Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 giugno 2022, n. 19023
Lavoro, Collaboratori Esperti Linguistici, Contratto
collettivo integrativo, Sospensione unilaterale, Riduzione delle retribuzioni
mensili, Decreti ingiuntivi, Rigetto delle opposizioni, Giudicato implicito
Rilevato che
1. con contratto integrativo di ateneo dell’anno
2006 (di seguito CCI 2006), l’Università di Firenze ha riconosciuto ai
Collaboratori Esperti Linguistici (di seguito, CEL) il diritto al medesimo
trattamento economico proprio dei ricercatori a tempo pieno; nel maggio 2010,
l’Università, accertando la carenza di copertura finanziaria, ha disposto la
riduzione delle retribuzioni mensili dei CEL, i quali hanno agito rivendicando
le differenze non corrisposte rispetto al menzionato trattamento integrativo di
ateneo, ottenendo successivi decreti ingiuntivi per le mensilità a partire da
quello stesso mese di maggio 2010;
i primi decreti ingiuntivi, riguardanti la mensilità
di maggio 2010, sono stati opposti dall’Università, ma l’opposizione è stata
rigettata nei gradi di merito, con sentenza poi passata in giudicato stante la
declaratoria di inammissibilità del pur interposto ricorso per cassazione;
analoga sorte hanno avuto i decreti ingiuntivi
ottenuti dai lavoratori per le mensilità da giugno a dicembre 2010, rispetto ai
quali l’opposizione è stata parimenti rigettata con sentenza di appello,
divenuta anch’essa definitiva per essere stato dichiarato improcedibile il
ricorso per cassazione proposto nei suoi riguardi;
un terzo decreto ingiuntivo, riguardante i mesi da
gennaio a maggio 2011, anch’esso opposto, è stato dapprima revocato dalla Corte
d’Appello di Firenze, ma tale pronuncia è stata cassata dalla S.C. la quale,
decidendo nel merito, ha dichiarato inammissibile l’originaria opposizione,
così determinando la definitività anche di quel provvedimento monitorio;
sono stati quindi emessi ulteriori decreti
ingiuntivi, che, complessivamente, coprono il periodo dal giugno 2011 al
dicembre 2012 e tredicesime mensilità, oltre che il periodo dal gennaio al
giugno 2013 e che sono oggetto, in cause riunite, del presente giudizio;
2. decidendo su queste ultime opposizioni ai decreti
ingiuntivi, il Tribunale di Siena le ha rigettate, sul presupposto, riferito
nella sentenza di appello, del contrasto della scelta dell’Università di
interrompere la corresponsione di quanto già attribuito con l’art. 36 Cost. e
con il principio di irriducibilità della retribuzione;
3. la Corte d’Appello di Firenze, riformando la
sentenza di primo grado, ha dapprima disatteso alcune eccezioni preliminari
svolte dagli appellanti e di cui, per quanto di interesse, si dirà di seguito,
mentre nel merito ha ritenuto la nullità del CCI di Ateneo per carenza di
copertura finanziaria, non sanata, a dire della Corte, entro il termine del
31.12.2010, concesso in occasione delle modifiche apportate nel 2009 al d. lgs.
165/2001;
la Corte territoriale escludeva altresì che potesse
avere effetto l’eccezione di giudicato, perché la riduzione della retribuzione,
di cui si dolevano i ricorrenti, non era stata disposta unilateralmente dal
datore di lavoro, ma era derivata da un intervento normativo, quello di cui
alla citata novella del 2009, che aveva reso nullo ab origine quel trattamento,
da una certa data in poi, se i CCI non avessero trovato tempestivo adeguamento;
4. i CEL hanno proposto ricorso per cassazione con
undici motivi, resistiti dall’Università con controricorso ed entrambe le parti
hanno depositato memoria;
Considerato che
1. il primo motivo di ricorso assume la nullità del
procedimento e della sentenza per violazione degli artt. 75 e 83 c.p.c., in
relazione all’art. 1, co. 2, d. lgs. 165/2001 e dell’art. 56 R.D. 1592/1993,
per non essersi accolta l’eccezione di inammissibilità delle opposizioni ai
decreti ingiuntivi, dispiegate attraverso legali esterni e senza alcuna
delibera del Consiglio di Amministrazione dell’Università, così come per
essersi rigettata l’eccezione di inammissibilità dell’appello nonostante esso
fosse stato proposto dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, ancora senza
alcuna delibera di avvalersi della predetta difesa da parte dell’ente
accademico;
il motivo, nella sua duplice articolazione, è
infondato;
la Corte territoriale ha spiegato, senza sul punto
ricevere contestazione, che l’opposizione ai decreti ingiuntivi fu proposta da
Avvocati dipendenti dall’ente;
in effetti, in tal caso, una volta sussistente, come
pacificamente è, la delega del rettore, null’altro era necessario ed in
particolare non era necessaria una delibera del Consiglio di Amministrazione,
atteso che le Pubbliche Amministrazioni, ai sensi dell’art. 417-bis c.p.c.
