Giurisprudenza – CORTE COSTITUZIONALE – Sentenza 13 giugno 2022, n. 145

Lavoro, Personale dell’Amministrazione degli affari esteri,
Illegittimità costituzionale dell’art. 1-bis del DL 13 agosto 2011, n. 138
(Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo
sviluppo), convertito, con modificazioni, nella L. 14 settembre 2011, n. 148,
nella parte in cui dispone, per le fattispecie sorte prima della sua entrata in
vigore, che il trattamento economico complessivamente spettante nel periodo di
servizio all’estero, anche con riferimento allo stipendio e agli assegni di
carattere fisso e continuativo previsti per l’interno, non include l’indennità
di amministrazione

Ritenuto in fatto

 

1.- Con ordinanza del 27 novembre 2020, iscritta al
n. 43 del registro ordinanze 2021, la Corte di cassazione, sezione lavoro, ha
sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1-bis del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la
stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni,
nella legge 14 settembre 2011, n. 148, in riferimento agli artt. 3, 24, primo
comma, 39, primo comma, 101, 102, 104, 111 e 117, primo comma, della
Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata
a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955,
n. 848.

L’art. 1-bis, aggiunto in sede di conversione,
prevede che l’art. 170 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio
1967, n. 18 (Ordinamento dell’Amministrazione degli affari esteri) si
interpreta nel senso che il trattamento economico complessivamente spettante al
personale dell’Amministrazione degli affari esteri nel periodo di servizio
all’estero, anche con riferimento a «stipendio» e «assegni di carattere fisso e
continuativo previsti per l’interno», non include né l’indennità di
amministrazione né l’indennità integrativa speciale, e che, nel medesimo
periodo, al suddetto personale possono essere attribuite soltanto le indennità
previste dal citato d.P.R. n. 18 del 1967.

2.- Dinanzi alla Corte rimettente pende il
procedimento introdotto da M. L.R. e altri appartenenti al personale non
diplomatico del Ministero degli affari esteri e della cooperazione
internazionale (di seguito: MAECI), per la cassazione della sentenza della
Corte d’appello di Roma che, in riforma della sentenza di primo grado, ha
rigettato la domanda di riconoscimento dell’indennità di amministrazione nei
periodi di servizio all’estero.

2.1.- La sentenza impugnata, riferisce il giudice a
quo, ha definito la controversia facendo applicazione del sopravvenuto art.
1-bis del d.l. n. 138 del 2011, come convertito, quale norma di interpretazione
autentica dell’art. 170 del d.P.R. n. 18 del 1967 che già escludeva, durante i
periodi di lavoro all’estero, la corresponsione di indennità diverse da quelle
previste nel medesimo d.P.R. n. 18 del 1967.

2.2.- La Corte di cassazione espone in sintesi i
motivi del ricorso proposto dai dipendenti del MAECI.

Con il primo motivo è denunciata violazione o falsa
applicazione dell’art. 1-bis del d.l. n. 138 del 2011, come convertito, e
dell’art. 170 del d.P.R. n. 18 del 1967, sul rilievo della natura innovativa
della disposizione del 2011, con conseguente inapplicabilità ratione temporis
alla fattispecie oggetto di controversia.

Con i motivi dal secondo al quinto i ricorrenti
hanno eccepito, in subordine, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1-bis
del d.l. n. 138 del 2011, come convertito, che ritengono norma di
interpretazione autentica, per contrasto con gli artt. 6 CEDU e 1 del primo
Protocollo addizionale alla CEDU, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, in
relazione agli artt. 10, primo comma, e 117, primo comma, Cost., nonché agli
artt. 3, 36, 101, 102 e 104 Cost.

Con i motivi sesto e settimo i ricorrenti hanno
denunciato la violazione delle norme del CCNL del comparto Ministeri (artt. 29
e 34 del CCNL 1994/1997; 28 e 33 del CCNL 1998/2001; CCNL Integrativo 1998/2001
– biennio economico 2000/2001), evidenziando la «natura retributiva»
dell’indennità di amministrazione e la conseguente sua cumulabilità con
l’indennità di servizio all’estero, che ha natura compensativa degli oneri
economici sostenuti per il suo svolgimento.

2.3.- La Corte rimettente, quanto alla rilevanza
delle questioni di legittimità costituzionale, ritiene che la controversia non
possa essere decisa senza tenere conto dell’art. 1-bis del d.l. n. 138 del 201,
come convertito, che, nell’autoqualificarsi di interpretazione autentica dell’art.
170 del d.P.R. n. 18 del 1967, si salda al testo originario e ne indica un
preciso significato (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 174 del
2019 e n. 174 del 2016).

Il giudice a quo evidenzia inoltre che, ove le
questioni fossero accolte, la norma censurata – che predetermina l’esito della
lite – non sarebbe più applicabile e il giudizio principale dovrebbe essere
definito con l’applicazione di una diversa regola di giudizio, ricavabile da
una ricostruzione sistematica della disciplina di riferimento.

2.4.- Quanto alla non manifesta infondatezza, la
Corte rimettente premette che analoga eccezione di illegittimità costituzionale
dell’art. 1-bis del d.l. n. 138 del 2011, come convertito, formulata in altro
giudizio e con riguardo al divieto di cumulo dell’indennità di servizio
all’estero con l’indennità integrativa speciale, è stata ritenuta
manifestamente infondata (è citata Corte di cassazione, sezione lavoro,
ordinanza 17 dicembre 2019, n. 33395). Veniva in rilievo in quel caso un
emolumento – l’indennità integrativa speciale – istituito dalla legge 27 maggio
1959, n. 324 (Miglioramenti economici al personale statale in attività ed in
quiescenza), che già esisteva all’epoca dell’entrata in vigore dell’art. 170
del d.P.R. n. 18 del 1967.

Diversamente, con riguardo all’indennità di
amministrazione, l’esame congiunto della normativa contenuta nel d.P.R. n. 18
del 1967 e di quella di fonte collettiva, succedutasi a partire dal primo CCNL
del comparto Ministeri 1994/1997, fino al «blocco» della contrattazione
collettiva disposto dal decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in
materie di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica),
convertito, con modificazione, nella legge 30 luglio 2010, n. 122 e dal
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione
finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n.
111, condurrebbe ad esito opposto.

2.5.- La ricorrente richiama inoltre l’art. 45,
comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali
sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche),
secondo cui le funzioni e i relativi trattamenti economici accessori del
personale non diplomatico del MAECI sono disciplinati, per il periodo di servizio
prestato all’estero, dalle disposizioni del d.P.R. n. 18 del 1967 e successive
integrazioni e modificazioni, nonché dalle altre pertinenti norme di settore
del medesimo Ministero.

