L’Agenzia ha precisato che nei casi in cui il lavoratore residente in uno Stato estero lavori fisicamente in Italia, in smart working, per un periodo superiore a 183 giorni in un anno, le somme erogate saranno oggetto di doppia imposizione; per risolvere il conflitto, lo Stato estero, in base alle convezioni, dovrà riconoscere un credito d’imposta.
Nota a AdE Risposta 27 settembre 2021, n. 626
Antonio Guidone
Con la Risposta ad interpello n. 626 del 27 settembre 2021, l’Amministrazione finanziaria ha fornito chiarimenti relativi alla tassazione delle somme percepite da un lavoratore dipendente residente all’estero che ha svolto la prestazione lavorativa in Italia, in modalità smart, per un periodo superiore a 183 giorni in un anno.
Nel caso in esame, una cittadina italiana, iscritta all’AIRE nonché dipendente di una società lussemburghese, dichiarava di aver prestato la propria attività lavorativa in Italia, da marzo 2020 ad oggi, lavorando in smart working a causa delle misure adottate per contrastare la pandemia.
Ciò premesso, l’istante chiedeva chiarimenti relativi al regime fiscale applicabile al reddito di lavoro dipendente percepito nell’anno d’imposta 2020.
Per i non residenti, l’art. 23, co.1, lettera c), del TUIR, stabilisce che si considerano prodotti in Italia «i redditi di lavoro dipendente prestato nel territorio dello Stato». Tale ultima disposizione, però, non può applicarsi tutte le volte in cui il nostro Stato stipuli una convenzione contro le doppie imposizioni con lo Stato di residenza del lavoratore, che riconosce a quest’ultimo la potestà impositiva esclusiva sul reddito di lavoro dipendente prestato in Italia.
Nella fattispecie in esame, si applica la Convezione contro le doppie imposizioni intercorrente tra l’Italia e il Granducato di Lussemburgo, stipulata a Lussemburgo il 3 giugno 1981 e ratificata con L. 14 agosto 1982, n. 747. Più in dettaglio, l’art. 15, paragrafo 1, della Convenzione prevede che i salari, gli stipendi e tutte le altre remunerazioni analoghe, percepite da un residente di uno Stato contraente quali corrispettivo dell’attività di lavoro dipendente, sono tassati solo nello Stato di residenza del beneficiario (Lussemburgo in questo caso), salvo che l’attività lavorativa sia svolta nell’altro Stato contraente (Italia in questo caso). Se si verifica quest’ultima ipotesi, le somme ricevute sono assoggettate a imposizione concorrente in entrambi i Paesi, ma lo Stato di residenza deve riconoscere un credito di imposta al contribuente per le imposte pagate nello Stato della fonte.
Quale regola speciale, però, il paragrafo 2 del medesimo art. 15, prevede la tassazione esclusiva nello Stato di residenza anche per i redditi erogati quale corrispettivo di un’attività di lavoro subordinato svolta nell’altro Stato (Italia), purché ricorrano, congiuntamente, tre condizioni:
- il beneficiario non deve soggiornare nell’altro Stato per un periodo, complessivo, superiore a 183 giorni nel corso dell’anno fiscale;
- le remunerazioni devono essere pagate da o a nome di un datore di lavoro che non è residente dello Stato in cui il lavoratore soggiorna;
- l’onere delle remunerazioni non deve essere sostenuto da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nell’altro Stato.
Con riferimento alla prestazione dell’attività lavorativa in modalità smart, l’Agenzia ha chiarito che questa si considera effettuata nel luogo in cui il lavoratore dipendente è fisicamente presente quando svolge le attività per cui è remunerato.
Combinando tali precisazioni, l’Amministrazione finanziaria ha ritenuto che il reddito percepito dal lavoratore, residente in Lussemburgo e che ha lavorato in Italia nel 2020, rilevi fiscalmente anche in Italia, ai sensi degli artt. 49 e 51 del TUIR, per aver il lavoratore dichiarato di aver soggiornato nel nostro Paese per più di 183 giorni. Non essendo, invece, soddisfatte tutte le condizioni previste dal paragrafo 2 dell’art. 15 della Convenzione, non può applicarsi la regola della tassazione esclusiva nello Stato di residenza del lavoratore.
In conclusione, il reddito sarà tassato in entrambi gli Stati e la doppia imposizione sarà risolta attraverso il riconoscimento di un credito d’imposta da parte del Lussemburgo, cioè lo Stato di residenza del lavoratore dipendente.