possono stare in giudizio in primo grado mediante loro funzionari, quali
possono ben essere gli Avvocati in servizio presso l’ente come dipendenti, né
risultano decisioni di avocazione da parte dell’Avvocatura dello Stato;
quanto poi alla mancanza di una delibera a sostegno
della proposizione dell’appello, è pacifico che di essa non vi sia alcun
bisogno, quando il patrocinio sia assunto dall’Avvocatura dello Stato, essendo
consolidato il principio per cui «in tema di capacità processuale degli enti
pubblici, non soltanto nell’ipotesi in cui la relativa rappresentanza e difesa
venga obbligatoriamente assunta dall’Avvocatura dello Stato … ma anche
nell’ipotesi in cui la rappresentanza e difesa da parte dell’Avvocatura dello
Stato abbia carattere “facoltativo”, come non è necessario che, in
ordine ai singoli giudizi, l’ente pubblico rilasci uno specifico mandato alla
medesima Avvocatura, così pure non è necessario che questa produca il
provvedimento del competente organo dell’ente stesso recante l’autorizzazione,
rilasciata al legale rappresentante, ad agire o a resistere in causa: giacché,
per un verso, ai sensi dell’art. 1, secondo comma, del r.d. 30 ottobre 1933, n.
1611, richiamato dal successivo art. 45, gli Avvocati dello Stato esercitano le
loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni ed in qualunque sede senza
bisogno di mandato; e, per altro verso, le eventuali divergenze tra gli organi
interessati, circa l’opportunità di promuovere la lite o di resistere alla
stessa, non acquistano rilevanza esterna e sono risolte, ai sensi dell’art. 12
della legge 3 aprile 1979, n. 103, dall’autorità individuata nella medesima
disposizione, sì che la stessa assunzione di iniziativa giudiziaria, anche
nella forma dell’impugnazione, da parte dell’Avvocatura dello Stato, comporta
la presunzione “iuris et de iure” dell’esistenza di un valido
consenso e della piena validità dell’atto processuale compiuto» (Cass. 9
settembre 2005, n. 17991; Cass. 5 settembre 2003, n. 12942);
2. il secondo motivo denuncia ancora la nullità del
procedimento e della sentenza per violazione dell’art. 434 c.p.c., anche in
relazione all’art. 112 c.p.c. e con esso si sostiene che la Corte di merito avrebbe
indebitamente disatteso l’eccezione di genericità del gravame dell’Università,
sviluppato riproducendo motivi di appello già proposti avverso decisioni
analoghe, così omettendo di considerare i nuovi e distinti profili
motivazionali e di fatto contenuti nella sentenza di primo grado ed
attardandosi su critiche a ben vedere riguardanti più le precedenti pronunce
della Corte d’Appello sul medesimo contenzioso che non la pronuncia del
Tribunale da impugnare;
il motivo è generico, perché non riporta i passaggi
della sentenza di primo grado e del gravame da cui dovrebbe percepirsi
l’inidoneità di quest’ultimo ad introdurre validamente i temi di appello poi
disaminati dalla Corte territoriale, il tutto in modo incoerente rispetto ai
requisiti di specificità imposti dall’art. 366, co. 1, c.p.c.;
3. con il terzo motivo i ricorrenti censurano la
sentenza di appello per violazione dell’art. 437 c.p.c., segnalando come essa
erroneamente abbia ritenuto al di fuori dell’oggetto del contendere le
questioni riguardanti il CCI sopravvenuto del 2014 (di seguito CCI 2014);
rispetto a queste ultime il Tribunale aveva ritenuto
che il CCI 2014, pur munito di efficacia erga omnes, non potesse dispiegare
effetti retroattivi verso i lavoratori dissenzienti, confliggendo con la naturale
ultrattività del precedente CCI 2006, oltre che con i limiti derivanti anche