Il d.P.R. n. 18 del 1967, istitutivo dell’indennità
di servizio all’estero, all’art. 170, rubricato «Assegni e indennità»,
prevedeva, al primo comma, che il personale dell’Amministrazione degli affari
esteri, durante i periodi di lavoro all’estero, percepisse «oltre allo
stipendio e agli assegni di carattere fisso e continuativo previsti per
l’interno, compresa l’eventuale indennità o retribuzione di posizione nella
misura minima prevista dalle disposizioni applicabili, tranne che per tali
assegni sia diversamente disposto», l’indennità di servizio all’estero,
stabilita in relazione al posto di organico occupato, nonché le altre
competenze eventualmente spettanti in base alle disposizioni del medesimo
d.P.R. n. 18 del 1967.

Al secondo comma, lo stesso art. 170 stabiliva che
«[n]essun’altra indennità ordinaria e straordinaria può essere concessa, a
qualsiasi titolo, al personale suddetto in relazione al servizio prestato
all’estero in aggiunta al trattamento previsto dal presente decreto».

2.6.- La Corte rimettente precisa che
l’interpretazione dell’art. 170 del d.P.R. n. 18 del 1967 aveva dato luogo a un
contenzioso «seriale», di cui è parte anche il giudizio principale.

Con riferimento al tema, qui rilevante, della
cumulabilità dell’indennità di amministrazione con l’indennità di servizio
all’estero, era dubbia la riconducibilità della prima al novero degli «assegni
di carattere fisso e continuativo» – che il primo comma del citato art. 170
espressamente considera cumulabili con l’indennità di servizio all’estero –
oppure alle «altre indennità», la cui corresponsione nei periodi di lavoro
all’estero è vietata dal secondo comma dello stesso art. 170.

Fino all’entrata in vigore della norma censurata la
giurisprudenza di merito si era orientata prevalentemente a favore della tesi
della cumulabilità, in coerenza con la natura retributiva e non compensativa
dell’indennità di amministrazione, che la rendeva assimilabile agli «assegni a
carattere fisso e continuativo».

2.7.- La Corte rimettente evidenzia che l’indennità
di amministrazione non esisteva al tempo dell’emanazione del d.P.R. n. 18 del
1967, essendo stata istituita con il primo CCNL del comparto Ministeri firmato
il 16 maggio 1995, in attuazione della delega contenuta nell’art. 72, comma 3,
del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione
dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della
disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge
23 ottobre 1992, n. 421).

Dopo aver previsto l’abrogazione, contestualmente
alla sottoscrizione dei primi contratti collettivi, delle disposizioni che
fissavano trattamenti economici accessori comunque denominati, l’art. 72, comma
3 aveva disposto che i contratti collettivi facessero «comunque salvi i
trattamenti economici fondamentali ed accessori in godimento aventi natura
retributiva ordinaria o corrisposti con carattere di generalità per ciascuna
amministrazione o ente».

La Corte rimettente ricostruisce i passaggi
fondamentali della contrattazione collettiva sul tema, a partire dal CCNL del
16 maggio 1995, che ha configurato la struttura della retribuzione (art. 29) e
la retribuzione accessoria, introducendo l’indennità di amministrazione (art.
34), con rinvio alle tabelle allegate per l’individuazione delle quote di
retribuzione accessoria in atto presso le singole amministrazioni, negli
importi corrisposti nell’anno 1993.

Il CCNL del 16 febbraio 1999 ha poi definito la
struttura della retribuzione (art. 28) senza distinguere il trattamento
fondamentale da quello accessorio, e previsto un aumento dell’indennità di
amministrazione (art. 33), allo scopo di favorire il processo di perequazione
delle retribuzioni complessivamente spettanti al personale del comparto.

Il CCNL integrativo firmato il 16 maggio 2001 ha
modificato l’art. 33 del CCNL 16 febbraio 1999, con l’aggiunta del comma 3, nel
quale si è previsto che l’indennità di amministrazione «è corrisposta per
dodici mensilità, ha carattere di generalità ed ha natura fissa e ricorrente».

Il CCNL per il triennio 2002/2005 ha incrementato
l’indennità di amministrazione (art. 22), ancora a scopo perequativo,
precisando che gli incrementi valgono per dodici mensilità.

Il CCNL firmato il 14 settembre 2007 è nuovamente
intervenuto sull’indennità in parola (art. 31), al fine di eliminare le
differenze all’interno di ciascuna amministrazione.

2.8.- La ricognizione delle disposizioni di fonte
collettiva, che si arresta al «blocco» della contrattazione disposto nel 2010,
renderebbe evidente, secondo la Corte rimettente, che l’indennità di
amministrazione ha costituito sin dall’origine una voce della retribuzione
accessoria, riconosciuta da tutte le amministrazioni dell’ex comparto
Ministeri, seppure con importi diversificati, non essendo stato concluso il
processo di perequazione. Essa è fissa nell’ammontare in relazione a ciascuna
posizione di inquadramento, è corrisposta continuativamente per dodici
mensilità e ha carattere di generalità.

In questo senso, del resto, si è orientata la
giurisprudenza di legittimità formatasi a partire dalla sentenza delle sezioni
unite della Corte di cassazione 13 luglio 2005, n. 14698 (in senso conforme,
Corte di cassazione, sezione lavoro, ordinanza 24 luglio 2017, n. 18196).

Analogamente consolidato è l’orientamento della
giurisprudenza di legittimità in ordine alla natura compensativa dell’indennità
di servizio all’estero (ex plurimis, è citata Corte di cassazione, sezione
lavoro, sentenza 11 luglio 2016, n. 14112).

Come reso evidente dal disposto dell’art. 171 del
d.P.R. n. 18 del 1967, si tratta di indennità finalizzata a compensare i
maggiori oneri che gravano sul personale non diplomatico in ragione della
permanenza all’estero, il cui ammontare varia a seconda del costo della vita
nel luogo di permanenza, delle eventuali esigenze di rappresentanza connesse
alle funzioni esercitate, del costo degli alloggi, del personale domestico e
dei servizi, e del cambio della moneta.

3.- Secondo la Corte rimettente, la ricostruzione
fin qui svolta deporrebbe per la fondatezza dei motivi sesto e settimo del
ricorso per cassazione, che denunciano la violazione delle disposizioni dei
contratti collettivi. Tuttavia, tali motivi non sarebbero dotati di autonoma
decisività a fronte dell’introduzione della norma censurata, che ha vietato,
con effetto retroattivo, la corresponsione dell’indennità di amministrazione
durante i periodi di servizio all’estero.

Ed è proprio sul carattere retroattivo del divieto
che si incentrano le censure della Corte rimettente, che sollecita la verifica
della ragionevolezza dell’intervento legislativo e della sussistenza di «motivi
di interesse generale» che possano giustificare il sacrificio di altri valori
costituzionalmente tutelati (è richiamata, ex plurimis, la sentenza di questa
Corte n. 170 del 2013).

3.1.- La prima censura è prospettata con riferimento
all’art. 3, primo comma, Cost.

Osserva il giudice a quo che la norma censurata
pretende di interpretare autenticamente l’art. 170 del d.P.R. n. 18 del 1967,
riferendosi ad un emolumento – l’indennità di amministrazione – che non
esisteva al momento dell’entrata in vigore della norma interpretata.

