Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 giugno 2022, n. 19513
Rapporto di lavoro subordinato, Sussistenza, Contratto di
appalto di servizi, Difetto di prova, Somministrazione irregolare, Ipotesi
di «doppia conforme» ex art. 348 ter, co. 4 e 5, c.p.c.
Fatti di causa
1. La Corte d’Appello di Firenze ha respinto il
reclamo proposto da UNIPOLSAI Assicurazioni S.p.A. contro la sentenza di
rigetto dell’opposizione contro l’ordinanza resa in esito alla fase sommaria
(previa separazione delle domande concernenti inquadramento e differenze
retributive), con la quale il giudice del lavoro aveva dichiarato sussistente
un rapporto di lavoro subordinato in essere tra D. C. e detta società dal
22.12.2009, in mancanza di un atto del datore di lavoro qualificabile come
recesso; con conseguente condanna del datore di lavoro al pagamento delle
retribuzioni dal 2.8.2016 sino all’effettivo ripristino, configurandosi
un’ipotesi di somministrazione irregolare, ai sensi dell’art. 27 D. Lgs.
276/2003, in difetto di prova di un contratto di appalto di servizi con E.D.
Service s.r.l. di cui era dipendente il lavoratore, stabilmente addetto presso
l’Ufficio Sviluppo Applicativo Vita Individuali presso la sede della società,
per il periodo 2009 – 2012.
2. La compagnia assicurativa ha proposto ricorso per
Cassazione affidato ad unico motivo. Il lavoratore ha resistito con
controricorso.
3. Il P.G. ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso.
Ragioni della decisione
1. La società ricorrente sostiene l’erroneità della
sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e 5 c.p.c.,
per violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c.
2. Assume che i giudici di merito avrebbero dovuto
dar corso all’audizione dei testimoni indicati nei ricorsi su tutti i capitoli
di prova e, in esito, valutare se era provata o meno la sussistenza
dell’appalto di servizi, che non richiede prova scritta, come pacificamente
ammesso dalla Corte d’appello, anche per il periodo antecedente il 2012.
3. Il motivo non è ammissibile, in quanto parte
ricorrente sostanzialmente sollecita un nuovo giudizio di merito, oltre i
limiti istituzionali del giudizio di legittimità, in contrasto con il principio
secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo
grado nel quale valutare elementi di fatto già considerati dai giudici del
merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr.
Cass. 20814/2018).
4. In tema di ricorso per cassazione, infatti, esula
dal vizio di legittimità ex art. 360, n. 5 c.p.c. qualsiasi contestazione volta
a criticare il “convincimento” che il giudice di merito si è formato,
ex art. 116, c. 1 e 2 c.p.c., in esito all’esame del materiale probatorio ed al
conseguente giudizio di prevalenza degli elementi di fatto, operato mediante la
valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, essendo
esclusa, in ogni caso, una nuova valutazione dei fatti da parte della Corte di
legittimità (Cass. 15276/2021). E spetta in via esclusiva al giudice di merito
il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e
valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di
scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute
maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi,
assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché
la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di
una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad
esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga
irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere
decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (Cass. 13485/2014; Cass.
20553/2021).
5. D’altra parte, la Corte d’appello di Firenze ha
confermato integralmente le statuizioni di primo grado, così realizzandosi
ipotesi di cd. doppia conforme rilevante ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c. e
dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., nel senso che il difetto di motivazione
denunciabile come motivo di ricorso per cassazione ai sensi del n. 5 dell’art.
360 c.p.c. può concernere esclusivamente la motivazione in fatto, non anche
l’interpretazione delle norme giuridiche; il ricorrente in cassazione, dunque,
per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. (nel
testo riformulato applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre
2012), deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della
decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando
che esse sono tra loro diverse (Cass. 26774/2016; conf. Cass. 20994/2019; Cass.
8320/2021), tenendo conto che ricorre l’ipotesi di «doppia conforme», ai sensi
dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della
censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.,
non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a
quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo
iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa,
non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per
rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (Cass.
7724/2022).
6. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato
inammissibile.
7. Parte ricorrente deve essere condannata alla
rifusione in favore del controricorrente delle spese del giudizio di
legittimità, liquidate come da dispositivo.
8. Sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per l’impugnazione.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte
ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida
in € 5.000 per compensi ed € 200 per esborsi, oltre spese forfettarie nella
misura del 15% e accessori di legge Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del
d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del
comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.