dalla disciplina C.E.D.U. alla retroattività della legge, a maggior ragione da
ritenere sussistenti anche rispetto all’autonomia collettiva;
secondo la Corte d’Appello, viceversa, quella
contrattazione non avrebbe avuto rilievo in causa, ove si discuteva di
mensilità anteriori alla sua stipulazione, sicché il contenzioso non poteva che
essere definito sulla base della disciplina, legale e collettiva, illo tempore
già esistente, mentre non importava che talune posizioni fossero state definite
transattivamente sulla base proprio di tale normativa sopravvenuta,
evidentemente applicata a quegli accordi per il convergere delle volontà degli
interessati, ma senza che ciò potesse avere alcun rilievo giuridico rispetto ad
un contenzioso con chi a quegli accordi non avesse aderito e restasse e quindi
soggetto alle regole ratione temporis pertinenti, anche tenuto conto che i CCI
erano da ritenere privi di valenza erga omnes perché afferenti a rapporti
squisitamente di diritto privato;
3.1 anche tale censura è infondata, per quanto
rispetto ad essa sia necessario un ragionamento articolato;
questa S.C. ha chiarito che il «legislatore, pur
definendo di diritto privato il rapporto di lavoro intercorrente fra
l’Università ed il collaboratore linguistico ne ha affidato la disciplina alla
contrattazione collettiva, con un meccanismo di rinvio non dissimile da quello
previsto per l’impiego pubblico contrattualizzato dall’art. 2 del d.lgs. n. 29/1993,
vigente all’epoca della decretazione di urgenza. La contrattazione intervenuta
a disciplinare il rapporto è infatti quella per il personale del Comparto
Università stipulata ai sensi del richiamato d.lgs. n. 29/1993 e poi del d.lgs.
n. 165/2001, sicché trovano applicazione i medesimi principi affermati dalle
Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. nn. 21558 e 23329 del 2009) in
relazione alla particolare natura del contratto collettivo di diritto pubblico,
derivante dal peculiare procedimento formativo, dal regime di pubblicità, dalla
sottoposizione a controllo contabile della compatibilità dei costi previsti»
(Cass. 17 agosto 2018, n. 20765);
su tali premesse è evidente che la struttura della
contrattazione per i C.E.L., essendo del tutto identica alla contrattazione
propria del lavoro c.d. privatizzato non può che comportare un’efficacia di
essa a prescindere dall’adesione sindacale dei singoli alle compagini
stipulanti e, quindi, erga omnes e ciò rispetto a tutte le articolazioni di
essa, ivi compresi i contratti integrativi;
i ricorrenti sostengono del resto di avere interesse
ad escludere l’applicazione nei loro confronti di quella contrattazione, perché
l’Università avrebbe posto in essere, in base ad essa, i corrispondenti
recuperi delle somme portate dai decreti ingiuntivi in giudicato;
d’altra parte, se è corretto l’assunto per cui vi è
interesse dei ricorrenti a sgomberare il campo, nei propri riguardi, da quella
contrattazione sopravvenuta, non può condividersi l’assunto secondo cui la mancata
impugnazione specifica rispetto all’argomentare del Tribunale sul punto avrebbe
impedito alla Corte territoriale di valutare gli effetti di quel CCI 2014 nei
riguardi dei ricorrenti e con riferimento alle mensilità potenzialmente
coinvolte dall’effetto retroattivo;
infatti, una volta devoluta in appello la questione
sulla spettanza o meno degli importi rivendicati in forza del CCI 2006 non può
affermarsi che l’incidenza su tale questione del CCI 2014 potesse essere
oggetto di una sorta di giudicato implicito, trattandosi soltanto di un aspetto