Tale dato deporrebbe nel senso della diversità tra
la disposizione originaria e quella oggetto di censura, che risulterebbe in
realtà innovativa. L’erroneità dell’autoqualificazione costituirebbe un indice,
seppure non dirimente, di irragionevolezza (sono richiamate le sentenze di
questa Corte n. 73 del 2017, n. 103 del 2013 e n. 41 del 2011).

3.2.- È anche prospettata la violazione degli artt.
101, 102 e 104 Cost., per mancato rispetto delle funzioni costituzionalmente
assegnate al potere giudiziario.

L’intervento legislativo, nel fornire l’esatta
interpretazione dell’art. 170 d.P.R. n. 18 del 1967, avrebbe inteso porre
termine a un contenzioso «seriale» instaurato nei confronti del MAECI, da cui
sarebbero derivati ingenti oneri a carico della finanza pubblica.

3.3.- A parere della Corte rimettente, l’intervento
legislativo, finalizzato ad incidere su controversie in atto, specificamente
individuate al punto da stimarne il peso economico, si porrebbe in contrasto
anche con l’art. 24, primo comma, Cost., sotto il profilo dell’effettività
della tutela dei diritti dei soggetti beneficiari.

3.4.- Sarebbero violati, ancora, il principio della
parità delle parti in giudizio e il diritto a un equo processo, di cui,
rispettivamente, agli artt. 111 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in
relazione all’art. 6 CEDU.

La Corte di cassazione richiama sia la
giurisprudenza costante della Corte EDU, secondo cui è precluso al legislatore
di interferire sulle controversie in atto, salvo che ricorrano impellenti
motivi di interesse generale, sia la giurisprudenza costituzionale che, in
armonia con la giurisprudenza convenzionale, attribuisce rilievo, tra gli
elementi sintomatici di un uso distorto della funzione legislativa, al metodo e
alla tempistica dell’intervento del legislatore (sono richiamate le sentenze di
questa Corte n. 174 del 2019 e n. 12 del 2018).

3.4.1.- La Corte rimettente sottolinea che i «motivi
finanziari», esplicitati nella relazione tecnica dei lavori preparatori della
norma censurata, non sarebbero sufficienti a giustificare l’intervento del
legislatore sul contenzioso in atto, né vi sarebbe stata l’esigenza di porre
rimedio a imperfezioni del testo normativo originario.

Escluso, infine, che la disciplina originaria
presentasse profili di illegittimità costituzionale (è richiamata la sentenza
di questa Corte n. 149 del 2017) o desse luogo a sperequazioni tali da rendere
necessario l’intervento riparatore del legislatore (è richiamata la sentenza di
questa Corte n. 108 del 2019), il giudice a quo ritiene che non sussisterebbero
ragioni idonee a giustificare l’efficacia retroattiva del divieto di
corrispondere l’indennità di amministrazione durante i periodi di servizio
all’estero.

3.5. – È prospettata anche la violazione dell’art.
39, primo comma, Cost.

La norma censurata avrebbe inciso retroattivamente
sull’assetto del trattamento economico complessivo del personale del MAECI in
servizio all’estero, intervenendo sulla disciplina fissata dalla contrattazione
collettiva e non sull’art. 170 del d.P.R. n. 18 del 1967.

Ne seguirebbe la lesione della libertà sindacale e
dell’autonomia delle parti in sede di contrattazione collettiva (è citata la
sentenza di questa Corte n. 178 del 2015).

4.- Con memoria depositata il 30 aprile 2021, M.
L.R. ed G. M., parti ricorrenti nel giudizio principale, si sono costituiti nel
giudizio incidentale e hanno chiesto l’accoglimento delle questioni.

Dopo avere ripercorso in sintesi la vicenda
processuale, la difesa delle parti illustra le censure in termini largamente
sovrapponibili a quanto esposto nell’ordinanza di rimessione.

4.1.- La norma censurata, di contenuto innovativo,
violerebbe l’art. 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza, in quanto
pretenderebbe di interpretare autenticamente la norma del 1967 pur riferendosi
a una indennità, quella di amministrazione, che non esisteva alla data di
entrata in vigore della norma asseritamente interpretata.

Sono richiamati i principi enucleati dalla
giurisprudenza costituzionale in tema di norme dotate di efficacia retroattiva,
per il cui scrutinio risulta indifferente l’autoqualificazione (sono citate le
sentenze n. 308 del 2013, n. 41 del 2011, n. 233 del 1988, n. 167 del 1986 e n.
36 del 1985), essendo decisivo, piuttosto, verificare se siano rispettati i
limiti che il legislatore incontra nel modificare situazioni sostanziali
fondate su leggi anteriori (sono citate le sentenze n. 376 e n. 168 del 2004).

4.2.- Nella fattispecie oggetto del giudizio
principale, risulterebbe evidente l’interferenza della norma censurata sul
contenzioso in atto, relativo alla riconducibilità dell’indennità di
amministrazione alla voce «assegni a carattere fisso e continuativo», prevista
dall’art. 170 del d.P.R. n. 18 del 1967, o alle «altre indennità», ivi pure
indicate.

4.3.- La difesa delle parti evidenzia anche il
contrasto tra la norma censurata e le disposizioni sia di legge (art. 2 del
d.lgs. n. 165 del 2001) sia dei contratti collettivi che riservano alle parti
sociali la competenza a definire il trattamento economico spettante ai
dipendenti pubblici, in tutte le sue componenti (è richiamata la sentenza di
questa Corte n. 507 del 2000), assumendo anche la lesione del principio sancito
dall’art. 36 Cost., parametro quest’ultimo non evocato dalla Corte rimettente.

4.4.- La stessa difesa argomenta la violazione degli
artt. 111 e 117, primo comma, Cost. quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU,
con il richiamo alla giurisprudenza costituzionale e a quella della Corte EDU.

Quest’ultima avrebbe enucleato il principio che
vieta l’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia,
al fine di influenzare l’esito di una controversia, salvo che sussistano
imperative ragioni di interesse generale. Avrebbe anche affermato che il
principio della parità delle armi comporta l’obbligo di offrire a ciascuna
parte una ragionevole possibilità di presentare la propria causa senza trovarsi
in una situazione di netto svantaggio rispetto alla controparte.

4.5.- La difesa delle parti sottolinea inoltre che
l’intervento legislativo è avvenuto molti anni dopo l’entrata in vigore della
norma originaria e dopo che la sentenza di primo grado aveva accolto la domanda
dei ricorrenti. I motivi finanziari, alla base dell’intervento legislativo, non
sarebbero sufficienti a giustificarne l’incidenza sui giudizi in corso.

Del resto, il contenzioso in oggetto non trova
origine nell’ambiguità dell’art. 170 del d.P.R. n. 18 del 1967, ma nella
qualificazione della indennità di amministrazione, disciplinata dalla
contrattazione collettiva a partire dal 1994, come assegno a carattere fisso e
continuativo.

4.6.- La norma censurata si porrebbe in contrasto
anche con l’art. 39, primo comma, Cost., in quanto avrebbe configurato ex post
l’assetto del trattamento economico complessivo dei dipendenti MAECI in
servizio all’estero, intervenendo sulla disciplina dell’indennità di
amministrazione fissata dai contratti collettivi del pubblico impiego
privatizzato.

