diversa gravità dei vizi e non su una contingenza accidentale, legata alla linearità e alla celerità dell’accertamento.”
Per di più, “nel far leva su un requisito indeterminato e per di più svincolato dal disvalore dell’illecito, la disposizione censurata si riflette sul processo e ne complica taluni passaggi, con un aggravio irragionevole e sproporzionato. Oltre all’accertamento, non di rado complesso, della sussistenza o della insussistenza di un fatto, essa impegna le parti, e con esse il giudice, nell’ulteriore verifica della più o meno marcata graduazione dell’eventuale insussistenza.”
Infine, nel censurare la previsione in commento, la Consulta specifica, dissipando così ogni dubbio interpretativo, le ipotesi in cui il lavoratore illegittimamente licenziato è tutelato con la reintegrazione nel posto di lavoro.
In particolare, i Giudici ritengono che “il richiamo all’insussistenza del fatto vale a circoscrivere la reintegrazione ai vizi più gravi, che investono il nucleo stesso e le connotazioni salienti della scelta imprenditoriale, confluita nell’atto di recesso”, ossia: l’effettività e genuinità della decisione imprenditoriale; il nesso causale tra le scelte organizzative del datore di lavoro ed il licenziamento; ed il c.d. repêchage.
Diversamente, rientrano nell’area della tutela indennitaria le ipotesi in cui il licenziamento è illegittimo “per aspetti che, pur condizionando la legittimità del licenziamento, esulano dal fatto giuridicamente rilevante, inteso in senso stretto. In tale ambito si colloca il mancato rispetto della buona fede e della correttezza che presiedono alla scelta dei lavoratori da licenziare, quando questi appartengono a personale omogeneo e fungibile” (Cass. n. 13643/2021).