dell’unitaria fattispecie da cui può discendere o meno l’esistenza del diritto
rivendicato dai ricorrenti stessi, a seconda che il secondo CCI, munito di
effetto retroattivo, dispieghi o meno effetti nel caso di specie;
tale principio è infatti ormai consolidato presso
questa S.C. (v. Cass. 4 febbraio 2016, n. 2217 ed altre conformi), la quale ha
reiteratamente precisato che il giudicato interno può formarsi solo su
statuizioni che coprano integralmente la sequenza norma-fatto-effetto e non su
taluna delle predette singole componenti, sicché l’impugnazione su una di esse
(qui, l’effetto, contestato dall’Università in appello) estende la devoluzione
anche alle altre (qui, alle norme contrattuali e, quindi, all’eventuale effetto
retroattivo del CCI 2014);
su tale premessa e stante la menzionata efficacia
erga omnes infondatamente denegata dalla Corte territoriale, la questione
sull’applicazione del CCI 2014 resta oggetto di causa;
il motivo è dunque parzialmente corretto nelle
proprie premesse in ordine all’impossibilità di affermare che, svolgendo difese
su quel CCI 2014, i ricorrenti abbiano esorbitato verso uno ius novum, perché
tale non è quello riguardante quel sopravvenuto CCI;
il motivo è però infondato nelle conclusioni, perché
l’eccezione di inammissibilità del gravame dell’Università, per non avere essa
censurato le argomentazioni del Tribunale rispetto al CCI 2014, è invece
errata, perché quel tema resta presente in causa e di ciò si dirà anche in
seguito;
4. il quarto motivo adduce la nullità del
procedimento e della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., sul
presupposto che non vi fosse stata pronuncia su alcune ulteriori censure di
inammissibilità del gravame avversario sollevate in appello;
si tratta di motivo riguardante, apparentemente,
ulteriori censure di nullità mosse dall’Università verso la contrattazione
integrativa originaria, nonché valutazioni riguardati i pregressi giudizi tra
le parti, il tutto esposto tuttavia in questa sede con modalità talmente
sintetiche e prive di migliori spiegazioni da rendere incomprensibile, sulla
base del ricorso per cassazione, il senso effettivo delle critiche, in
contrasto ancora con il disposto dell’art. 366 c.p.c.
5. il quinto motivo censura invece la violazione e
falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. per mancata estensione del giudicato
inter partes, maturato rispetto a singole mensilità, al periodo successivo del
rapporto;
i ricorrenti intendono in tal modo valorizzare gli
effetti di giudicato implicito che a loro dire deriverebbero dal rigetto delle
opposizioni ai decreti ingiuntivi ottenuti per mensilità precedenti a quelle
oggetto di questa causa, stante la capacità del giudicato, nei rapporti di
durata, di proiettarsi verso il futuro, in mancanza di elementi sopravvenuti di
modifica dell’assetto di fatto e di diritto;
il sesto motivo, sulla stessa linea ed affermando
anche la violazione dell’art. 4 d.l. 120/1995, sostiene che erroneamente la
Corte territoriale avrebbe ritenuto l’irrilevanza della questione sulla
legittimità o meno dei presupposti in base ai quali vi era stata sospensione
unilaterale del CCI 2006;
5.1 i motivi, da analizzare congiuntamente, sono
fondati nei termini assorbenti in cui si va a dire;
è noto che il giudicato formatosi sul decreto
ingiuntivo si estende, quanto a contenuto, a tutti gli antecedenti logici
necessari rispetto al riconoscimento del diritto attribuito (Cass. 27 febbraio
2020, n. 5409; Cass. 24 settembre 2018, n. 22465; Cass. 28 novembre 2017, n.