5.- Nel giudizio incidentale è intervenuto, con
memoria depositata il 4 maggio 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che le questioni
siano dichiarate inammissibili o, comunque, non fondate.

5.1.- Ricostruito il quadro normativo e il contenuto
delle censure, la difesa statale afferma che l’indennità di amministrazione,
come ritenuto anche dalla Corte rimettente, è un trattamento accessorio che ha
trovato regolazione nei CCNL. Tuttavia proprio la contrattazione collettiva ne
avrebbe escluso espressamente la corresponsione al personale in servizio all’estero.

L’art. 34, comma 2, lettera a), del CCNL 1994/1997,
con previsione replicata nei successivi CCNL dello stesso comparto, definiva
l’indennità di amministrazione come elemento della retribuzione accessoria
mensile e rinviava alla Tabella 2, Allegato B (recte: Tabella 1, Allegato B)
per la definizione delle voci e quote di retribuzione accessoria riferite a
ciascuna amministrazione.

La Tabella citata, dopo l’indicazione degli importi
dell’«indennità mensile» riferiti al personale del MAECI in base alle
qualifiche, disponeva che tali importi, dovuti con decorrenza dal 1° dicembre
1995, «si riferiscono esclusivamente al personale in servizio sul territorio
nazionale».

5.2.- Secondo la difesa statale, la Corte rimettente
non avrebbe esaminato compiutamente le fonti collettive, non avendo considerato
la specifica indicazione contenuta nella richiamata Tabella, dalla quale
discenderebbe de plano che l’indennità di amministrazione, quale ne sia la
natura, non potrebbe in ogni caso essere corrisposta al personale in servizio
all’estero, in conformità alla previsione contenuta nell’art. 170 del d.P.R. n.
18 del 1967, che espressamente vietava il cumulo dell’indennità di servizio
all’estero con qualsiasi altra indennità.

Pertanto, la motivazione in punto di rilevanza delle
questioni sarebbe insufficiente, poiché gli argomenti esposti dal giudice
rimettente a sostegno della natura retributiva dell’indennità di
amministrazione sarebbero assorbiti dalla circostanza che la pretesa fatta
valere dai ricorrenti nel giudizio a quo riguarda i periodi di servizio
all’estero.

5.3.- Quanto al merito delle questioni, dopo avere
premesso che la norma censurata è oggetto anche di un giudizio pendente dinanzi
alla Corte EDU, introdotto da alcuni dipendenti del MAECI, per violazione dei
principi di cui all’art. 6 CEDU e del giusto processo, la difesa statale espone
le ragioni a sostegno della non fondatezza.

5.3.1.- È richiamata la sentenza di questa Corte n.
133 del 2020, in cui si ribadisce che una norma può essere qualificata di interpretazione
autentica solo se esprime, anche nella sostanza, un significato appartenente a
quelli riconducibili alla previsione interpretata, secondo gli ordinari criteri
di interpretazione della legge, e che il legislatore può adottare norme che precisino
il significato di altre disposizioni, anche in mancanza di contrasti
giurisprudenziali, purché la scelta imposta dalla legge interpretativa rientri
tra le possibili varianti di senso del testo originario.

5.4.- Le questioni risulterebbero prive di fondamento
anche nella prospettiva, logicamente subordinata, che la norma censurata non
sia qualificabile come interpretativa dell’art. 170 del d.P.R. n. 18 del 1967,
e che abbia offerto una lettura innovativa della disciplina ivi contenuta.

Come ribadito dalla già citata sentenza n. 133 del
2020, la circostanza che la norma, a dispetto dell’autoqualificazione, non
abbia in realtà natura interpretativa, può essere sintomo dell’uso improprio
della funzione legislativa ma non comporta che essa sia illegittima, incidendo
soltanto sulla maggiore ampiezza del sindacato che questa Corte è chiamata a
effettuare, in ragione proprio della sua retroattività.

La difesa statale richiama, inoltre, l’art. 34 del
CCNL 1994/1997 che, a suo dire, avrebbe escluso espressamente la spettanza
dell’indennità di amministrazione ai dipendenti del MAECI in servizio
all’estero. Il chiaro dettato della fonte negoziale collettiva avrebbe
impedito, a sua volta, il sorgere del legittimo affidamento.

Convergerebbe con la tesi della non spettanza
dell’emolumento durante i periodi di servizio all’estero la giurisprudenza
contabile che, a fini pensionistici, ha costantemente ritenuto l’indennità di
amministrazione non assimilabile allo stipendio o, comunque, alla retribuzione
(è citata, ex plurimis, Corte dei conti, sezione prima giurisdizionale centrale
d’appello, sentenza 20 gennaio 2006, n. 54), nonostante il carattere di fissità
e di continuità dell’emolumento.

5.5.- La difesa statale segnala poi che, negli anni
precedenti all’entrata in vigore della norma censurata, pur essendo prevalsa in
giurisprudenza la tesi sostenuta dai dipendenti MAECI, erano comunque emersi
dubbi interpretativi.

L’esistenza di contrasti giurisprudenziali avrebbe
reso necessario l’intervento chiarificatore del legislatore, funzionale a
evitare il protrarsi dei contrasti e, al tempo stesso, a conformare la
normativa in materia ai principi di legittimità ed economicità della spesa
pubblica, tenuto conto del rilevante onere finanziario che derivava dal cumulo
delle indennità in oggetto.

5.6.- Quanto al denunciato contrasto con il
parametro convenzionale, la difesa statale richiama la sentenza della Corte EDU
Ogis-Institut Stanilas e altri contro Francia, del 27 maggio 2004, nella quale
il contrasto di una norma dotata di efficacia retroattiva con l’art. 6 CEDU è
stato escluso poiché l’intervento legislativo era finalizzato a ristabilire la
parità e l’eguaglianza tra dipendenti pubblici, finalità che sarebbe presente
anche nella vicenda in esame.

Risulterebbe irragionevole, infatti, consentire che
il personale in servizio all’estero percepisca, oltre alla specifica indennità
di servizio all’estero e all’assegno di sede, anche l’indennità di
amministrazione, così da cumulare benefici preclusi al personale che svolge il
medesimo servizio nel territorio nazionale.

6.- In data 19 aprile 2022 le parti hanno depositato
memoria illustrativa in cui ribadiscono le argomentazioni a sostegno della
illegittimità costituzionale della norma censurata, già svolte nell’atto di
costituzione in giudizio.

 

Considerato in diritto

 

1.- Con l’ordinanza indicata in epigrafe (r.o. n. 43
del 2021), la Corte di cassazione, sezione lavoro, solleva questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 1-bis, del decreto-legge 13 agosto 2011,
n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo
sviluppo), convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n.
148, per contrasto con gli artt. 3, 24, primo comma, 39, primo comma, 101, 102,
104, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione
all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e
resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.

