L’assegno ad personam non spetta ai docenti incaricati non confermati nel ruolo della dirigenza.
Nota a Cass. (ord.) 1 aprile 2022, n. 10630
Kevin Puntillo
La Corte di Cassazione, muovendo dagli artt. 25 e 29 del D.Lgs. n. 165/2001, con i quali è stata dettata la disciplina (speciale) della funzione dirigenziale nonché delle modalità ordinarie di reclutamento dei dirigenti scolastici, esamina il complesso di disposizioni normative (fra cui l’art. 22, L. n. 448/2001, l’art. 1 sexies, D.L. n. 7/2005, inserito dalla L. di conversione n. 43/2005) finalizzate a garantire la posizione acquisita da titolari di incarichi annuali, in favore dei quali è stata prevista, oltre alla possibilità di accedere al corso – concorso riservato, anche la conferma nell’incarico, secondo le modalità ed i criteri stabiliti dalla ordinanza ministeriale n. 40 del 2005, nonché da direttive appositamente emanate dal MIUR, in modo da consentire medio tempore la conservazione della funzione a coloro che sarebbero definitivamente transitati nella dirigenza.
Nel quadro di tali disposizioni, si è inserita la contrattazione collettiva che, a partire dal CCNL 1.3.2002, con decorrenza dal 10 settembre 2000, ha disciplinato gli aspetti economici e normativi dell’autonoma area della dirigenza scolastica, istituita, con la medesima decorrenza, dal CCNQ 9.8.2000, e da quest’ultimo «collocata nell’ambito del comparto scuola, in relazione alla previsione dell’art. 21, comma 17 della legge 59/1997» (art. 3 del CCNQ).
In base alla suddetta normativa, nell’ambito della dirigenza scolastica, a fini retributivi, sono stati affiancati al regime, per così dire ordinario, previsto per i dirigenti di nuova assunzione, due trattamenti «speciali» destinati ad esaurirsi nel tempo, riservati, rispettivamente, agli ex capi di istituto ed agli incaricati annuali divenuti dirigenti a seguito del superamento del concorso riservato, trattamenti accomunati dalla necessità di evitare che l’acquisizione della qualifica dirigenziale si risolvesse in un peggioramento del trattamento retributivo già acquisito.
Tali trattamenti non sono stati attribuiti a coloro che, pur avendo ricoperto in passato un incarico di presidenza (incarico che consentiva la partecipazione al concorso riservato a prescindere daII’attualità dell’incarico medesimo), non erano stati destinatari della conferma e, pertanto, non percepivano alcuna maggiorazione in quanto già restituiti al ruolo di docente.
Secondo la Corte, non si può sostenere che le disposizioni contrattuali abbiano determinato un’ingiustificata disparità di trattamento, mortificando la professionalità comunque acquisita dai docenti incaricati (non destinatari della conferma e, pertanto, non percipienti alcuna maggiorazione, in quanto già restituiti al ruolo di docente) essendo tale professionalità non dissimile da quella dei colleghi che al momento del passaggio ricoprivano ancora la funzione direttiva.
Inoltre, stante la peculiare natura della contrattazione disciplinata dal D.Lgs. n. 165/2001 e la funzione alla stessa assegnata dal legislatore, si deve affermare che il principio espresso dall’art. 45 del richiamato decreto (secondo il quale le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale) “opera solo nell’ambito del sistema previsto dalla contrattazione collettiva e vieta trattamenti migliorativi o peggiorativi a titolo individuale, ma non costituisce parametro per giudicare le differenziazioni operate in quella sede, in quanto la disparità trova titolo non in scelte datoriali unilaterali lesive della dignità del lavoratore, ma in pattuizioni dell’autonomia negoziale delle parti collettive, le quali operano su un piano tendenzialmente paritario e istituzionalizzato, di regola sufficiente, salva l’applicazione di divieti legali, a tutelare il lavoratore in relazione alle specificità delle situazioni concrete” (v., fra le tante, Cass. n. 6553/2019; Cass. n. 32157/2018; e Cass. n. 19043/2017).
La Cassazione precisa altresì che, in mancanza di norme inderogabili dettate dal legislatore nazionale o principi eurounitari di immediata applicazione, “la parità di trattamento non può essere invocata per sollecitare un sindacato giudiziale delle scelte operate dalla contrattazione collettiva perché a quest’ultima è stato affidato in via esclusiva il potere di definire i trattamenti retributivi dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni ed è stata lasciata alle parti sociali piena autonomia di prevedere, anche a parità di mansioni e di funzioni esercitate, trattamenti differenziati in ragione dei diversi percorsi formativi, delle specifiche esperienze maturate, delle carriere professionali nonché delle dinamiche negoziali dei diversi comparti” ( v. Cass. n. 19043/2017, cit.).