28318) e quindi, per quanto qui interessa, alla stabilizzazione inter partes
della validità delle clausole del CCI 2006 da cui derivava il diritto alla
corresponsione delle somme poi ingiunte;
così come è noto che l’effetto del giudicato
rispetto ad un rapporto di durata è destinato ad espandersi anche ai periodi
successivi in cui il rapporto prosegua, almeno fino al sopravvenire di
variazione di fatto e di diritto che alterino l’assetto rispetto a quello avuto
presente al momento del formarsi del giudicato stesso;
nel caso di specie, dalla narrativa dei ricorrenti e
dal riscontro officioso sulle sentenze della S.C. che hanno definito i
corrispondenti giudizi risulta in effetti, come anticipato nello storico di
lite, che sono passati in giudicato plurimi decreti ingiuntivi che coprono il
periodo dal maggio 2010 al maggio 2011;
d’altra parte, il giudicato ha effetto obiettivo ed
è rilevabile d’ufficio nella sua intera portata (Cass., S.U., 28 novembre 2007,
n. 24664), sicché non rileva il fatto che, come sostiene la Corte territoriale,
esso fosse stato valorizzato in sede d’appello solo come ragione di
intangibilità del trattamento riconosciuto per effetto del divieto di riduzione
della retribuzione;
per quanto non sia fondato l’assunto dei ricorrenti
secondo cui la contrattazione collettiva integrativa dei CEL si sottrarrebbe al
regime di cui al d. lgs. 165/2001 ed alle nullità che ne possono derivare e ciò
per le ragioni già sopra esposte in relazione ad altri aspetti di quel regime,
da aversi per integralmente esteso ai predetti rapporti, nel caso di specie la
validità della contrattazione del 2006 è coperta dal menzionato giudicato,
implicitamente formatosi tra le parti e ciò dovrà essere assunto come dato
acquisito nel giudizio di rinvio conseguente alla cassazione, in forza dei motivi
qui accolti, della sentenza di appello;
6. in sostanza, la Corte d’Appello ha errato nel non
apprezzare l’esistenza di quel giudicato (implicito) sulla validità del CCI
2006 e ciò comporta la cassazione della pronuncia impugnata; ciò non fa venire
meno la necessità di valutare, in sede di rinvio, i rapporti esistenti, sul
piano processuale e sostanziale e con riferimento alle mensilità oggetto del
presente giudizio, tra quel giudicato implicito, la sua complessiva portata ed
il CCI 2014, munito di effetto retroattivo al gennaio 2011 e quindi
potenzialmente tale da coinvolgere le mensilità coinvolte dalla presente causa
(giugno 2011-giugno 2013 e tredicesime), questioni che, potendo eventualmente
comportare apprezzamenti non semplici, non è opportuno affrontare in questa
sede nel merito;
7. il riconoscimento della validità del CCI 2006
rispetto alle parti in causa comporta l’assorbimento dei restanti motivi;
il settimo motivo, riguardante l’effettività o meno
dell’originaria copertura finanziaria del CCI 2006 o l’effettivo discendere da
ciò di una nullità, è infatti irrilevante, perché appunto inter partes la
validità di quel CCI è ormai accertata; restano altresì superate, per identiche
ragioni, le questioni agitate con i motivi ottavo (sull’incapacità delle norme
sopravvenute nel 2009 a limitare, anche per ragioni antidiscriminatorie,
l’efficacia del CCI 2006 verso i ricorrenti), nono (sull’infondatezza
dell’assunto della Corte di merito in ordine all’esorbitanza dei trattamenti di
cui al CCI 2006 rispetto alle norme regolative del compenso dei CEL, punto sul
quale, rispetto almeno alle mensilità fino a tutto il 2010 si osserva esservi
in ogni caso insuperabile giudicato anche sulla concreta debenza, visto che il
CCI 2014, a tutto concedere, retroagirebbe solo fino al gennaio 2011), decimo
(su profili ancora di inidoneità delle norme della c.d. Legge Brunetta ad
impedire l’efficacia del CCI 2006) e undicesimo (sull’impossibilità di ridurre
il trattamento di cui al CCI 2006 perché coerente con l’art. 36 Cost. e con il
diritto eurounitario), questioni, quelle di cui a tale ultimo motivo, così come
è per le difese su analoghi punti dispiegate in memoria, che semmai potranno
essere affrontate in sede di rinvio;
8. riepilogando, vanno respinti i primi quattro motivi,
vanno accolti il quinto ed il sesto e restano assorbiti gli altri, dovendosi
rinviare alla medesima Corte d’Appello, in diversa composizione, affinché
decida facendo applicazione di tutti i principi sopra fissati;
P.Q.M.
Accoglie il quinto ed il sesto motivo di ricorso,
rigetta i primi quattro, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in
relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Firenze, in
diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio
di legittimità.