La disposizione censurata, aggiunta in sede di
conversione, prevede che l’art. 170 del d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18
(Ordinamento dell’Amministrazione degli affari esteri), «si interpreta nel
senso che: a) il trattamento economico complessivamente spettante al personale
dell’Amministrazione degli affari esteri nel periodo di servizio all’estero,
anche con riferimento a “stipendio” e “assegni di carattere fisso e
continuativo previsti per l’interno”, non include né l’indennità di
amministrazione né l’indennità integrativa speciale; b) durante il periodo di
servizio all’estero al suddetto personale possono essere attribuite soltanto le
indennità previste dal decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967,
n. 18».

1.1.- Dinanzi alla Corte rimettente pende il
giudizio introdotto da alcuni dipendenti del Ministero degli affari esteri e
della cooperazione internazionale (di seguito: MAECI) per la cassazione della
sentenza di merito che, facendo applicazione della norma censurata, ha
rigettato la domanda di corresponsione dell’indennità di amministrazione
durante i periodi di servizio prestato all’estero.

1.2.- Il giudice a quo assume il contrasto della
norma censurata – che si autoqualifica di interpretazione autentica – con i
parametri evocati in ragione dell’efficacia retroattiva di cui essa è dotata,
in assenza di motivi di interesse generale che possano giustificarne
l’applicazione per il passato, e quindi sollecita uno scrutinio volto a
verificare il rispetto dei limiti generali entro i quali è consentita al
legislatore l’adozione di norme retroattive, che per loro natura entrano in
frizione con molteplici valori costituzionalmente tutelati (è richiamata, ex
plurimis, la sentenza di questa Corte n. 170 del 2013).

1.3.- La Corte rimettente osserva, quanto al profilo
della ragionevolezza, che il dichiarato intento di porre fine al contenzioso
«seriale» in atto non costituirebbe ragione sufficiente per intervenire con
efficacia retroattiva sulla materia de qua, offrendone una lettura non coerente
con l’evoluzione normativa dell’indennità di amministrazione, nonché lesiva
dell’affidamento nella certezza e coerenza dell’ordinamento.

La stessa autoqualificazione dell’art. 1-bis del
d.l. n. 138 del 2011, come convertito, quale norma di interpretazione autentica
sarebbe erronea, tenuto conto del divario temporale rispetto alla risalente
disposizione originaria e della circostanza che nel 1967 l’indennità di
amministrazione non esisteva, essendo stata configurata come voce retributiva
accessoria soltanto con il primo CCNL 1994/1998, firmato il 16 maggio 1995.

L’erroneità dell’autoqualificazione, a sua volta,
costituirebbe un indice seppure non dirimente di irragionevolezza della norma
(sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 73 del 2017, n. 103 del 2013 e
n. 41 del 2011), mentre l’interferenza nelle controversie in atto,
specificamente individuate nei lavori preparatori e corredate dalla stima del
relativo onere finanziario per l’Amministrazione soccombente, sarebbe lesiva
dei parametri che tutelano le attribuzioni costituzionalmente riservate al
potere giudiziario, oltre che dell’art. 24, primo comma, Cost., sotto il
profilo della compromissione dell’effettività della tutela giurisdizionale.

1.4.- Sarebbero violati, inoltre, gli artt. 111 e
117, primo comma Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU. La norma
censurata, nel predeterminare l’esito dei giudizi in favore
dell’amministrazione statale, si porrebbe in contrasto con il principio della
parità delle parti, con il diritto a un equo processo e con la tutela
dell’affidamento.

Il giudice a quo richiama in proposito
l’affermazione, costante nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti
dell’uomo, secondo cui è precluso al legislatore interferire sulle controversie
in atto, salvo che ricorrano impellenti motivi di interesse generale (sono
citate, ex plurimis, sentenza 14 febbraio 2014, Arras ed altri contro Italia;
sentenza 31 maggio 2011, Maggio ed altri contro Italia; sentenza 7 giugno 2011,
Agrati ed altri contro Italia).

1.5.- Sarebbe violato, infine, l’art. 39, primo
comma, Cost. in quanto l’intervento legislativo retroattivo operato
sull’assetto del trattamento economico complessivo dei dipendenti del MAECI
avrebbe leso l’autonomia delle parti sociali nella sede negoziale collettiva.

La Corte di cassazione si sofferma, a tale riguardo,
sull’esito della negoziazione, a partire dal suo esordio, ovvero dal primo
contratto collettivo del comparto ministeri (1994-1997), in attuazione
dell’art. 72, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29
(Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e
revisione della disciplina del pubblico impiego, a norma dell’art. 2 della
legge 23 ottobre 1992, n. 42). Il riferimento ai cicli di contrattazione
successivi al primo, fino al «blocco» della stessa, disposto con i
decreti-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materie di
stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con
modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122 e 6 luglio 2011, n. 98
(Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con
modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, confermerebbe che
l’indennità di amministrazione figurava tra le voci della retribuzione oggetto
di negoziazione e che era elargita, con importi diversi, in tutte le
amministrazioni del comparto ministeri.

2.- Nel giudizio dinanzi a questa Corte si sono
costituiti, con unica difesa, due degli originari ricorrenti, chiedendo
l’accoglimento delle questioni sulla base di argomenti, anche ribaditi nella
memoria illustrativa, sostanzialmente coincidenti con quelli svolti dal giudice
a quo.

3.- È intervenuto in giudizio il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o, comunque,
non fondate.

3.1.- Secondo la difesa dello Stato, la
corresponsione dell’indennità di amministrazione al personale MAECI in servizio
all’estero sarebbe stata esclusa dalla contrattazione collettiva, in sede di
configurazione dell’emolumento.

In ogni caso, a fronte del contrasto
giurisprudenziale riguardante la cumulabilità dell’indennità di amministrazione
con l’indennità di servizio all’estero, l’intervento del legislatore del 2011
avrebbe legittimamente chiarito la portata dell’art. 170 del d.P.R. n. 18 del
1967, per evitare ingiustificate disparità di trattamento in favore del
personale in servizio all’estero.

4.- Preliminarmente deve essere esaminata
l’eccezione di inammissibilità delle questioni, formulata dalla difesa statale,
per mancata ricostruzione del quadro normativo di riferimento, che si
rifletterebbe sulla stessa adeguatezza della motivazione in punto di rilevanza.

4.1.- L’eccezione muove dall’esame dei contratti
collettivi del comparto Ministeri da cui, secondo la difesa statale, si
ricaverebbe che l’indennità di amministrazione, indipendentemente dalla sua
natura, non avrebbe potuto, in ogni caso, essere corrisposta al personale in
servizio all’estero.

L’art. 34 del CCNL del comparto Ministeri 1994/1998,
nel configurare l’indennità di amministrazione come elemento della retribuzione
accessoria mensile, rinviava alla Tabella 2, Allegato B (recte: Tabella 1,
Allegato B) per la definizione delle voci e quote di retribuzione accessoria
riferite a ciascuna amministrazione. Con riferimento al personale del Ministero
degli affari esteri, la citata Tabella precisava che gli importi ivi indicati
si riferivano «esclusivamente al personale in servizio sul territorio
nazionale».

