La RSU ha diritto di decidere autonomamente come distribuire i permessi retribuiti, ma non può concentrarli tutti su un singolo componente, impedendo all’azienda di godere della sua attività lavorativa.
Nota a Trib. Siena 19 gennaio 2022, n. 9
Marco Mocella
“Quando il CCNL di settore attribuisca il diritto di godere dei permessi sindacali alle organizzazioni sindacali e alle RSU tramite il “monte ore” senza statuire in ordine alle modalità di fruizione degli stessi, tale diritto potestativo e incondizionato incontra il limite imposto di eseguire il contratto secondo buona fede (art. 1375 c.c.), dovere solidaristico che l’art. 2 Cost. a sua volta richiede a tutti i contraenti e che integra, ai sensi dell’art. 1374 c.c., il CCNL di settore cosicché non deve ritenersi conforme ai canoni di lealtà e correttezza il comportamento dell’organizzazione sindacale che, accentrando, in tutto o in parte, l’utilizzo dei permessi in capo ad uno o più componenti delegati della RSU, li sottragga per un’apprezzabile durata di tempo (nel caso di specie sette anni consecutivi) in maniera radicale alle loro obbligazioni lavorative nei confronti del datore.
L’accentramento del monte permessi in capo ad alcuni soltanto dei componenti della RSU non può essere vietato fintanto che non mini il buon andamento della produzione e, in modo apprezzabile e non tollerabile, la possibilità di espletare in toto le mansioni lavorative per un considerevole lasso di tempo”.
Così, il Tribunale di Siena 19 gennaio 2022, n. 9 relativamente al caso in cui un ’azienda si era opposta al decreto che aveva dichiarato antisindacale la condotta consistente nell’aver comunicato, al sindacato che, per i componenti della sua RSU aziendale, non sarebbe stato più possibile concentrare l’utilizzo dei permessi sindacali di cui all’art. 51, co. 6, CCNL di settore in uno o alcuni soltanto dei componenti della RSU. Ciò, a fronte di una prassi, ormai invalsa, che ad usufruire dell’intero monte ore legato ai permessi sindacali fosse un solo lavoratore il quale, di fatto, era rimasto assente dal lavoro per anni interi.
Tale situazione aveva costretto la società, in un primo tempo, a individuare un ruolo ed una mansione “formali” a cui assegnare il dipendente vista la sua assenza dalle attività lavorative; dopodiché aveva indotto i responsabili per le relazioni industriali e le risorse umane in occasione degli incontri periodici con le OO.SS. e la RSU a manifestare la necessità che i permessi in questione tornassero ad essere utilizzati anche da altri componenti della RSU.
Secondo il Giudice la soluzione della controversia va letta, “non solo nell’ottica della tutela dell’attività sindacale da ingerenze datoriali o “padronali” o in quella del bilanciamento fra buon andamento della produzione e utilizzo dei permessi retribuiti ma anche, se non soprattutto, ponendo attenzione al diritto del cittadino-lavoratore di esprimere il proprio pensiero politico e sindacale all’interno del luogo di lavoro mantenendo la propria retribuzione purché in tale luogo, per l’appunto, svolga anche una seppur limitata… prestazione lavorativa non potendo una sigla sindacale eternamente sottrarre tale lavoratore alla propria obbligazione lavorativa nei confronti del datore di lavoro”.
Il Giudice, pertanto, ritiene che la RSU e le organizzazioni sindacali, in assenza di diverse indicazioni da parte del CCNL applicabile, possono decidere in autonomia come distribuire i permessi poiché si tratta di materia endosindacale. Sicché, va censurata la condotta dell’impresa che pretenda di imporre una certa distribuzione dei permessi; tuttavia il Tribunale dà parzialmente ragione anche alla Società, affermando che l’autoregolamentazione della RSU non può spingersi oltre i limiti di correttezza e buona fede, che impongono di adottare una distribuzione dei permessi che garantisca al datore di lavoro di godere, seppure in maniera più limitata, delle prestazioni del lavoratore sindacalista.