La difesa statale eccepisce che l’ordinanza di
rimessione, senza farsi carico di esaminare compiutamente la normativa
richiamata, non ha tenuto conto della circostanza che la domanda dei ricorrenti
nel giudizio a quo riguardava i periodi di servizio all’estero, periodi in cui
comunque l’indennità di amministrazione non avrebbe dovuto essere erogata, in
base ai contratti collettivi.

5.- L’eccezione non è fondata.

Secondo la costante giurisprudenza costituzionale,
l’applicabilità della disposizione censurata al giudizio principale è
sufficiente a radicare la rilevanza delle questioni prospettate (ex plurimis,
sentenze n. 259 e n. 152 del 2021, n. 174 del 2019 e n. 213 del 2018).

Nella specie, dopo avere diffusamente ricostruito la
disciplina dell’indennità di amministrazione, la Corte di cassazione ha
motivato non implausibilmente circa le ragioni per cui ritiene di dover fare
applicazione dell’art. 1-bis del d.l. n. 138 del 2011, come convertito, che
espressamente vieta – con effetto ex tunc – la corresponsione della predetta
indennità nei periodi di servizio all’estero, innovando rispetto ai contratti
collettivi.

Quanto al dedotto travisamento del quadro normativo,
l’eccezione si risolve nell’addebito di un’erronea valutazione delle fonti
legislative e contrattuali rilevanti ai fini della disciplina dell’indennità di
amministrazione, che attiene al merito.

6.- Le questioni che prospettano la violazione degli
artt. 3, 24, primo comma, 102, 111 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in
relazione all’art. 6 CEDU, sono fondate.

6.1.- L’art. 1-bis del d.l. n. 138 del 2011, come
convertito, impone anche per il passato il divieto di corrispondere l’indennità
di amministrazione al personale non diplomatico del MAECI nei periodi di
servizio all’estero, ed è sotto questo profilo che la norma è oggetto di
censura.

Il tema del decidere devoluto a questa Corte è
dunque da intendersi delimitato alla disposizione censurata in quanto
applicabile ai fatti antecedenti al 17 settembre 2011, data dell’entrata in
vigore della disposizione medesima.

La genesi della pretesa dei ricorrenti risiede,
infatti, nella prestazione di lavoro da essi svolta all’estero, cui avrebbe
dovuto corrispondere, fra le altre voci della retribuzione, anche l’indennità
di amministrazione.

Rilevano, pertanto, ai fini del presente scrutinio,
i limiti generali all’efficacia retroattiva delle leggi che, al di fuori della
materia penale, questa Corte ha individuato nei principi della ragionevolezza,
della tutela del legittimo affidamento, della coerenza e certezza
dell’ordinamento e del rispetto delle attribuzioni costituzionalmente riservate
alla funzione giudiziaria (ex plurimis, sentenze n. 210 del 2021, n. 174 del
2019, n. 170 del 2013, n. 78 del 2012 e n. 209 del 2010).

7.- Prima di esaminare le censure, giova ricostruire
in sintesi il quadro normativo di riferimento in cui si è inserita la norma
oggetto di scrutinio, e dare conto del contenzioso che si era formato riguardo
alla cumulabilità dell’indennità di amministrazione con il trattamento
complessivo, specificamente previsto per il servizio all’estero, dal d.P.R. n.
170 del 1967.

7.1.- A seguito della cosiddetta privatizzazione del
pubblico impiego (operata dal d.lgs. n. 29 del 1993), si è assistito a una
progressiva valorizzazione dei contratti collettivi, a fronte di disposizioni
di legge preesistenti, salvo che non vi fossero espresse disposizioni in senso
contrario (sentenza n. 507 del 2000). Questo peculiare sistema di
delegificazione, che ha subìto nel tempo alcune modifiche rispetto all’impianto
originario, ha sempre riservato alla contrattazione collettiva un ruolo
centrale nella definizione dei trattamenti retributivi.

Istituita con il primo CCNL del comparto Ministeri
1994/1997, firmato il 16 maggio 1995, in attuazione dell’art. 72 del citato
d.lgs. n. 29 del 1993, l’indennità di amministrazione è sorta come trattamento
accessorio della retribuzione, collegata alla presenza in servizio e
commisurata ai compensi mensili percepiti.

Il CCNL 1998/2001, firmato il 16 febbraio 1999, come
integrato dal CCNL del 16 maggio 2001, ha definitivamente configurato l’indennità
di amministrazione quale voce retributiva, corrisposta a tutti i dipendenti
ministeriali in misura fissa e per dodici mensilità, utile ai fini del calcolo
dell’indennità di buonuscita, del TFR e dell’indennità di preavviso (art. 33).

Il CCNL 1998/2001 ha inoltre disposto, all’art. 39,
comma 1, lettera e), la disapplicazione delle disposizioni contenute negli
articoli dal 29 al 37 del CCNL 1994/1997, facendo così venir meno la vigenza
dell’art. 34 di quest’ultimo CCNL, e con esso del richiamato Allegato B, dove
si precisava che gli importi mensili corrisposti ai dipendenti del MAECI si
riferivano esclusivamente al personale che prestava servizio sul territorio
nazionale.

Negli anni successivi, fino al «blocco» menzionato
dalla Corte rimettente, disposto dal d.l. n. 78 del 2010 e dal d.l. n. 98 del
2011, la contrattazione collettiva del comparto di riferimento è intervenuta
sull’indennità di amministrazione per aumentarne gli importi, anche a fini
perequativi.

7.2.- Nel contesto normativo richiamato, in cui
l’indennità di amministrazione costituiva una componente continuativa del
trattamento economico erogato a tutti i dipendenti ministeriali (tra le tante,
Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza 13 luglio 2005, n. 14698), era
sorto il contenzioso fra l’Amministrazione degli affari esteri e il personale
che aveva prestato servizio all’estero, per il riconoscimento dell’indennità di
amministrazione anche durante tale servizio.

La disposizione che disciplinava il trattamento del
personale del MAECI all’estero (art. 170 del d.P.R. n. 18 del 1967) prevedeva,
al primo comma, che fossero dovuti, «oltre allo stipendio e agli assegni di
carattere fisso e continuativo previsti per l’interno», l’indennità di servizio
all’estero e le altre competenze eventualmente spettanti in base alle
disposizioni dello stesso d.P.R. Il medesimo art. 170, al secondo comma,
stabiliva che «[n]essun’altra indennità ordinaria e straordinaria può essere
concessa, a qualsiasi titolo, al personale suddetto in relazione al servizio prestato
all’estero in aggiunta al trattamento previsto dal presente decreto».

7.3.- La giurisprudenza di merito largamente
maggioritaria si era orientata per l’assimilabilità dell’indennità di
amministrazione «agli assegni di carattere fisso e continuativo previsti per
l’interno» (ex plurimis, Tribunale di Roma, sezione lavoro, sentenza 7 luglio
2011, n. 12736), come emerge anche dai lavori preparatori dell’art. 1-bis del
d.l. n. 138 del 2011.

Nella relazione tecnica all’emendamento 1.0.35
presentato al Senato della Repubblica in sede di conversione in legge, con
modificazioni, del d.l. n. 138 del 2011, si dava atto che il contenzioso
riferito all’indennità di amministrazione constava di trentadue ricorsi, per un
numero complessivo di 1131 dipendenti, dei quali 454 avevano ottenuto sentenza
favorevole; che le sentenze di primo grado già emesse erano otto, ed
altrettante erano le sentenze che avevano deciso in senso sfavorevole per
l’Amministrazione. Si stimava inoltre il presumibile impatto economico di tale
contenzioso nei successivi cinque anni.

La ratio della norma oggetto di emendamento era
espressamente individuata nell’esigenza di chiarire la portata dell’art. 170
del d.P.R. n. 18 del 1967, per «porre termine al contenzioso «seriale»,
riferito sia all’indennità di amministrazione, sia all’indennità integrativa
speciale, […] dal quale possono derivare ingenti oneri a carico della finanza
pubblica».

8.- Lo scrutinio della disposizione censurata non
può che muovere dalla verifica della sua ragionevolezza. Tale scrutinio si fa
ancor più rigoroso, quando si incentra sul principio di non retroattività della
legge, inteso quale fondamentale valore di civiltà giuridica, non solo nella
materia penale (art. 25 Cost.), ma anche in altri settori dell’ordinamento (sentenze
n. 174 del 2019, n. 73 del 2017, n. 260 del 2015 e n. 170 del 2013).

A tal fine, va subito chiarito che il censurato art.
1-bis, nella parte in cui fa riferimento all’indennità di amministrazione, non
è qualificabile come norma di interpretazione autentica dell’art. 170 del
d.P.R. n. 18 del 1967. Essa, lungi dall’enucleare una possibile variante di
senso della disposizione originaria, introduce una disciplina innovativa con
effetti retroattivi.

8.1.- Decisivo risulta l’esame dei primi due commi
dell’art. 170 del d.P.R. n. 18 del 1967, da cui si ricava che l’intento del
legislatore era stato di evitare, durante i periodi di servizio all’estero, il
cumulo di trattamenti di carattere indennitario.

L’art. 170 distingue, infatti, gli emolumenti dovuti
durante il servizio all’estero -stipendio e «assegni a carattere fisso e
continuativo previsti per l’interno» – dalle «altr[e] indennità», non
cumulabili con quelle previste dal medesimo d.P.R. n. 18 del 1967.

L’indennità di amministrazione – istituita molti anni
dopo – in ragione della sua natura retributiva, con caratteristiche di fissità
e continuatività, nonché di generalità nell’applicazione a tutti i dipendenti
ministeriali, si sottraeva al divieto di cumulo in quanto riconducibile agli
emolumenti «di carattere fisso e continuativo previsti per l’interno».

La disposizione censurata, nella parte in cui
dispone il divieto di cumulo dell’indennità di amministrazione con l’indennità
di servizio all’estero, ha dettato una disciplina non coerente con il dato testuale
e con la ratio della disposizione originaria contenuta nell’art. 170 del d.P.R.
n. 18 del 1967. Si deve pertanto attribuire all’art. 1-bis una portata
innovativa.

8.2.- Depone in questo senso anche la distanza
temporale tra le due disposizioni, non ridotta dalle modifiche, apportate medio
tempore al d.P.R. n. 18 del 1967, che non riguardano i primi due commi
dell’art. 170. Né si può trascurare la circostanza che il divieto di
corrispondere al personale in servizio all’estero «altre indennità» oltre quelle
previste dallo stesso d.P.R. n. 18 del 1967 non poteva riguardare l’indennità
di amministrazione, a quel tempo non esistente.

9.- Risulta inoltre condivisibile il rilievo della
Corte rimettente, secondo cui il contenzioso formatosi sulla cumulabilità
dell’indennità di amministrazione con quella di servizio all’estero non è sorto
a causa dell’ambiguità della disposizione contenuta nell’art. 170 del d.P.R. n.
18 del 1967, ma ha riguardato la qualificazione dell’indennità di
amministrazione. Una tale operazione ermeneutica richiedeva, come chiarito da
tempo dalla giurisprudenza amministrativa con riferimento ad altri casi di
divieto di cumulo (ex plurimis, Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 11
aprile 2007, n. 1598), l’individuazione della specifica natura dell’emolumento,
indipendentemente dal nomen iuris dello stesso.

9.1.- In applicazione del criterio che vieta il
cumulo, la giurisprudenza di legittimità ha risolto un altro contenzioso, sorto
in riferimento all’indennità integrativa speciale, anch’essa oggetto del
divieto sancito dal legislatore del 2011 con la norma censurata. Anche se tale
indennità esula dai confini del presente giudizio, un riferimento alla stessa
serve a chiarirne la diversa funzione, di natura solo compensativa.

Muovendo dal rilievo che l’indennità integrativa
speciale e l’indennità di servizio all’estero hanno entrambe natura
compensativa, diversamente dall’indennità di amministrazione, la Corte di
cassazione ha ritenuto che l’art. 1-bis del d.l. n. 138 del 2011, come convertito,
nella parte in cui ne vieta il cumulo, è norma di genuina interpretazione
autentica dell’art. 170 del d.P.R. n. 18 del 1967. La corresponsione
dell’indennità integrativa speciale durante i periodi di servizio all’estero
avrebbe dato luogo ad una duplicazione di emolumenti aventi natura per
l’appunto compensativa (Corte di cassazione, sezione lavoro, ordinanza 5 maggio
2021, n. 11759).

10.- Con riguardo all’indennità di amministrazione,
l’autoqualificazione della disposizione censurata quale norma di
interpretazione autentica si rivela erronea e ciò costituisce un sintomo
inequivocabile di un uso improprio della funzione legislativa, da cui deriva un
intrinseco difetto di ragionevolezza quanto alla retroattività del novum da
essa introdotto (ex plurimis, sentenze n. 133 del 2020, n. 108 del 2019 e n. 73
del 2017).

In uno scrutinio stretto di costituzionalità, che si
impone in questo caso, poiché serve riscontrare non «la mera assenza di scelte
normative manifestamente irragionevoli, ma l’effettiva sussistenza di
giustificazioni ragionevoli dell’intervento legislativo» (ex plurimis, sentenze
n. 108 del 2019 e n. 173 del 2016), occorre verificare se le giustificazioni,
poste alla base dell’intervento legislativo a carattere retroattivo, prevalgano
rispetto ai valori, costituzionalmente tutelati, potenzialmente lesi da tale
efficacia a ritroso. Tali valori sono individuati nel legittimo affidamento dei
destinatari della regolazione originaria, nel principio di certezza e stabilità
dei rapporti giuridici, nel giusto processo e nelle attribuzioni
costituzionalmente riservate al potere giudiziario (ex plurimis, sentenze n.
104 e n. 61 del 2022, n. 210 del 2021, n. 133 del 2020 e n. 73 del 2017).

10.1.- Secondo il costante orientamento della
giurisprudenza costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 46 del 2021, n. 156 del
2014 e n. 78 del 2012), l’efficacia retroattiva della legge deve trovare
adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di
rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti «motivi imperativi di
interesse generale», così come chiarito dalla Corte EDU in plurime occasioni.

I soli motivi finanziari, volti a contenere la spesa
pubblica o a reperire risorse per far fronte a esigenze eccezionali, non
bastano a giustificare un intervento legislativo destinato a ripercuotersi sui
giudizi in corso (sentenze n. 174 e n. 108 del 2019, e n. 170 del 2013).
L’efficacia retroattiva della legge, finalizzata a preservare l’interesse
economico dello Stato che sia parte di giudizi in corso, si pone in evidente e
aperta frizione con il principio di parità delle armi nel processo e con le
attribuzioni costituzionalmente riservate all’autorità giudiziaria (ex
plurimis, sentenze n. 12 del 2018 e n. 209 del 2010).

11.- Quanto al sindacato di costituzionalità sulle
leggi retroattive, questa Corte ha costruito nel tempo una solida sinergia fra
principi costituzionali interni e principi contenuti nella CEDU (ex plurimis,
sentenze n. 12 del 2018 e n. 191 del 2014). Anche nel caso in esame, i parametri
interni evocati si prestano a essere letti in stretto coordinamento con quelli
convenzionali, al fine di massimizzarne l’espansione in un «rapporto di
integrazione reciproca» (da ultimo, sentenza n. 46 del 2021).

In particolare l’art. 24, primo comma, Cost., nel
garantire il diritto inviolabile di agire in giudizio a tutela dei propri
diritti e interessi legittimi, deve essere letto congiuntamente non solo con
l’art. 102 Cost., che tutela le attribuzioni dell’autorità giudiziaria, ma
anche con l’art. 111 Cost., posto a presidio del giusto processo.

L’insieme dei parametri indicati converge nella
tutela garantita dall’art. 6 CEDU.

A tale proposito, la giurisprudenza della Corte EDU
è costante nell’affermare che, seppure in linea di principio non è precluso al
legislatore disciplinare, con nuove disposizioni dalla portata retroattiva,
diritti risultanti da leggi in vigore, tuttavia, «il principio della preminenza
del diritto e il concetto di processo equo sanciti dall’art. 6 ostano, salvo
che per imperative ragioni di interesse generale, all’ingerenza del potere
legislativo nell’amministrazione della giustizia al fine di influenzare l’esito
giudiziario di una controversia» (ex plurimis, sentenze 24 giugno 2014, Azienda
agricola Silverfunghi sas e altri contro Italia, paragrafo 76; 25 marzo 2014,
Biasucci e altri contro Italia, paragrafo 47; 14 gennaio 2014, Montalto e altri
contro Italia, paragrafo 47; 7 giugno 2011, Agrati e altri contro Italia,
paragrafo 58).

Le leggi retroattive o di interpretazione autentica
che intervengono in pendenza di giudizi di cui lo Stato è parte, in modo tale
da influenzarne l’esito, comportano un’ingerenza nella garanzia del diritto a
un processo equo e violano un principio dello stato di diritto garantito
dall’art. 6 CEDU.

11.1.- La Corte EDU afferma, inoltre, che le
considerazioni di natura finanziaria non possono, da sole, autorizzare il
potere legislativo a sostituirsi al giudice nella definizione delle
controversie (ex plurimis, sentenze 29 marzo 2006, Scordino contro Italia,
paragrafo 132; 31 maggio 2011, Maggio contro Italia, paragrafo 47; 15 aprile
2014, Stefanetti e altri contro Italia, paragrafo 39).

12.- Con riguardo alla norma censurata, lo scopo
dichiarato di porre fine al contenzioso «seriale», che aveva visto l’Amministrazione
soccombente, non consente di invocare motivi imperativi di interesse generale,
non esplicitati nei lavori preparatori e neppure ricavabili dall’esame del
quadro normativo.

12.1.- Non ricorrono le condizioni che, in taluni
casi, hanno indotto la Corte EDU a ritenere legittimi interventi legislativi
retroattivi.

Si è trattato di situazioni in cui i soggetti
ricorrenti avevano tentato di approfittare dei difetti tecnici della
legislazione (sentenza 23 ottobre 1997, National & Provincial Building Society
e Yorkshire Building Society contro Regno Unito, paragrafo 112), o avevano
cercato di ottenere vantaggi da una lacuna della legislazione medesima, cui
l’ingerenza del legislatore mirava a porre rimedio (sentenza del 27 maggio
2004, OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie X, Blanche de Castille e altri
contro Francia, paragrafo 69).

Nessuna di queste evenienze è riscontrabile nella
fattispecie in esame.

Il testo della legge su cui interviene la
disposizione fittiziamente interpretativa, seppure risalente, non presentava
imperfezioni tecniche macroscopiche, né dava luogo a significative
sperequazioni, che avrebbero potuto giustificare un intervento retroattivo del
legislatore, come questa Corte ha altrove rilevato (sentenza n. 46 del 2021).

12.2.- In conclusione, la disposizione censurata,
nella parte in cui vieta la corresponsione dell’indennità di amministrazione
durante il servizio all’estero, ha modificato la disciplina dettata dall’art.
170 del d.P.R. n. 18 del 1967, che si limitava a vietare il cumulo di
emolumenti di natura compensativa, ulteriori rispetto alle indennità
specificamente previste nel medesimo d.P.R. n. 18 del 1967. Le pretese delle
parti coinvolte nel contenzioso risultano incardinate nelle fattispecie sorte
prima dell’entrata in vigore della disposizione con efficacia retroattiva,
proprio perché volte a preservare la corrispettività fra prestazioni svolte
all’estero e trattamento retributivo complessivo. Soltanto su tali fattispecie
si è concentrato l’odierno scrutinio di legittimità costituzionale.

13.- Si deve pertanto dichiarare l’illegittimità
costituzionale dell’art. 1-bis del d.l. n. 138 del 2011, come convertito, nella
parte in cui dispone, per le fattispecie sorte prima della sua entrata in
vigore, che il trattamento economico complessivamente spettante al personale
dell’Amministrazione affari esteri, nel periodo di servizio all’estero, anche
con riferimento allo stipendio e agli assegni di carattere fisso e continuativo
previsti per l’interno, non include l’indennità di amministrazione.

Resta ferma l’applicabilità della disposizione a
fatti successivi a tale data.

Restano infine assorbite le ulteriori censure
formulate dalla Corte rimettente.

 

P.Q.M.

 

Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art.
1-bis del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la
stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni,
nella legge 14 settembre 2011, n. 148, nella parte in cui dispone, per le
fattispecie sorte prima della sua entrata in vigore, che il trattamento
economico complessivamente spettante al personale dell’Amministrazione affari
esteri, nel periodo di servizio all’estero, anche con riferimento allo
stipendio e agli assegni di carattere fisso e continuativo previsti per
l’interno, non include l’indennità di amministrazione.

Giurisprudenza – CORTE COSTITUZIONALE – Sentenza 13 giugno 2022, n. 145
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